A. G. von Keyserlingk,*1 J. Rushen , A. M. de Passillé, e D. M. Weary *
*Animal Welfare Program, University of British Columbia, 2357 Mall, Vancouver, British Columbia, Canada, V6T 1Z4 
Agriculture and Agri-Food Canada, PO Box 1000, Agassiz, British Columbia, Canada, V0M 1A0 
Ricevuto il 25 Aprile 2009. 
Accettato il 2 Giugno 2009. 
1Autore corrispondente: marina.vonkeyserlingk@ubc.ca 

Abstract
Introduzione
Che cosa è il benessere animale?
Salute e funzionamento biologico

Stati emotivi

Vita naturale

Conclusioni
Ringraziamenti
Riferimenti

Abstract

Le preoccupazioni inerenti il benessere degli animali generalmente includono 3 domande: l’animale è efficiente? (è, ad esempio, in buona salute, ha un’adeguata produttività, ecc.), l’animale si sente bene? (ad esempio, non prova dolore, ecc.), e l’animale è in grado di vivere secondo la sua natura? (può, ad esempio, esercitare comportamenti naturali ritenuti importanti per lui, come il pascolamento). Abbiamo preso in esame alcuni esempi, provenienti principalmente dai nostri studi, mostrando come la ricerca scientifica riesca a far fronte a queste 3 domande. Ad esempio, abbiamo effettuato la review di un lavoro che mostrava 1) come alcune patologie comuni, tra cui la zoppia, potessero essere meglio identificate e prevenute attraverso un miglioramento degli alloggi e delle pratiche di gestione delle bovine, 2) come potesse essere ridotto il dolore provocato dalla decornazione nei vitelli da latte, e 3) come le condizioni ambientali influenzassero le preferenze delle bovine nello scegliere tra ambienti al chiuso e il pascolo. Controversie sul benessere animale possono verificarsi quando vengono impiegati differenti criteri di misura. Ad esempio, negli allevamenti che spingono verso una marcata produttività si può andare incontro ad una limitazione dei comportamenti naturali o addirittura potrebbe essere favorito un aumento dei tassi di malattia. Le strategie migliori sono quelle che riescono a far fronte a tutte e 3 le tipologie di problemi, ad esempio, consentendo ai vitelli (tramite sistemi di alimentazione adeguati) di esprimere comportamenti chiave (come il succhiare da una tettarella), evitando aspetti negativi (come la fame) e migliorando l’efficienza (favorendo cioè, l’aumento dei tassi d’incremento del peso corporeo e, in definitiva, una maggiore produzione di latte). 

Parole chiave: benessere animale, bovini da latte, vacca, vitello 

Introduzione

Le preoccupazioni circa il benessere animale non sono una novità; gli allevatori si sono sempre preoccupati delle condizioni dei loro animali, assicurandosi che fossero sani e ben nutriti. Secondo questa concezione, il benessere viene visto in gran parte come l’assenza di malattia o di lesioni. Le preoccupazioni più recenti sul benessere animale si riferiscono principalmente al dolore o al disagio che questi animali potrebbero provare in seguito all’impiego di pratiche di gestione comunemente adottate e alla possibilità che gli animali soffrano a causa del loro mantenimento in condizioni apparentemente “innaturali” (Fraser, 2008). Negli ultimi dieci anni, c’è stato un forte incremento della ricerca scientifica sul tema del benessere del bestiame, con lo scopo di far fronte  a queste problematiche (per una review approfondita, vedi Rushen et al., 2008). In questa review, abbiamo esaminato alcune differenze riguardanti le problematiche relative al benessere degli animali cui deve far fronte l’allevamento di bovini da latte, e abbiamo dimostrato quale potrebbe essere il ruolo della ricerca scientifica nel fronteggiare questi ostacoli. 

Che cosa è il benessere animale? 

Le preoccupazioni delle persone riguardo il benessere degli animali d’allevamento si possono riassumere, generalmente in 3 domande: 1) l’animale ha un buon livello di efficienza?, 2) l’animale si sente bene?, e 3) l’animale è in grado di vivere una vita ragionevolmente simile a quella che condurrebbe in natura? (Fraser et al., 1997). I soggetti che si occupano degli animali si preoccupano logicamente del primo aspetto, visto che devono far fronte a problemi come malattie, lesioni, tassi di crescita mediocri e problemi della sfera riproduttiva, che risultano essere dannosi sia per l’animale sia per la redditività dell’allevamento. Tuttavia molte persone si preoccupano anche dello stato affettivo (emotivo) dell’animale, e si concentrano sul fatto che gli animali possano provare sia sentimenti negativi, come il dolore, la paura o la fame, sia che possano sperimentare stati emotivi positivi, come il piacere associato al gioco. Per altri soggetti interpellati (compresi molti consumatori di prodotti biologici), una preoccupazione chiave è se l’animale sia in grado di condurre una vita relativamente simile a quella che avrebbe in natura e di esprimere il suo comportamento innato. Questi 3 aspetti del benessere animale vengono generalmente inclusi nelle definizioni ufficiali; ad esempio, la World Organization for Animal Health stabilisce che un animale ha un buon benessere quando è sano, a suo agio, ben nutrito, protetto, capace di esprimere un comportamento innato, e…se non prova stati emotivi spiacevoli come il dolore, la paura e la sofferenza”(World Organization for Animal Health, 2008). Queste differenti tipologie di preoccupazioni sul benessere degli animali spesso si sovrappongono (Figura 1). Una vacca in lattazione, che non sia in grado di reperire un po’ di ombra durante una giornata calda (vita naturale), sicuramente soffrirebbe per il caldo eccessivo (stato emotivo) e potrebbe mostrare segni di ipertermia e, in ultima analisi, diminuirebbe la produzione di latte (scadente funzionamento biologico). La zoppia è un altro esempio di come queste tre preoccupazioni sul benessere animale si sovrappongano. Una bovina zoppa soffre (stato emotivo), ha una diminuzione dell’attività riproduttiva e della produzione di latte (scadente funzionamento biologico) ed una ridotta mobilità (comportamento naturale). Inoltre, dal punto di vista del benessere animale, gran parte delle preoccupazioni riguardanti la malattia sono legate alla sofferenza che l’animale prova a causa di essa. In questo caso, il miglioramento di un aspetto del benessere (ad es. la diminuzione dei segni fisiologici d’ipertermia) probabilmente porterebbe a dei miglioramenti negli altri aspetti (riduzione del senso di disagio). In altri casi, le diverse preoccupazioni potrebbero apparire in conflitto. Ad esempio la preoccupazione  sull’effetto, nei vitelli da latte, della mancanza di interazioni sociali tra simili ha portato, in sostanza, l’Unione Europea a definire fuori legge i box singoli per i vitelli di età superiore alle 8 settimane. Stabulare i vitelli da latte in gruppi permette loro di svolgere interazioni sociali innate, ma se gestiti male, ciò può portare ad un aumento dell’incidenza di alcune malattie o dell’aggressività. Le persone possono quindi trarre conclusioni opposte sui vantaggi per il benessere apportati dai vari sistemi di stabulazione (Fraser, 2003). Gli scienziati hanno reagito alla diversità di opinioni sul benessere degli animali provando a sviluppare un concetto scientifico che sia più adatto alle loro indagini, ma il peso relativo dato dalle diverse persone ai differenti aspetti del benessere animale riflette i loro valori personali e, di conseguenza, la scienza da sola non può imporre una definizione “corretta” (Fraser, 2008); l’incapacità di far fronte all’intera gamma di preoccupazioni dell’opinione pubblica sul benessere animale non ovvierà a questo problema. Un quadro esplicativo di queste prospettive contrastanti proviene dal dibattito sulla California’s Proposition 2. Questa iniziativa di voto del 2008, approvata con il 63.4% dei voti e promulgata come California’s Prevention of Farm Animal Cruelty Act, proibisce il confinamento (per la maggior parte del  giorno) di vitelli da carne, galline ovaiole e suini in alloggiamenti che non consentano loro di girarsi liberamente, sdraiarsi, alzarsi ed estendere completamente gli arti. Le più danneggiate sono sicuramente le galline ovaiole, dato che attualmente vengono allevate in gabbie in batteria. Gli oppositori di questa proposta di legge sottolineavano come i sistemi di stabulazione attualmente in uso fossero stati sviluppati per promuovere la salute dei volatili (e la qualità delle uova) e per ridurre il contatto con le feci (in altre parole, per promuovere un buon funzionamento biologico). Tuttavia, per i sostenitori della proposta (e apparentemente per la maggior parte dei californiani), questo non era abbastanza. Essi pensavano che ai volatili dovesse essere concesso di avere anche sufficiente libertà fisica per eseguire alcuni comportamenti chiave. Effettivamente, buona parte della legislazione sul benessere animale emanata nell’Unione Europea e nel resto del mondo, si focalizza sulle procedure dolorose e sulla possibilità di concedere agli animali una maggiore espressione di certi comportamenti (Veissier et al., 2008). Va detto che le nozioni suggerite dalla Proposition 2 sono rilevanti anche per il benessere dei bovini da latte. I sistemi di stabulazione e di gestione per i bovini da latte non solo devono rispondere alle classiche preoccupazioni sul buon funzionamento biologico, ma devono anche far fronte ad altri elementi chiave per il benessere animale, ritenuti importanti dall’opinione pubblica e dai consumatori di prodotti lattiero-caseari. Invitiamo i lettori ad essere scettici nei confronti di soluzioni proposte per risolvere problemi di benessere che affrontino soltanto una tipologia di preoccupazione (ad esempio, la salute dei vitelli) mentre ne creano o ne accentuano  un’altra (vedi l’isolamento sociale). Chiaramente, le soluzioni migliori saranno quelle che riusciranno a fronteggiare tutte e 3 le preoccupazioni; ad esempio, pensiamo alla creazione di sistemi di stabulazione di gruppo per vitelli che evitino la competitività, che consentano il contatto sociale e che li mantengano sani. In questo senso, le 3 preoccupazioni potrebbero essere considerate come delle linee guida utili a direzionare i ricercatori nell’individuare e risolvere i vari problemi relativi al benessere dei bovini da latte. La ricerca scientifica da sola potrebbe non riuscire a dirci quale preoccupazione potrebbe essere più importante, ma è riuscita ad identificare le problematiche esistenti all’interno di ciascuna delle 3 aree di interesse ed ha contribuito a fornire le soluzioni a questi problemi. Di seguito, andiamo ad esaminare alcuni esempi provenienti da lavori recenti che mostrano come la ricerca scientifica possa essere impiegata nell’affrontare problemi relativi al benessere dei bovini da latte dal punto di vista della funzionalità biologica, del vivere in maniera naturale e degli stati emotivi. 

