Gli italiani sono tra i maggiori mangiatori di formaggi e, tra quelli di vacca, bufala, pecora o capra, freschi come la mozzarella o lo stracchino, o lungamente stagionati come i diversi tipi di grana, ogni anno ne consumano circa 23 chilogrammi, un primato che si contendono con francesi e olandesi. Nel 2015 gli italiani sono risaliti al quinto posto per i consumi di formaggio occupando la parte alta della classifica mondiale. I motivi di questa preminenza sono la lunga tradizione, le grandi varietà (si calcola che i formaggi italiani superino il numero di seicento!), l’alta qualità e i loro numerosissimi usi in cucina. Non si dimentichi che la prima descrizione letteraria del formaggio, tra il seicento e l’ottocento prima della nostra era, é di Omero che nell’Odissea descrive in dettaglio il caseificio di Polifemo, che la gran parte degli studiosi pone in Sicilia, e ancor oggi i formaggi siciliani di latte pecorino e caprino sono eccellenti. Lo stesso autore, nell’Iliade, descrive il primo cocktail della storia, nel quale compare il formaggio grattugiato nel vino.

Tornando ai consumi di formaggio, i primi in assoluto nella classifica sono i francesi con 25,9 chilogrammi per abitante, secondi vengono gli islandesi con 25,2 chilogrammi, terzi i finlandesi con 24,7 chilogrammi. Seguono poi la Germania (24,3 chilogrammi a testa), l’Italia (23 chilogrammi), l’Estonia (21,7 chilogrammi), la Svizzera (21,3 chilogrammi), la Lituania (20,1 chilogrammi), l’Austria (19,9 chilogrammi) e la Svezia (19,8). In Europa mediamente si mangiano 17 chilogrammi di formaggio a testa mentre negli Stati Uniti, Canada e Australia si scende a 15 chilogrammi.

Nell’Italia settentrionale prevalevano i formaggi vaccini, nel centro quelli ovicaprini e nel meridione a questi ultimi si aggiungevano quelli bufalini, ma in questi ultimi tempi si sta verificando una certa omogeneizzazione e i formaggi ovicaprini e bufalini si stanno diffondendo nel settentrione mentre quelli vaccini colonizzano il meridione. Il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano sono, nell’ordine, i formaggi preferiti dagli italiani, seguiti nella classifica dei consumi da Mozzarella, Pecorino romano, Asiago, Provolone della Valpadana e Gorgonzola. Buoni posizionamenti hanno anche le caciotte, i formaggi a pasta molle come Taleggio e Fontina, quelli freschi come la crescenza e gli stracchini, e le ricotte. Tra i formaggi stranieri, di cui siamo buoni importatori, in vetta ai consumi vi è l’Emmental, il formaggio svizzero con i buchi, mentre stanno acquistando spazio altri prodotti caseari come gli yogurt e i formaggi tipo mozzarella, i formaggi grassi francesi, la feta greca e anche qualche formaggio vaccino duro a lunga stagionatura prodotto nell’Europa dell’Est con tecnologie italiane. Un pezzetto di formaggio non manca quasi mai nel pasto quotidiano degli italiani. Diversi tipi di formaggi sono molto utilizzati in cucina per la preparazione dei piatti e delle pietanze più diverse, come condimenti e soprattutto grattugiati sulla pasta, o come antipasti o dessert, dove sono spesso accompagnati ad alimenti zuccherini (miele, confetture, composte e gelatine, e frutta dalle pere all’uva passita), unendo le proprietà di più alimenti fondamentali nella dieta.

Secondo l’ISMEA, negli ultimi anni il bilancio italiano di approvvigionamento di latte e derivati bovini si pone tra il 67 e il 70% e solo una parte dei formaggi mangiati dagli italiani è d’origine nazionale mentre circa il 30% è d’importazione, soprattutto da altri paesi europei e nel quadro della libera circolazione delle merci che vige nell’Unione Europea. Le importazioni in Italia di formaggi, in sostanza, sono la conseguenza di una sostenuta domanda e di un’insufficiente produzione nazionale, con le seguenti precisazioni.

