In campo zootecnico non esistono norme specifiche relative alle caratteristiche qualitative delle acque destinate all’abbeverata degli animali. La normativa nazionale che disciplina la qualità delle acque ad uso umano è invece il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31; in esso vengono riportati i seguenti parametri:

  • microbiologici (Escherichia coli, enterococchi);
  • chimici (nitrati, nitriti, metalli pesanti, arsenico, cromo, rame, piombo, mercurio, ecc.);
  • “indicatori” (colore, odore, sapore, torbidità, durezza, presenza di alluminio, ammonio, cloruro, ferro, manganese, solfato, sodio, batteri coliformi a 37°C, ecc.).

L’acqua destinata all’abbeverata deve comunque essere di buona qualità perchè acque non idonee possono comportare problemi sanitari, riduzione delle prestazioni produttive, alterazione della qualità dei prodotti e danni alle attrezzature.

Nel presente articolo vengono approfonditi i parametri ritenuti fondamentali per la valutazione della qualità dell’acqua di bevanda da somministrare agli animali di interesse zootecnico.

Durezza

La durezza (o grado idiometrico) è una proprietà dell’acqua legata prevalentemente al contenuto di sali, in particolare carbonati, bicarbonati e solfati di calcio e magnesio, espressa generalmente in grammi di carbonato di calcio o di ossido di calcio contenuti in 100 l di acqua (rispettivamente gradi francesi °F e gradi tedeschi °D).

Acque ricche di sali di calcio e magnesio vengono definite “dure”, mentre acque povere o esenti sono dette “dolci”.

Questo parametro, se mantenuto entro certi limiti, non sembra avere alcun effetto su salute, performance e consumo di acqua degli animali. Acque particolarmente dure (> di 20°F) possono essere poco digeribili, provocare una diminuzione dell’assorbimento intestinale degli oligoelementi presenti nelle razioni e favorire la formazione di incrostazioni calcaree all’interno delle tubazioni e negli orifizi degli abbeveratoi, con diminuzione della portata di questi ultimi o addirittura otturazione completa di parti della rete idrica.

pH

Il pH indica il grado di acidità o alcalinità di una soluzione acquosa. Normalmente nell’acqua il pH è compreso fra 6 e 9, range che può essere considerato adatto per l’acqua di bevanda; infatti, la maggioranza degli autori riporta come accettabili valori compresi fra 6,5 e 8,5.

In generale, acque con pH al di fuori del range 6,5-8,5 possono contribuire all’insorgenza di turbe del metabolismo e della fertilità, di diarrea, di scadente conversione dell’alimento e di minore ingestione di acqua e alimento, e alla precipitazione di alcuni farmaci somministrati con l’acqua, con possibilità di tempi di sospensione prolungati e di presenza di residui di medicinali nelle carcasse.

Acque particolarmente acide (pH < di 5¸5,5) possono inoltre provocare problemi all’apparato urinario e digestivo, fenomeni di demineralizzazione e fragilità scheletrica, corrosione dei materiali.

Salinità e solidi totali disciolti

La salinità è un parametro molto importante da considerare per l’abbeverata degli animali; essa è equivalente ai solidi totali disciolti (STD), i quali vengono espressi come milligrammi di residuo fisso per litro di acqua dopo essiccamento a 180°C.

La tabella 1 mostra come acque con una concentrazione di STD superiore a 3.000 mg/l provochino i primi effetti negativi sull’organismo.

Contaminanti biologici

In generale il controllo microbiologico dell’acqua di bevanda in allevamento è in grado di evitare conseguenze patologiche a carico degli animali, quali problemi gastroenterici, digestivi, respiratori, urogenitali e riproduttivi.

Tra i possibili indicatori di contaminazione biologica dell’acqua vengono generalmente presi in considerazione i coliformi totali e fecali, gli streptococchi fecali e i batteri totali. In campo zootecnico un’acqua con un numero di coliformi inferiore a 50 per 100 ml può essere considerata “sicura”. Un numero di batteri totali superiore a 500 per 100 ml può indicare una scarsa qualità microbiologica e se questo numero è superiore a 1.000.000 per 100 ml l’acqua non deve essere utilizzata per l’abbeverata.