Figura 1. Tre aree sovrapponibili delle preoccupazioni relative al benessere. Ridisegnato da Fraser et al. (1997). 

Salute e funzionamento biologico

Che una buona salute sia fondamentale per un buon benessere è abbastanza incontrovertibile. Le misure della salute utilizzate dai veterinari e dagli allevatori sono generalmente rappresentate da malattie, lesioni e problemi della sfera riproduttiva. I problemi relativi al funzionamento biologico sono, in molti casi, un’evidente preoccupazione per il benessere animale. Ad esempio, elevati tassi di mortalità sono quasi sempre correlati ad una scarsa qualità della vita degli animali. Gli studi continuano a riportare elevati tassi di mortalità in vitelli alimentati con latte (USDA, 2007), ed è inutile dire che sia i vitelli che i produttori trarrebbero beneficio da una riduzione di questi tassi di mortalità. La sfida qui è quella di migliorare le procedure di gestione in quelle aziende che ne hanno più bisogno. Morbilità o mortalità dovrebbero essere considerate solo come un indicatore approssimativo di salute e benessere. Valutando la salute degli animali attraverso l’impiego di indicatori più sensibili, adottabili prima che gli animali siano clinicamente malati o morenti, dovremmo essere in grado di ridurre notevolmente il rischio di sofferenza dovuta alla presenza della malattia. Di seguito, abbiamo riportato 2 esempi di ricerche che hanno portato allo sviluppo di  indicatori precoci e sensibili in grado di determinare lo stato di salute della bovina. 

Zoppia

La zoppia viene considerata universalmente un importante problema che affligge il benessere delle vacche da latte. La zoppia può essere dovuta a malattie infettive (come dermatite digitale e pododermatite infettiva) o a lesioni causate da alterazioni della componente cornea dell’unghione (ad esempio ulcere, emorragie, separazione della linea bianca). Per quanto riguarda l’incidenza delle zoppie, aspetti riconducibili alla gestione (come l’utilizzo di pavimenti in calcestruzzo, l’assenza di pascolamento e le stalle scomode) sono degli importanti fattori di rischio che stanno alla base delle grandi differenze evidenziate tra i vari allevamenti (recensione di Cook e Nordlund, 2009). Sfortunatamente, gli allevatori trovano difficoltà nell’identificare le prime fasi della zoppia negli animali (Whay et al., 2003). Molti metodi di valutazione della camminata non forniscono abbastanza dettagli sugli specifici cambiamenti di andatura (che si dovrebbero verificare quando le bovine diventeranno zoppe), oppure si basano soltanto su una o su poche altre modificazioni considerate specifiche, come l’inarcamento del dorso; questi aspetti possono rendere questa metodica più facili da utilizzare ma, potenzialmente, possono comprometterne l’affidabilità e la validità (vedi Channon et al., 2009; Tadich et al., 2009). Un problema che si riscontra nello sviluppare dei buoni sistemi di valutazione dell’andatura, è legato al fatto che abbiamo poche descrizioni scientifiche ben esplicative di come camminino le bovine sane. Dei sistemi di punteggio migliorati richiederanno un’adeguata conoscenza dell’andatura delle bovine, cosa che può essere ottenuta tramite l’analisi computerizzata del movimento che raccoglie misurazioni precise dell’andatura e delle sue modificazioni in base alla presenza delle diverse tipologie di lesioni dello zoccolo (Flower et al., 2005). Il nostro gruppo di ricerca utilizzava un sistema di valutazione dell’andatura basato su diverse caratteristiche specifiche dell’andatura (ad es. passi asimmetrici, andatura irregolare, ecc.) che notavamo comparire quando le bovine sviluppavano lesioni dello zoccolo. I punteggi dell’andatura risultanti si sono rivelati sensibili nell’identificare bovine con ulcerazioni della suola e, nelle bovine affette da zoppia, ci hanno aiutato a mostrare gli effetti dopo una riduzione del dolore (ad esempio dopo l’impiego di un anestetico locale o di un farmaco antinfiammatorio non steroideo) e dei vantaggi apportati dalla presenza di pavimenti e di superfici più morbide (recensione di Flower e Weary, 2009). Parte della difficoltà nel rilevamento precoce della zoppia può derivare dal fatto che le mandrie sono sempre molto numerose, cosa che fa si che allevatori abbiano meno tempo da dedicare al controllo dei loro animali. Inoltre, alcune lesioni dello zoccolo non sembrerebbero causare cambiamenti nell’andatura (Tadich et al., 2009), suggerendo che potrebbero essere necessarie ulteriori misurazioni automatizzate di altri aspetti comportamentali legati alla presenza di zoppia, come il tempo trascorso in piedi, sdraiate a terra o passato a deambulare. Il crescente impiego dell’automazione in allevamento (mediante, ad esempio, l’introduzione di macchinari per la mungitura, per la somministrazione della razione o del latte e l’utilizzo di bilance) offre una vasta opportunità per la raccolta di dati sulla salute di vacche e vitelli. L’identificazione automatica della zoppia è particolarmente promettente: le bovine affette possono essere individuate mediante il riscontro di modificazioni nella distribuzione del peso tra gli arti che si manifestano sia quando gli animali camminano che quando stanno in piedi (Pastell e Kujala, 2007), grazie ad un’analisi automatizzata delle immagini (Song et al., 2008) e in base al numero di volte che visitano i sistemi di mungitura automatizzati (Borderas et al., 2008a). Le misurazioni automatizzate hanno l’ulteriore vantaggio di non richiedere la presenza di osservatori umani; la presenza dell’uomo può infatti aumentare la probabilità che gli animali mascherino qualsiasi atteggiamento indice di vulnerabilità (Weary et al., 2009). Anche l’individuazione automatica di altre malattie sembra attuabile. Di seguito, abbiamo riportato alcuni esempi tratti dalla nostra recente ricerca che mostrano come le misurazioni automatizzate del comportamento e dell’assunzione di alimento possano essere utilizzate per identificare la presenza di patologie nelle bovine in transizione. 