La prima ragione dell’elevata richiesta di formaggi è dovuta al fatto che gli italiani non rinunciano a questo cibo che da tempo immemorabile fa parte del loro DNA alimentare. Inoltre, i formaggi sono un alimento pregiato i cui consumi aumentano con il reddito: non si dimentichi l’antico adagio che recita al villan non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere, indicando che il formaggio, come un frutto nobile come la pera, era per i ceti abbienti e benestanti lo sono divenuti se non tutti, almeno una buona parte degli italiani. L’aumento dei consumi si collega anche al fatto che molti tipi di formaggi, oltre a far parte di varie ricette tradizionali sempre di moda, permettono con facilità e rapidità di preparare piatti e menù nei quali entrano come componenti e, non di rado, anche come elemento forte di un piatto unico. In quest’ambito i formaggi stanno assumendo un importante ruolo nell’evoluzione della cucina italiana anche con una riscoperta di ricche abitudini gastronomiche del passato, per esempio della cucina rinascimentale e barocca.

Un secondo elemento che ha portato all’aumento del consumo dei formaggi è la sprovincializzazione alimentare degli italiani, che si sono aperti ai formaggi stranieri e a quelli prodotti da un’industria casearia italiana che, partendo anche da formaggi tradizionali e usando altresì latte d’importazione, ha sviluppato una nuova serie di formaggi più vicini alle moderne esigenze dietetiche, agli attuali gusti degli italiani e adatti a nuove forme d’utilizzo alimentare.

Terzo elemento che determina l’aumento delle importazioni di formaggi (e di latte e suoi derivati) è la già citata, insufficiente produzione di latte italiano che non ha seguito l’aumento dei consumi. Le vacche da latte italiane sono meno di due milioni e, nonostante la loro buona produzione di latte pro capite, non é possibile un’autosufficienza nazionale di latte per uso diretto e per la sua trasformazione casearia. Molti sono i motivi dietro a questa insufficiente produzione, dalla scarsità di terreni agricoli e pascolativi, ai costi dei terreni e degli alimenti d’importazione per animali, per cui non è prevedibile un sostanziale, rapido cambiamento della situazione presente.

Se un’insufficiente disponibilità di latte non interferisce sulla produzione dei formaggi DOP legati al territorio italiano, diversamente avviene per gli altri formaggi, soprattutto quelli della già citata industria casearia che ricorre a latte e suoi derivati d’importazione. In questa situazione, l’industria casearia italiana sta dimostrando un’alta capacità di valorizzazione della materia prima importata, in un Made by Italy che va dalla sua scelta alla sua trasformazione in prodotti caseari sempre più apprezzati dagli italiani, che si aggiungono ai circa seicento tipi di formaggio prodotti in Italia e legati al territorio e alle tradizioni locali.

Il formaggio non manca mai nella cucina e nella gastronomia italiana, sempre più apprezzata e che fa da traino alle esportazioni dei formaggi Made in Italy che sono infatti in aumento (incrementi del 5 – 8 – 11% negli ultimi anni secondo la tipologia). Il fenomeno è indubbiamente positivo, ma ha anche l’aspetto negativo di indurre le imitazioni estere, il cosiddetto Italian Sounding. Tre sono i principali aspetti di questo, complesso fenomeno. Il primo è l’indubbio limite nella produzione dei formaggi italiani di qualità, e soprattutto quelli DOP, imposto dalla produzione territoriale di latte, per cui è materialmente impossibile coprire tutta la richiesta dei paesi esteri e delle loro grandi catene di distribuzione alimentare. Il secondo aspetto riguarda il prezzo dei formaggi italiani, indubbiamente più alto dei formaggi esteri, per i maggiori costi di produzione del latte nazionale e della industria italiana. Il terzo aspetto dipende dal fatto che all’estero, al di fuori di ristoranti di qualità medio/alta, i consumatori non sono abituati, come invece fa buona parte degli italiani, a valutare il costo di una qualità che non sempre sono capaci d’apprezzare. Per questo motivo diffondere una migliore conoscenza delle qualità dei nostri formaggi e del loro uso in cucina e sulla tavola è un indispensabile strumento di difesa di questi prodotti all’estero e di contrasto all’Italian sounding.

 

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastrononie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastrononie.