L’uomo ha un’attrazione fatale per le azioni rischiose che potrebbero anche mettere a repentaglio la sua vita. Forse è un residuo ormai indelebile della selezione naturale, di quando la volontà di vivere e riprodursi si scontrava quotidianamente con una natura ostile e dove a primeggiare era sì il più forte ma soprattutto il più adatto.

Già nell’antica Roma girava il proverbio “Nihil ausi, nihil acquiritur”, che altro non significa che “chi non risica non rosica”, ossia chi non rischia, poco o tanto che sia, poco ottiene.

Ci sono tantissimi sport estremi dove si combina la velocità con il rischio, come le gare di moto GP, il parapendio, il bungee jumping, il downhill e quant’altro, e che hanno un largo seguito non tanto di praticanti quanto di spettatori. La nota marca di bevande energizzanti Red Bull è lo sponsor più munifico di queste specialità sportive che gli servono per associare il suo brand alla sportività estrema, all’energia psico-fisica e alla determinazione. Anche nei film d’azione sono molto attraenti i personaggi che rischiano la vita per tutta la durata dell’opera e la figura dell’eroe, nel quale identificarsi ma senza rischiare, esiste da sempre. Altamente consigliabile è la lettura del libro “Il viaggio dell’eroe” di Chris Vogler per comprendere a fondo questo antichissimo mito umano.

Il mondo che l’uomo ha costruito permette anche a chi non ha così tanto coraggio di vivere questa archetipa emozione senza rischiare la vita. Cinema, video giochi, libri e il seguire gli sport estremi (senza praticarli) ne sono la più tangibile testimonianza.

La percezione del rischio, ossia la capacità di considerare una determinata attività più o meno pericolosa, è comunque molto individuale. Testimonianza ne è che la stessa pratica rischiosa alcuni la fanno altri no perché la percezione di pericolosità è individuale. E’ un tratto congenito o acquisito? Difficile dirlo. Sta di fatto che taluni rischiano la vita spesso o per diletto o per mestiere e altri mai.

Nelle società umane, oltre al rischio fisico di farsi male o addirittura di morire, c’è il rischio imprenditoriale, evento di per sè esaltante e pericoloso perché può portare a successi inauditi o a fallimenti clamorosi. Accanto a questi imprenditori ci sono molti che scelgono di non rischiare in questo ambito optando per un lavoro dipendente. Sono due tipi di esistenze lavorative, ma anche di stili di vita, completamente diverse, e nessuna è meglio dell’altra, almeno rispetto a quelli che sono considerati dei valori.

Ovvio è che chi sceglie di fare l’imprenditore, categoria nella quale si annoverano anche i liberi professionisti, deve capire se è la sua indole a portarlo a questa scelta o una calcolata volontà di avere più potere e più denaro se le cose dovessero andare per il verso giusto.

Essere l’uno o l’altro sono opzioni da rispettare sempre, sia che siano scelte dettate dal seguire la propria indole che dalla necessità o dai condizionamenti esterni. L’uomo è diventato quello che è per quella smania che ha dentro di fare sempre di più, di non accontentarsi mai dei traguardi raggiunti. Se così non fosse stato non saremmo migrati dall’Africa affrontando l’ignoto alla ricerca di nuove terre in cui insediarci e non avremmo inventato tutte quelle tecnologie che stanno sconvolgendo la quotidianità di tutti noi, sia nel bene che nel male. Mi sento di consigliare a chi vuole approfondire questo argomento la lettura del libro “L’animale inquieto” di Edoardo Boncinelli e Marco Furio Ferrario.

Certo è che la frenesia di fare sempre meglio e di più, che è il movente nascosto di chi ama rischiare negli sport, nel lavoro e nella società, deve essere “contenuta” solo quando si devono evitare rischi di danni alla collettività e all’ambiente, e tutelare chi questa smania incontrollabile di denaro e potere non ce l’ha. Le leggi, le norme e le regole morali servono a questo, e lo sforzo di uno Stato deve essere quello di tutelare l’ordine e il rispetto delle regole senza cadere nel tragico errore di pensare che gli imprenditori e professionisti sono sempre potenziali o effettivi “delinquenti” da limitare e reprime a prescindere.

L’indole del rischiare e la smania di fare sempre meglio e di più non va repressa, anzi, va incoraggiata fin dalla più tenera età dalla famiglia e dalla scuola ma va arricchita di potenti contenuti culturali in modo che la natura umana non venga solo repressa ma indirizzata verso il rispetto degli altri, dell’ambiente e delle regole sociali. Di converso, non si può pretendere che chi questa indole non ce l’ha scelga la strada della provvisorietà e del rischio, oppure che questa sia considerata un ripiego se un posto fisso non si è riusciti a trovarlo. Anche chi per indole o condizionamento famigliare pensa che la scelta migliore da fare sia cercare un posto fisso, magari nella pubblica amministrazione, deve essere consapevole che questo non significa poter fare ciò che gli pare e magari assumere atteggiamenti arroganti verso il mondo delle imprese dove vengono generate le risorse economiche necessarie a retribuire chi non lavora nel mondo produttivo ma nel terziario pubblico, ossia nei servizi. In Italia, ma un pò in tutto l’Occidente, siamo orfani di decisori politici ed educatori colti e lungimiranti che abbiano la capacità di organizzare lo Stato in modo da tutelare i diritti di tutti, di evitare sopraffazioni e diseguaglianze e far sentire tutti i cittadini uguali di fronte alla legge e con gli stessi diritti.

Per rimanere nell’ambito dell’agricoltura e della zootecnia, di esempi di rapporti conflittuali tra aziende agricole e zootecniche con gli organi di controllo ce ne sono molti. Senza fare una graduatoria di merito, l’impostazione imprenditoriale degli agricoltori spesso cozza contro quella del dipendente pubblico senza che ci sia un arbitro a cui ricorrere fatto da commissioni che vedano il popolo della partita IVA e quello del posto fisso equamente rappresentati.