Bovina in transizione

Nelle settimane dopo il parto, le bovine presentano  un elevato rischio di sviluppare sia malattie metaboliche che infettive (Ingvartsen et al., 2003). Queste malattie che si verificano durante il periodo di transizione si traducono in una perdita economica importante per gli allevatori e rappresentano uno dei problemi di benessere più gravi che colpiscono le vacche da latte. L’elevata prevalenza di malattie infettive può essere collegata ad un’alimentazione inadeguata (Goff, 2006), che può contribuire anche ad un calo delle difese immunitarie sempre durante questo periodo critico (ad esempio, Hammon et al., 2006). Un aspetto chiave della ricerca in materia di benessere animale riguardava lo sviluppo di indicatori precoci di queste malattie e in particolare di quelle legate all’alimentazione. Poiché le malattie vengono generalmente rilevate solamente durante i controlli sanitari di routine effettuati dal veterinario dell’allevamento, molte potrebbero sfuggire alla diagnosi nel tempo che intercorre tra una visita clinica e l’altra. Sebbene gli allevatori possano utilizzare gli esami delle urine, del latte o del sangue per monitorare la salute dei loro animali, l’esecuzione frequente di test su mandrie molto numerose potrebbe risultare dispendiosa sia in termini di tempo che di denaro, suggerendo la necessità di introdurre un monitoraggio più rapido e continuativo. Negli ultimi anni, in seguito allo sviluppo di nuovi concetti, si è notato un forte aumento dell’interesse verso gli indici comportamentali di malattia (Millman, 2007). I comportamenti esibiti dagli animali malati rientrano a far parte di una strategia coordinata utile a combattere le patologie in allevamento. I cambiamenti comportamentali attribuibili alla presenza di un patologia, sono controllati dalle citochine del sistema immunitario e quindi rientrano nella risposta immunitaria alla malattia. Iniezioni di endotossina batterica sono sufficienti per produrre molti dei cambiamenti comportamentali che si manifestano durante la presenza di malattie infettive, come la diminuzione dell’attività motoria, dell’ingestione di alimento, dell’attività di grooming e della ruminazione nei vitelli da latte (Borderas et al., 2008b). Un miglioramento della conoscenza del comportamento che i bovini manifestano in caso di malattia ci aiuterà ad incrementare la nostra capacità di rilevare precocemente le patologie, specialmente quando gli animali sono allevati in gruppi numerosi. Il nostro lavoro si concentrava sull’individuazione di bovine a rischio di sviluppare metrite, sia per la sua elevata incidenza che per gli effetti negativi che ha sulle performance riproduttive, sia perché spesso la sua influenza sulla salute e sul benessere degli animali viene sottovalutata rispetto a quella esercitata da mastite e zoppia. Huzzey et al. (2007) hanno scoperto che le bovine a cui veniva diagnosticata una metrite si nutrivano per molto meno tempo durante il periodo preparto rispetto alle loro controparti sane; ogni diminuzione di 10 minuti nel tempo di assunzione dell’alimento durante il periodo del preparto era associata ad un aumento (del doppio) della possibilità che ad una bovina venisse diagnosticata la metrite. Questi risultati ci indicano come i cambiamenti nel comportamento alimentare possano essere considerati un indicatore sensibile di questa malattia (Figura 2). Non sappiamo ancora se le modificazioni del comportamento alimentare siano una causa o un esito della metrite, o se riflettono qualche altro fattore che predispone la bovina ad ammalarsi, ma Huzzey et al. (2007) hanno fatto luce sui possibili meccanismi. Durante la settimana precedente il parto, le bovine (cui successivamente è stata diagnosticata una metrite grave) hanno manifestato una diminuzione del numero dei comportamenti aggressivi quando erano alla corsia di alimentazione (ad esempio, allontanavano con meno frequenza le altre bovine vicine) ed hanno diminuito i tempi della durata dell’alimentazione, così come è scesa l’ingestione, anche dopo somministrazione di razione fresca, momento durante il quale le bovine sono normalmente molto motivate a mangiare. Le bovine con diagnosi di metrite grave dopo il parto sembravano quindi meno motivate a competere per l’accesso al cibo nel periodo preparto. Questa mancanza di motivazione può stare ad indicare anche che queste bovine sono socialmente subordinate e non vogliono avere interazioni con individui più dominanti. Ricerche più recenti hanno dimostrato come il monitoraggio automatico dei cambiamenti nel comportamento alimentare possa essere in grado di rilevare una varietà di malattie durante il periodo di transizione (González et al., 2008). Questa ricerca mostra come questo monitoraggio possa essere uno strumento utile per gli allevatori nell’individuare meglio le patologie della vacca in transizione in una fase ancora precoce. Effettivamente, il monitoraggio automatico del comportamento alimentare potrebbe essere utile per individuare la presenza di patologie, comprese quelle nei vitelli nutriti con latte e quelle evidenziabili in una serie di altre situazioni, (Svensson e Jensen, 2007). 

Figura 2. Durata media dell’alimentazione (min/die) in bovine da latte di razza Frisona sane, con metrite di media entità e con metrite grave, a partire da 13 giorni prima del parto fino a 21 giorni dopo il parto. Ridisegnato da Huzzy et al. (2007). 

Produttività degli animali

Spesso si pensa che un basso livello di benessere animale si rende evidente con una bassa produzione di latte mentre elevati livelli di produzione di latte dovrebbero indicare un buon benessere. Esistono buone ragioni sul perché i problemi che causano uno scarso benessere possano portare ad una diminuzione della produttività. L’attivazione del sistema immunitario durante una malattia richiede molto dispendio energetico (Colditz, 2002) e, spesso, la malattia si traduce in una diminuzione dell’ingestione di cibo; quindi, essendo le risorse limitate queste possono essere dirottate verso la funzione immunitaria piuttosto che verso la produzione di latte, la crescita o l’aspetto riproduttivo. Nelle bovine in lattazione, diversi studi hanno stimato una riduzione della produzione di latte correlata alla presenza di varie patologie (ad es. Gröhn et al., 2003). Ad esempio, Huzzey et al. (2007) hanno dimostrato che le bovine affette da metrite producevano circa 8 kg/die di latte in meno durante le prime 3 settimane di lattazione. È quindi chiaro che un calo della produzione di latte può essere indice della presenza di malattia. Per valutare le risposte delle bovine ad eventi stressanti si sono rivelati utili anche i cambiamenti a breve termine sulla produzione di latte. Ad esempio una serie di fattori stressogeni acuti, come il cambiamento di ambiente, possono ridurre la secrezione di ossitocina, portando ad un blocco dell’eiezione di latte e quindi ad un calo della produzione (ad esempio, Bruckmaier e Blum, 1998). In queste circostanze, il calo della produzione lattea osservato può essere considerato come un indicatore della diminuzione del benessere. Tuttavia, è improbabile che le numerose variazioni nella resa di latte siano sempre correlate a differenze di benessere tra gli animali. La produzione di latte può essere influenzata anche da fattori nutrizionali, genetici ed ambientali, che risultano essere neutrali per il benessere animale, mentre elevati livelli di produttività possono aumentare il rischio di comparsa di determinati problemi di benessere. L’elevata produttività (tra suini, pollame e bovini) è correlata ad un aumento del rischio di sviluppare problemi di salute (rivisto da Rauw et al., 1998). Un miglioramento della genetica e dell’alimentazione ha portato ad un aumento del 2-3% della produzione di latte per vacca all’anno nei paesi occidentali, ma questo aumento della produzione richiede ulteriori sforzi da parte della bovina, che probabilmente possono causare un aumento dell’incidenza di malattie e dei tassi di abbattimento involontario ( ad esempio, Kelm et al., 2000; Fleischer et al., 2001). Le specifiche di questo problema vanno oltre lo scopo di questo articolo, ma Ingvartsen et al. (2003) e Rauw et al. (1998) ci forniscono utili spunti di riflessione. A causa della complessa correlazione tra produzione di latte e benessere degli animali, pochi esperti di benessere considerano la produzione di latte una misura utile per la sua valutazione negli allevamenti di bovini da latte (Whay et al., 2003). Il punto chiave risiede nel fatto che un elevato livello di produzione non è sempre garanzia di altrettanto elevato benessere, né tantomeno un basso livello di produzione è da prendere automaticamente come un segno di scadente benessere. 

Stati emotivi

Il modo in cui gli animali si sentono è una questione centrale per il benessere animale. Sebbene una volta si pensasse che fosse al di là della portata della scienza, la comprensione degli stati mentali degli animali è ad oggi un’area di ricerca attiva (Dawkins, 2008), e lo sviluppo di misure convalidate utili a definire questi stati rimane uno dei problemi più interessanti per la scienza che si occupa del benessere degli animali. Sebbene la maggior parte del lavoro svolto fino ad oggi si sia concentrato su aspetti negativi (ad es. dolore e sofferenza), alcune ricerche più recenti si stanno impegnando ad esaminare anche gli stati mentali positivi provati dagli animali (Bertenshaw et al., 2008). Boissy et al. (2007) forniscono un’eccellente review sugli stati emotivi positivi provati dagli animali. Rispetto ad altre emozioni, come la paura e l’ansia, sono stati compiuti notevoli progressi sulla comprensione e sulla misurazione del dolore negli animali, ed ora è disponibile un ampio corpo di letteratura scientifica in continuo sviluppo che si concentra sulla valutazione e sulla prevenzione del dolore negli animali d’allevamento (recensito da Weary et al. , 2006). Procedure come la decornazione vengono eseguite routinariamente sui bovini da latte senza il beneficio del sollievo dal dolore, quindi è importante disporre di metodi consolidati ed idonei per valutare qualsiasi dolore ne derivi, per poter poi sviluppare delle metodiche utili a prevenirlo. Di seguito, ci concentriamo su 2 esempi, la decornazione e il taglio della coda. 

Decornazione

Una ricerca considerevole ha dimostrato come sia la decornazione che il disbudding causino dolore ai vitelli, cosa che può essere dimostrata mediante una varietà di misure fisiologiche e comportamentali (recensione di Stafford e Mellor, 2005). Ad oggi è noto anche che l’impiego esclusivo di un anestetico locale non attenua completamente questo dolore e non fornisce un adeguato sollievo dal dolore postoperatorio. L’anestetico locale più conosciuto, la lidocaina, è efficace dalle 2 alle 3 ore dopo la sua somministrazione. I vitelli trattati con tale anestetico presentano, dopo che la molecola ha esaurito la sua azione, livelli di cortisolo plasmatico simili a quelli dei soggetti non trattati (Stafford and Mellor, 2005). Invece, l’utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei (come il ketoprofene), in associazione con un anestetico locale, potrebbe mantenere il cortisolo plasmatico e le risposte comportamentali più vicine ai livelli basali nelle ore successive al disbudding e alla decornazione. Sono disponibili farmaci antidolorifici più potenti, che promettono un maggior controllo del dolore durante procedure come il disbudding (Heinrich et al., 2009). Una seconda considerazione da fare riguarda il fatto che gli animali rispondono sia al dolore della procedura che al contenimento fisico. Per i vitelli sottoposti a procedure di disbudding che prevedono l’impiego di un anestetico locale è richiesto il contenimento ed, inoltre, i vitelli devono essere contenuti anche durante la somministrazione dell’anestetico locale stesso. L’impiego di un sedativo (come la xilazina) potrebbe essenzialmente eliminare le risposte emotive dei vitelli al contenimento fisico che si deve effettuare durante la somministrazione dell’anestetico locale e durante il procedimento di disbudding vero e proprio. Pertanto, una combinazione di sedativo, anestetico locale e farmaco antinfiammatorio non steroideo potrebbe ridurre la risposta algica sia durante il disbudding che nelle ore successive a tale procedura. Un’alternativa comune al disbudding effettuato tramite l’impiego di un ferro rovente prevede l’impiego di una pasta caustica in grado di provocare un’ustione chimica. Anche questo metodo è piuttosto doloroso per i vitelli (Stilwell et al., 2009), ma il dolore che ne deriva sembra più facilmente controllabile. I vitelli trattati solo con xilazina a scopo sedativo non mostravano alcuna risposta algica immediatamente dopo l’applicazione della pasta caustica e mostravano una risposta meno intensa nelle ore successive al procedimento (Vickers et al., 2005). Inoltre, il disbudding operato in questa maniera (cioè impiegando una pasta caustica in associazione ad un sedativo) provocava meno dolore ai vitelli rispetto ad un disbudding fatto mediante applicazione di un ferro caldo associato all’impiego di un sedativo e di un anestetico locale. Questo esempio ci mostra come la ricerca possa fornire delle risposte chiare a domande sulla dolorabilità di procedure condotte routinariamente e su come sviluppare delle metodiche di trattamento del dolore che siano sia efficaci che pratiche da poter essere utilizzate in allevamento. 

Taglio della coda

Nel Nord America sono diventate molto popolari le bovine da latte con la coda tagliata; un’indagine del National Animal Health Monitoring System del 2007 ha mostrato che il 39% delle bovine ha la coda tagliata (USDA, 2009). Diversi studi hanno esaminato l’effetto di questo taglio sul benessere dei bovini da latte. Abbiamo le prove dell’esistenza di dolore acuto correlato al taglio della coda, ma non è stato dimostrato chiaramente se l’impiego di anestetici o l’esecuzione della procedura in età più giovane possa ridurre la risposta algica (Tom et al., 2002a, b). Inoltre, il taglio della coda potrebbe causare dolore cronico. La recisione delle terminazioni nervose presenti nelle code del bestiame potrebbe provocare la formazione di neuromi; i neuromi possono essere causa di dolore cronico, molto simile al dolore fantasma che si prova dopo l’amputazione di un arto (Eicher et al., 2006). La questione del taglio della coda è diversa da quella della decornazione, non solo in termini di dolore e di controllo dello stesso, ma anche in termini di benefici per gli animali e per l’allevamento. La maggior parte delle persone è d’accordo sul fatto che i bovini allevati in maniera intensiva debbano essere sottoposti ad eliminazione delle corna: queste infatti possono rappresentare un pericolo per i lavoratori e per gli altri animali se non vengono adeguatamente rimosse. I vantaggi del taglio della coda risultano essere meno chiari. Esperimenti multipli controllati condotti su larga scala hanno dimostrato che il taglio delle code non presenta alcun vantaggio sistematico in termini di pulizia della bovina o di salute della mammella (Schreiner e Ruegg, 2002). Visti gli evidenti svantaggi per la bovina, inclusa una ridotta capacità di controllare e scacciare le mosche, sembrano esserci poche ragioni per continuare a mettere in atto questa procedura. Ci siamo focalizzati sul dolore, in parte perché i risultati provenienti dalla ricerca erano chiari, ma anche perché esiste un consenso ampiamente diffuso per quanto riguarda l’etica di provocare o di non riuscire a prevenire intenzionalmente il dolore negli animali. Tuttavia, esortiamo i lettori a non concentrarsi solamente sull’aspetto dolore; altri stati emotivi possono essere ugualmente o maggiormente dannosi per il benessere animale, come la paura correlata all’impiego di pratiche di gestione scadenti e di strutture inadeguate (Rushen et al., 2008); in realtà i bovini possono provare anche stati emotivi positivi come quelli derivati dal piacere associato al gioco (Boissey et al., 2007) ). I bovini possono essere sorprendentemente sensibili a fattori di stress impercettibili: anche pochi minuti da soli in un ambiente non familiare sono sufficienti a provocare aumenti sostanziali della secrezione di cortisolo, della frequenza cardiaca, delle vocalizzazione ed un blocco dell’eiezione di latte (Rushen et al., 2001). 

Vita naturale

Abbiamo lasciato alla fine l’aspetto del benessere animale “vita naturale, in parte perché concettualmente è il meno chiaro e in parte perché questo è una delle tematiche del benessere animale che causa maggiori difficoltà all’interno degli allevamenti. Infatti, il carattere “poco naturale” delle moderne condizioni di stabulazione è una delle fonti maggiori di preoccupazione per l’opinione pubblica. Per questo i ricercatori del settore lattiero-caseario devono sforzarsi dindividuare modi efficaci per far fronte a questo problema. Per alcuni il criterio vita naturale è chiaro, significa semplicemente permettere agli animali di vivere la loro vita in maniera più simile possibile a come farebbero in natura. Questo approccio spesso viene considerato naïf: alcuni aspetti riscontrabili in natura, come l’esposizione a condizioni climatiche estreme, a malattie, ad infezioni parassitarie e agli attacchi dei predatori non possono essere considerati positivi per gli animali (Špinka, 2006). Inoltre, viste le modificazioni genetiche cui sono stati sottoposti i bovini con la selezione artificiale, si riscontrano grandi difficoltà nello stabilire quale sia effettivamente la loro vita naturale (Rushen et al., 2008). Detto ciò, appare necessario individuare quali siano gli aspetti della vita naturale veramente importanti per gli animali, al fine di poterli valutare e, se possibile, di trarre alcuni benefici all’atto pratico. Abbiamo scelto gli esempi  alimentazione ad libitum per i vitelli ed “accesso al pascolo per le bovine, per poter stabilire se la ricerca sia in grado di dirci se l’accesso ad ambienti più naturali possa apportare dei benefici agli animali. Consentire ai bovini di condurre una vita ragionevolmente simile a quella che vivrebbero in natura sembrerebbe richiedere pratiche di gestione considerate inattuabili o molto svantaggiose dal punto di vista economico (come, ad esempio, permettere alle bovine ed ai vitelli di rimanere insieme). Pertanto, il ruolo primario della ricerca in questo settore è quello di scoprire nuove metodiche in grado di soddisfare i bisogni chiave degli animali e che siano anche attuabili da parte degli allevatori. 

Alimentazione e stabulazione dei vitelli

I metodi di alimentazione dei vitelli negli allevamenti di bovini da latte moderni, differiscono notevolmente da quelli che si riscontrano in natura (von Keyserlingk e Weary, 2007); sicuramente una conoscenza più approfondita del comportamento naturale intercorrente tra madre e vitello ci potrebbe aiutare nello sviluppare delle metodiche più appropriate. Generalmente, i vitelli vengono alimentati con una quantità di latte pari al 10% del loro BW  due volte al giorno, ma spesso questi soggetti non riescono a guadagnare BW durante i primi giorni di vita (Hammon et al., 2002). Quando viene fornita loro l’opportunità di succhiare il latte dalla madre, i vitelli consumano molto più del 10% del loro BW e crescono molto più rapidamente rispetto a quando vengono alimentati artificialmente (Flower and Weary, 2003). Comunque, questi benefici possono essere raggiunti anche senza tenere insieme madre e vitello. Ad oggi è chiaro come l’alimentazione con latte (al fine di consentire assunzioni maggiori) porti ad incrementi maggiori di peso corporeo (BW), ad un miglioramento dell’efficienza degli indici di conversione alimentare e ad una diminuzione dell’età del primo calore (Diaz et al., 2001; Shamay et al., 2005). Pertanto, una migliore comprensione del comportamento naturale e delle preferenze del vitello ha rivoluzionato le pratiche di alimentazione, apportando benefici sia all’animale che all’allevatore. Alimentare i vitelli con quantitativi maggiori di latte apporta ulteriori benefici poiché li rende meno affamati. I vitelli infatti vocalizzano quando sono affamati e questa risposta vocale (che si ha anche nei primi giorni dopo la separazione dalla madre) può essere notevolmente ridotta o eliminata fornendo più latte o colostro (Thomas et al., 2001). I vitelli che vengono alimentati con quantità limitate di latte mediante un alimentatore automatico, generalmente vi si recano più di 20 volte al giorno, nonostante ricevano il latte solamente in 2 di queste volte. Un incremento del quantitativo di latte somministrato riduce notevolmente la frequenza di questi accessi infruttuosi (Jensen, 2006, Vieira et al., 2008; Figura 3). Questa diminuzione del numero di accessi avvantaggia anche gli altri vitelli che usano l’alimentatore automatico,  riducendo il tempo di occupazione e la concorrenza per l’alimento. Pertanto, consentendo un comportamento alimentare più naturale possibile, si riduce la fame e, in questo caso, si migliora anche l’efficienza del sistema di alimentazione, facilitando così la stabulazione e l’allevamento in gruppo dei vitelli. Gli studi sopra citati ci suggeriscono che i benefici (in termini di miglioramento della crescita e di riduzione della fame) ottenuti dalla non separazione della madre dal vitello  potrebbero essere raggiunti, almeno in parte, fornendogli semplicemente più latte. L’allattamento mediante tettarella è più naturale, ma questo apporta anche altri benefici al vitello? I vitelli che possono succhiare una tettarella, mostrano (durante o dopo il pasto) concentrazioni più elevate di colecistochinina ed insulina (de Passillé et al., 1993) ed appaiono più rilassati al termine del pasto (Hänninen et al., 2008). I vitelli stabulati in gruppo ed alimentati con latte a volte si succhiano a vicenda (cross-sucking), ma questo comportamento può essere notevolmente ridotto o eliminato se ai vitelli viene concesso di consumare la loro razione di latte accedendo liberamente ad una tettarella; questo accade probabilmente perché proprio l’espletamento stesso del comportamento di suzione, piuttosto che l’ingestione di latte, è direttamente responsabile della riduzione della motivazione alla suzione (de Passillé e Rushen, 2006). Se utilizzata in combinazione con sistemi di alimentazione automatizzati, l’alimentazione tramite tettarella facilita anche la stabulazione in gruppo, risparmiando lavoro agli allevatori (Kung et al., 1997) e forse fornendo altri benefici ai vitelli. I giovani vitelli sono fortemente motivati nella ricerca di interazioni sociali (Færevika et al., 2007) e un contatto sociale precoce può consentire loro di sviluppare meglio le capacità d’interazione con i propri simili, che risulteranno essere molto utili nelle fasi più avanzate della loro vita. Questo esempio ci mostra come la comprensione del comportamento naturale possa essere utile nel fornirci informazioni circa la progettazione e la gestione di sistemi di alimentazione in grado di apportare molteplici benefici sia ai vitelli che alle persone che si prendono cura di loro. 

Figura 3. Numero di visite giornaliere, premiate e non, effettuate da vitelli alimentati con latte libitum o con 4L/d. Ridisegnato da Vieira et al. (2008).

Possibilità di accedere al pascolo per le bovine da latte

A volte consideriamo i bovini da latte ai quali è concesso di accedere al pascolo come se avessero un benessere animale maggiore, poiché hanno la libertà di esprimere comportamenti naturali, come il pascolamento e l’esplorazione (Hemsworth et al., 1995). Ma i bovini preferiscono davvero il pascolo? E ci sono benefici per la salute legati al pascolamento? Qui di seguito abbiamo analizzato 2 esempi. Uno ci mostra come i bovini a volte preferiscano accedere al pascolo piuttosto che ad una stalla a stabulazione libera ma questa scelta risulta essere complessa e talvolta può ribaltarsi, specialmente in relazione alle condizioni climatiche ambientali. Il secondo esempio ci mostra come anche una breve visita al pascolo possa apportare alcuni benefici alla salute delle bovine. Forse il modo più semplice per valutare come gli animali si sentano nel loro alloggio è quello di fornire loro una scelta (Fraser, 2008). I test di preferenza permettono all’animale di votare “mediante i suoi piedi”, dicendoci quale opzione ritiene migliore per lui. Ovviamente, questo ci fornisce informazioni solo su una classifica relativa; entrambe le opzioni potrebbero essere abbastanza buone o piuttosto scadenti. Inoltre, tutti noi possiamo fare delle scelte sbagliate (magari preferendo opzioni che non rientrano nei nostri interessi a lungo termine). Tuttavia, i test di preferenza ci forniscono un modo relativamente semplice di “chiedere” agli animali quali siano i loro ambienti preferiti e, in molte situazioni, il consentire agli animali di accedere ad un’opzione preferita può apportare dei benefici per quanto riguarda il loro benessere. Durante uno studio condotto di recente, alle bovine è stato consentito il libero accesso o ad una stalla ben progettata e gestita o ad una zona di pascolo adiacente alla stalla stessa (Legrand et al., 2009). Quando veniva data loro la possibilità di scegliere, le bovine preferivano effettivamente il pascolo, ma soltanto di notte (Figura 4); durante le ore diurne, le bovine rientravano nella stalla, specialmente quando le temperature erano elevate. Pertanto, va detto che il modello di preferenza è complesso: le bovine preferiscono il pascolo, ma solo in alcune condizioni, ed è probabile che scelgano le due opzioni in maniera differente. Ad esempio, la stalla risultava essere probabilmente più attrattiva durante le giornate calde visto che forniva l’ombra che non era disponibile al pascolo; la ricerca dell’ombra da parte del bestiame è direttamente correlata alle radiazioni solari (Schütz et al., 2009). Le bovine rientravano in stalla anche per accedere alla TMR, che era disponibile solo all’interno. Sono necessari ulteriori lavori per comprendere meglio come le preferenze cambino nelle diverse condizioni. Fornire alle bovine la possibilità di scegliere potrebbe essere parte della soluzione, perché consente loro di raggiungere l’ambiente che meglio si adatta alle loro esigenze variabili. La ricerca futura condotta sulle preferenze potrebbe mostrarci anche come migliorare entrambe le opzioni. Ad esempio, le bovine sceglierebbero di rimanere al pascolo, anche durante i giorni caldi, se ci fosse adeguata ombra?. Diversi esempi presenti in letteratura ci mostrano come l’accesso al pascolo possa migliorare aspetti sanitari delle bovine, come la presenza di mastite (Washburn et al., 2002). Fornire un accesso continuativo al pascolo potrebbe risultare difficile per molti produttori di latte, ma la disponibilità del pascolo è possibile almeno per alcune bovine durante alcune stagioni dell’anno. Se il pascolo apporta dei benefici per la salute, un approccio potrebbe prevedere la possibilità di accesso per bovine malate o a rischio di malattia. Pensando a questo, Hernandez-Mendo et al. (2007) hanno permesso ad alcune bovine affette da zoppia di accedere al pascolo per un breve periodo di tempo (5 settimane). Le bovine tenute al pascolo miglioravano rapidamente l’andatura rispetto ai corrispettivi soggetti di controllo (cioè quei capi con identici punteggi di andatura all’inizio dello studio, ma tenuti in una stalla a stabulazione libera); alla fine del periodo, le bovine pascolanti avevano punteggi, in media, solo di 2 (su una scala di andatura che andava fino a 5 punti), mentre le vacche di controllo avevano punteggi maggiori di 3 sempre sulla stessa scala. Questi risultati non vanno interpretati come se l’accesso al pascolo fosse in grado di migliorare tutte le misure di salute o di funzionamento biologico, o come se migliorasse tutte le condizioni di zoppia. Effettivamente, l’incidenza della zoppia può essere elevata anche nei sistemi di allevamento da latte basati sul pascolo specialmente se tenuto in certe condizioni (ad es., se i terreni sono in condizioni scadenti , Lean et al., 2008). Tuttavia, questo esempio ci dimostra che favorendo condizioni di vita simili a quelle naturali potremmo avere importanti benefici per gli animali. Gli studi condotti sulla vita naturale possono fornirci informazioni anche su quali caratteristiche ambientali specifiche possano essere importanti per le bovine. Ad esempio, lo studio di Hernandez-Mendo et al. (2007) ha mostrato come le bovine trascorressero più tempo in piedi (e quindi meno tempo sdraiate) quando lasciate al pascolo, suggerendo come la disponibilità di superfici idonee giochi un ruolo importante nel permettere alle bovine affette da zoppia di riprendersi. L’impiego di pavimenti in cemento viene considerato un fattore di rischio per l’aumento della zoppia e delle lesioni agli unghioni (Vanegas et al., 2006), quindi le bovine traggono sicuramente beneficio dall’utilizzo del pascolo, perché consente loro di evitare l’appoggio su un pavimento duro. In un recente studio, Bernardi et al. (2009) hanno apportato delle modificazioni ai sistemi di stabulazione con cuccette a posta libera spostando il tubo allineatore (o fermo al garrese), consentendo così alle bovine di trascorrere più tempo all’interno della cuccetta stessa  piuttosto che di sostare completamente o parzialmente sul pavimento in cemento. Questa modificazione ha avuto effetti simili a quelli osservati nello studio condotto sul pascolo; le bovine zoppe hanno recuperato dopo alcune settimane di accesso alla cuccetta modificata. Pertanto, l’analisi di studi condotti su bovine mantenute in condizioni più naturali potrebbe favorire la messa in atto di alcuni cambiamenti ritenuti positivi nella progettazione e nella gestione dei sistemi di allevamento intensivi, anche se questi cambiamenti non rendono certamente questi allevamenti più simili a quelli condotti in maniera più naturale. Analogamente, alcune modificazioni nella gestione e nella progettazione delle strutture potrebbero ridurre la frequenza di comportamenti che sono sì naturali ma indesiderati all’interno di sistemi di produzione intensivi, come descritto di seguito. 

Figura 4. Tempo (in percentuale) trascorso dalle bovine al pascolo quando veniva consentito loro il libero accesso ad una stalla a posta libera e ad un pascolo adiacente ad essa. Ridisegnato da Legrand et al. (2009). 

Ridurre la frequenza dei comportamenti indesiderati

Alcuni comportamenti naturali che sono probabilmente importanti per la bovina, sono indesiderati all’interno dell’allevamento. In questi casi, è importante capire quali aspetti della stabulazione o della gestione possano provocare, o ridurre, il verificarsi di tali comportamenti. Alcuni esempi includono l’eccessiva protezione materna manifestata dalle bovine (von Keyserlingk and Weary, 2007), la fuga dalle persone percepite come predatori (Rushen et al., 2008) e la competizione per le risorse (DeVries e von Keyserlingk, 2006). Qui di seguito ci siamo concentrati su quest’ultimo aspetto, mostrando come la ricerca sia riuscita ad identificare le metodiche utili a ridurre i tassi delle interazioni competitive nei bovini. L’intensificazione dell’allevamento dei bovini da latte ha fatto sì che all’interno degli allevamenti venissero ospitati molti più capi rispetto a quanti ce ne fossero nelle situazioni più tradizionali che prevedevano l’impiego del pascolo. Sebbene le interazioni aggressive avvengano anche al pascolo (Phillips and Rind, 2002), queste diventano molto più comuni all’interno delle stalle, specialmente quando c’è sovraffollamento (ad esempio, Orihuela e Galina, 1997) o raggruppamento dei capi (von Keyserlingk et al., 2008). Ad esempio, le interazioni aggressive a livello di corsia d’alimentazione aumentavano del doppio nelle bovine in transizione competitive per il cibo rispetto alle loro controparti non competitive (Proudfoot et al., 2009). Guadagnare l’accesso alla razione fresca ha una priorità elevata per i bovini ed è spesso accompagnato da un aumento dell’incidenza di interazioni aggressive (DeVries e von Keyserlingk, 2006). Tuttavia, nuovi lavori hanno dimostrato che leggere modifiche alla zona di alimentazione possono ridurre drasticamente l’aggressività. Prevedere spazi più ampi o installare dei divisori lungo la corsia di  alimentazione (per separare una bovina dall’altra) può proteggere i soggetti più subordinati dalla concorrenza, aumentando la durata del tempo di alimentazione e riducendo il numero di spostamenti dovuti alla competizione (DeVries e von Keyserlingk, 2006). L’impiego di divisori tra le varie tettarelle ha un effetto simile nel ridurre l’aggressività tra i vitelli stabulati in gruppo (Jensen et al., 2008). 

Conclusioni

Fino a poco tempo fa, molti addetti del settore lattiero-caseario presumevano che le preoccupazioni relative al benessere degli animali potessero essere risolte lavorando al fine di garantire una buona salute e una buona produttività delle bovine e dei vitelli da loro allevati. Abbiamo sottolineato anche noi come questi aspetti del funzionamento biologico siano in effetti molto importanti quando parliamo di benessere, ma l’attenzione posta su di essi, sebbene necessaria,  spesso da sola non basta; Gli aspetti relativi al benessere spesso coinvolgono anche gli stati emotivi degli animali (come il dolore o il piacere) e le preoccupazioni relative alla conduzione di una vita il più simile possibile a quella naturale (vedi la possibilità di pascolare). La scienza che si occupa di benessere animale tenta di affrontare tutte e 3 queste tipologie di preoccupazioni, andando ad identificare gli eventuali problemi presenti all’interno dell’allevamento, per poter poi sviluppare soluzioni in grado di risolverli.  Le soluzioni più corrette sono quelle definite win-win ( io vinco-tu vinci), che vanno a migliorare sia la vita dei bovini che la vita delle persone che lavorano con essi. Le soluzioni peggiori sono quelle che cercano di risolvere un problema (come la mancanza di accesso al pascolo) creandone però un altro (eccessiva esposizione delle bovine allo stress da calore). Abbiamo esaminato una serie di ricerche scientifiche specifiche per questo settore allo scopo di illustrare la molteplicità dei possibili  approcci  e di dare ai lettori una miglior conoscenza dei problemi attuali e di come questi possano essere affrontati dalla ricerca. Elevati standard di benessere animale sono e continueranno ad essere importanti all’interno dell’allevamento dei bovini da latte. Noi speriamo che questa review getti le basi per una visione condivisa di cosa rappresenti il benessere animale all’interno dell’allevamento e contribuisca ad aiutarci nell’identificare e nel risolvere le problematiche presenti in questo campo. 

Ringraziamenti

Il documento esamina i concetti e i dati raccolti dai colleghi dell’University of British Columbia Animal Welfare Program, tra cui David Fraser e i nostri numerosi studenti universitari presenti e passati. L’Animal Welfare Program è finanziato dal  Canadas Natural Sciences and Engineering Research Council (Ottawa, Ontario, Canada) Industrial Research Chair Program con il contributo del  Dairy Farmers of Canada (Ottawa, Ontario, Canada), dal Westgen Endowment Fund (Milner, British Columbia, Canada), della Pfizer Animal Health (Kirkland, Québec, Canada), del BC Cattle Industry Development Fund (Kamloops, British Columbia, Canada), del BC Milk Producers (Burnaby, British Columbia, Canada), della BC Dairy Foundation (Burnaby, British Columbia, Canada), della BC Dairy Education and Research Association (Abbotsford, British Columbia, Canada) e dell’Alberta Milk (Edmonton, Alberta, Canada). 

Riferimenti

Bernardi, F., J. Fregonosi, D. M. Veira, C. Winkler, M. A. G. von Keyserlingk, and D. M. Weary. 2009. The stall design paradox: Neck rails increase lameness but improve udder and stall hygiene. J. Dairy Sci. 92:3074–3080. 

Bertenshaw, C. E., P. R. Rowlinson, H. L. Edge, S. Douglas, and R. Shiel. 2008. The effect of different degrees of ‘positive’ human–animal interaction during rearing on welfare and subsequent production of commercial dairy heifers. Appl. Anim. Behav. Sci.114:65–75. 

Boissy, A., G. Manteuffel, M. B. Jensen, R. O. Moe, B. Spruijt, L. J. Keeling, C. Winckler, B. Forkman, I. Dimitrov, J. Langbein, M. Bakken, I. Veissier, and A. Aubert. 2007. Assessment of positive emotions in animals to improve their welfare. Physiol. Behav. 92:375–397. 

Borderas, T. F., J. Rushen, and A. M. de Passillé. 2008b. Behavioral effects of endotoxin-induced fever in dairy calves. J. Anim. Sci. 86:2920–2927. 

Borderas, T. F., A. Fournier, J. Rushen, and A. M. B. de Passille. 2008a. Effect of lameness on dairy cows’ visits to automatic milking systems. Can. J. Anim. Sci. 88:1–8. 

Bruckmaier, R. M., and J. W. Blum. 1998. Oxytocin release and milk removal in ruminants. J. Dairy Sci. 81:939–949. 

Channon, A. J., A. M. Walker, T. Pfau, I. M. Sheldon, and A. M. Wilson. 2009. Variability of Manson and Leaver locomotion scores assigned to dairy cows by different observers. Vet. Rec. 164:388–392. 

Colditz, I. G. 2002. Effects of the immune system on metabolism: Implications for production and disease resistance in livestock. Livest. Prod. Sci. 75:257–268. 

Cook, N. B., and K. V. Nordlund. 2009. Review: The influence of the environment on dairy cow behavior, claw health and herd health lameness dynamics. Vet. J. 179:360–369. 

Dawkins, M. S. 2008. The science of animal suffering. Ethology 114:937–945. 

de Passillé, A. M., R. J. Christopherson, and J. Rushen. 1993. Nonnutritive sucking and the postprandial secretion of insulin, CCK and gastrin in the calf. Physiol. Behav. 54:1069–1073. 

de Passillé, A. M. B., and J. Rushen. 2006. Calves’ behaviour during nursing is affected by feeding motivation and milk availability. Appl. Anim. Behav. Sci. 101:264–275. 

DeVries, T. J., and M. A. G. von Keyserlingk. 2006. Effects of feeder design on the social and feeding behaviour of lactating dairy cows. J. Dairy Sci. 89:3522–3531. 

Diaz, M. C., M. E. Van Amburgh, J. M. Smith, J. M. Kelsey, and E. L. Hutten. 2001. Composition of growth of Holstein calves fed milk replacer from birth to 105-kilogram body weight. J. Dairy Sci. 84:830–842. 

Eicher, S. D., H. W. Cheng, A. D. Sorrells, and M. M. Schutz. 2006. Short communication: Behavioral and physiological indicators of sensitivity or chronic pain following tail docking. J. Dairy Sci. 89:3047–3051. 

Færevika, G., I. L. Andersen, M. B. Jensen, and K. E. Bøe. 2007. Increased group size reduces conflicts and strengthens the preference for familiar group mates after regrouping of weaned dairy calves (Bos taurus). Appl. Anim. Behav. Sci. 108:215–228. 

Fleischer, P., M. Metzner, M. Beyerbach, M. Hoedemaker, and W. Klee. 2001. The relationship between milk yield and the incidence of some diseases in dairy cows. J. Dairy Sci. 84:2025–2035. 

Flower, F. C., D. J. Sanderson, and D. M. Weary. 2005. Hoof pathologies influence kinematic measures of dairy cow gait. J. Dairy Sci. 88:3166–3175. 

Flower, F. C., and D. M. Weary. 2003. The effects of early separation on the dairy cow and calf. Anim. Welf. 12:339–348. 

Flower, F. C., and D. M. Weary. 2009. Gait assessment in dairy cattle. Animal 3:87–95. 

Fraser, D. 2003. Assessing animal welfare at the farm and group level: The interplay of science and values. Anim. Welf. 12:433–443. 

Fraser, D. 2008. Understanding Animal Welfare: The Science in Its Cultural Context. Wiley-Blackwell, Oxford, UK. 

Fraser, D., D. M. Weary, E. A. Pajor, and B. N. Milligan. 1997. A scientific conception of animal welfare that reflects ethical concerns. Anim. Welf. 6:187–205. 

Goff, J. P. 2006. Major advances in our understanding of nutritional influences on bovine health. J. Dairy Sci. 89:1292–1301. 

González, L. A., B. J. Tolkamp, M. P. Coffey, A. Ferret, and I. Kyriazakis. 2008. Changes in feeding behavior as possible indicators for the automatic monitoring of health disorders in dairy cows. J. Dairy Sci. 91:1017–1028. 

Gröhn, Y. T., P. J. Rajala-Schultz, H. G. Allore, M. A. DeLorenzo, J. A. Hertl, and D. T. Galligan. 2003. Optimizing replacement of dairy cows: Modeling the effects of diseases. Prev. Vet. Med. 61:27–43. 

Hammon, D. S., I. M. Evjen, T. R. Dhiman, J. P. Goff, and J. L. Walters. 2006. Neutrophil function and energy status in Holstein cows with uterine health disorders. Vet. Immunol. Immunopathol. 113:21–29. 

Hammon, H. M., G. Schiessler, A. Nussbaum, and J. W. Blum. 2002. Feed intake patterns, growth performance, and metabolic and endocrine traits in calves fed unlimited amounts of colostrum and milk by automate, starting in the neonatal period. J. Dairy Sci. 85:3352–3362. 

Hänninen, L., H. Hepola, S. Raussi, and H. Saloniemi. 2008. Effect of colostrum feeding method and presence of dam on the sleep, rest and sucking behaviour of newborn calves. Appl. Anim. Behav. Sci. 112:213–222. 

Heinrich, A., T. F. Duffield, K. D. Lissemore, E. J. Squires, and S. T. Millman. 2009. The impact of meloxicam on postsurgical stress associated with cautery dehorning. J. Dairy Sci. 92:540–547. 

Hemsworth, P. H., J. L. Barnett, L. Beveridge, and L. R. Matthews. 1995. The welfare of extensively managed dairy cattle: A review. Appl. Anim. Behav. Sci. 42:161–182. 

Hernandez-Mendo, O., M. A. G. von Keyserlingk, D. M. Veira, and D. M. Weary. 2007. Effects of pasture on lameness in dairy cows. J. Dairy Sci. 90:1209–1214. 

Huzzey, J. M., D. M. Veira, D. M. Weary, and M. A. G. von Keyserlingk. 2007. Prepartum behavior and dry matter intake identify dairy cows at risk for metritis. J. Dairy Sci. 90:3220–3233. 

Ingvartsen, K. L., R. J. Dewhurst, and N. C. Friggens. 2003. On the relationship between lactational performance and health: Is it yield or metabolic imbalance that cause production diseases in dairy cattle? A position paper. Livest. Prod. Sci. 83:277–308. 

Jensen, M. B. 2006. Computer-controlled milk feeding of group-housed calves: The effect of milk allowance and weaning type. J. Dairy Sci. 89:201–206. 

Jensen, M. B., A. M. de Passillé, M. A. G. von Keyserlingk, and J. Rushen. 2008. A barrier can reduce competition over teats in pairhoused milk-fed calves. J. Dairy Sci. 91:1607–1613. 

Kelm, S. C., and A. E. Freeman, and NC-2 Technical Committee. 2000. Direct and correlated responses to selection for milk yield: Results and conclusions of Regional Project NC-2, “Improvement of dairy cattle through breeding, with emphasis on selection.” J. Dairy Sci. 83:2721–2732. 

Kung, L. Jr., S. Demarco, L. N. Siebenson, E. Joyner, G. F. W. Haenlein, and R. M. Morris. 1997. An evaluation of two management systems for rearing calves fed milk replacer. J. Dairy Sci. 80:2529–2533. 

Lean, I. J., C. T. Westwood, and M. C. Playford. 2008. Livestock disease threats associated with intensification of pastoral dairy farming. N. Z. Vet. J. 56:261–269. 

Legrand, A. L., M. A. G. von Keyserlingk, and D. M. Weary. 2009. Preference and usage of pasture versus free-stall housing by lactating dairy cattle. J. Dairy Sci. 92:3651–3658. 

Millman, S. T. 2007. Sickness behaviour and its relevance to animal welfare assessment at the group level. Anim. Welf. 16:123–125. 

World Organization for Animal Health. 2008. Introduction to the recommendations for animal welfare. Article 7.1.1.Pages 235–236 in Terrestrial Animal Health Code 2008. World Organization for Animal Health (OIE), Paris, France. 

Orihuela, A., and C. S. Galina. 1997. Social order measured in pasture and pen conditions and its relationship to sexual behavior in Brahman (Bos indicus) cows. Appl. Anim. Behav. Sci. 52:3–11. 

Pastell, M. E., and M. Kujala. 2007. A probabilistic neural network model for lameness detection. J. Dairy Sci. 90:2283–2292. 

Phillips, C. J. C., and M. I. Rind. 2002. The effects of social dominance on the production and behaviour of grazing dairy cows offered forage supplements. J. Dairy Sci. 85:51–59. 

Proudfoot, K. A., D. M. Veira, D. M. Weary, and M. A. G. von Keyserlingk. 2009. Competition at the feed bunk changes the feeding, standing, and social behavior of transition dairy cows. J. Dairy Sci. 92:3116–3123. 

Rauw, W. M., E. Kanis, E. N. Noordhuizen-Stassen, and F. J. Grommers. 1998. Undesirable side effects of selection for high production efficiency in farm animals: A review. Livest. Prod. Sci. 56:15–33. 

Rushen, J., A. M. de Passillé, M. A. G. von Keyserlingk, and D. M. Weary. 2008. The Welfare of Cattle. Springer, Dordrecht, the Netherlands. 

Rushen, J., L. Munksgaard, P. G. Marnet, and A. M. de Passillé. 2001. Human contact and the effects of acute stress on cows at milking. Appl. Anim. Behav. Sci. 73:1–14. 

Schreiner, D. A., and P. L. Ruegg. 2002. Effects of tail docking on milk quality and cow cleanliness. J. Dairy Sci. 85:2503–2511. 

Schütz, K. E., A. R. Rogers, N. R. Cox, and C. B. Tucker. 2009. Dairy cows prefer shade that offers greater protection against solar radiation in summer: Shade use, behaviour, and body temperature. Appl. Anim. Behav. Sci. 116:28–34. 

Shamay, A., D. Werner, U. Moallem, H. Barash, and I. Bruckental. 2005. Effect of nursing management and skeletal size at weaning on puberty, skeletal growth rate and milk production during first lactation of dairy heifers. J. Dairy Sci. 88:1460–1469. 

Song, X., T. Leroy, E. Vranken, W. Maertens, B. Sonck, and D. Berckmans. 2008. Automatic detection of lameness in dairy cattle- Vision-based trackway analysis in cow’s locomotion. Comput. Electron. Agric. 64:39–44. 

Špinka, M. 2006. How important is natural behaviour in animal farming systems? Appl. Anim. Behav. Sci. 100:117–128.  

Stafford, K. J., and D. J. Mellor. 2005. Dehorning and disbudding distress and its alleviation in calves. Vet. J. 169:337–349. 

Stilwell, G., R. C. de Carvalho, M. S. Lima, and D. M. Broom. 2009. Effect of caustic paste disbudding, using local anaesthesia with and without analgesia, on behaviour and cortisol of calves. Appl. Anim. Behav. Sci. 116:35–44. 

Svensson, C., and M. B. Jensen. 2007. Short communication: Identification of diseased calves by use of data from automatic milk feeders. J. Dairy Sci. 90:994–997. 

Tadich, N., E. Flor, and L. Green. 2009. Associations between hoof lesions and locomotion score in 1098 unsound dairy cows. Vet. J. doi:10.1016/j.tvjl.2009.01.005. 

Thomas, T. J., D. M. Weary, and M. C. Appleby. 2001. Newborn and 5-week-old calves vocalize in response to milk deprivation. Appl. Anim. Behav. Sci. 74:165–173. 

Tom, E. M., I. J. H. Duncan, T. M. Widowski, K. G. Bateman, and K. E. Leslie. 2002b. Effects of tail docking using a rubber ring with or without anesthetic on behavior and production of lactating cows. J. Dairy Sci. 85:2257–2265. 

Tom, E. M., J. Rushen, I. J. H. Duncan, and A. M. de Passillé. 2002a. Behavioural, health and cortisol responses of young calves to tail docking using a rubber ring or docking iron. Can. J. Anim. Sci. 82:1–9. 

USDA. 2007. Dairy 2007, Part I: Reference of Dairy Cattle Health and Management Practices in the United States, 2007. No. N480.1007. USDA-Anim. Plant Health Inspection Serv.-Vet. Serv., Centers Epidemiol. Anim. Health, Fort Collins, CO. 

USDA. 2009. Dairy 2007, Part IV: Reference of Dairy Cattle Health and Management Practices in the United States, 2007. No. N494.0209. USDA-Anim. Plant Health Inspection Serv.-Vet. Serv., Centers Epidemiol. Anim. Health, Fort Collins, CO. 

Vanegas, J., M. Overton, S. L. Berry, and W. M. Sischo. 2006. Effect of rubber flooring on claw health in lactating dairy cows housed in free-stall barns. J. Dairy Sci. 89:4251–4258. 

Veissier, I., A. Butterworth, B. Bock, and E. Roe. 2008. European approaches to ensure good animal welfare. Appl. Anim. Behav. Sci. 113:279–297. 

Vickers, K. J., L. Niel, L. M. Kiehlbauch, and D. M. Weary. 2005. Calf response to caustic paste and hot-iron dehorning using sedation with and without local anesthetic. J. Dairy Sci. 88:1454–1459.  

Vieira, A. D., V. Guesdon, A. M. de Passillé, M. A. G. von Keyserlingk, and D. M. Weary. 2008. Behavioural indicators of hunger in dairy calves. Appl. Anim. Behav. Sci. 109:180–189. 

von Keyserlingk, M. A. G., D. Olenick, and D. M. Weary. 2008. Acute behavioral effects of regrouping dairy cows. J. Dairy Sci. 91:1011–1016. 

von Keyserlingk, M. A. G., and D. M. Weary. 2007. Maternal behaviour in cattle: A review. Horm. Behav. 52:106–113. 

Washburn, S. P., S. L. White, J. T. Green Jr., and G. A. Benson. 2002. Reproduction, mastitis, and body condition of seasonally calved Holstein and Jersey cows in confinement or pasture systems. J. Dairy Sci. 85:105–111. 

Weary, D. M., J. M. Huzzey, and M. A. G. von Keyserlingk. 2009. Board-invited review: Using behavior to predict and identify ill health in animals. J. Anim. Sci. 87:770–777. 

Weary, D. M., L. Niel, F. C. Flower, and D. Fraser. 2006. Identifying and preventing pain in animals. Appl. Anim. Behav. Sci. 100:64–76. 

Whay, H. R., D. C. J. Main, L. E. Green, and A. J. F. Webster. 2003. Assessment of the welfare of dairy cattle using animal-based measurements: Direct observations and investigation of farm records. Vet. Rec. 153:197–202.