Abbeveratoio sporco

In tabella 2 vengono riportati i limiti massimi ammessi di alcuni contaminanti biologici nell’acqua di abbeverata dei bovini.

Inoltre, grazie al rapporto coliformi fecali/streptococchi fecali è possibile riconoscere la fonte di contaminazione:

  • rapporto < 1 = inquinamento da fonti non umane;
  • rapporto compreso fra 1 e 2,5 = inquinamento da fonti umane e non umane;
  • rapporto > 2,5 = inquinamento da fonti umane.

Contaminanti chimici

L’inquinamento chimico delle acque è dovuto principalmente allo scarico di rifiuti industriali nei corsi d’acqua e nei terreni e all’utilizzo massiccio di fitofarmaci in agricoltura. Si ritiene che attualmente siano alcuni milioni le sostanze chimiche conosciute. Quelle effettivamente disponibili sul mercato sono circa 100.000, delle quali circa 8.000 tossiche e 200 ritenute cancerogene e/o sospette cancerogene; solo per 2.100 prodotti sono stati individuati i rispettivi valori limite di tossicità.

I contaminanti chimici si possono suddividere fondamentalmente in due categorie: organici e inorganici.

Nel caso dei contaminanti organici si tratta di sostanze, presenti in natura o prodotte dall’attività umana, che contengono carbonio; spesso sono sostanze non degradabili o che impiegano tempi lunghissimi per decomporsi, perché “sconosciute” ai microrganismi che operano la biodegradazione. Tra le principali categorie di contaminanti organici ci sono la trielina, i tetracloroetilene e i composti organoalogenati in genere, idrocarburi vari, aloformi o derivati alogenati del metano.

Fra i contaminanti inorganici meritano una particolare attenzione i nitrati e i nitriti, i solfati, i cloruri, l’acido solfidrico, alcuni elementi minerali e i metalli pesanti.

Livelli moderati di nitrati sono in grado di provocare diversi problemi, quali riduzione della crescita, aumento di infertilità e aborti, carenza di vitamina A e disturbi all’apparato digestivo, ma la loro pericolosità aumenta notevolmente se vengono trasformati in nitriti, composti molto tossici in grado di rendere impossibile il trasporto dell’ossigeno ai tessuti e di provocare disturbi cardiovascolari e nervosi. Una forte ingestione di nitrati può determinare un eccessivo accumulo nel sangue di nitriti, in grado di reagire con l’emoglobina, trasformandola in metaemoglobina e riducendo in questo modo l’apporto di ossigeno alle cellule, con conseguenti difficoltà respiratorie, cianosi, tremori, incoordinamento dei movimenti e possibile esito mortale.

In tabella 3 vengono riportate le concentrazioni di nitrati ammessi per l’abbeverata dei bovini; quando l’acqua presenta un contenuto di NO3 superiore a 220 mg/l non dovrebbe essere utilizzata.

L’assunzione di acque con alte concentrazioni di solfati (in particolare quelli di magnesio e di sodio) può provocare nell’organismo disturbi gastrointestinali con un forte effetto lassativo (concentrazioni superiori a 1.000 mg/l). Inoltre, a concentrazioni superiori a 800 mg/l può provocare carenze di ferro, manganese, rame, zinco e vitamina B, con conseguente riduzione di crescita, fertilità e risposta immunitaria.

La presenza di alte concentrazioni di cloruri nell’acqua (dovute a problemi di non corretta clorazione) è in grado alterarne il sapore e di accelerare la corrosione dei metalli. Nei bovini non si può escludere che concentrazioni elevate possano interferire sulle fermentazioni ruminali.

Anche l’acido solfidrico, un gas facilmente riconoscibile per il caratteristico odore di uova marce, è in grado di alterare la qualità dell’acqua. Può essere ritenuto un indice di scarsa qualità dell’acqua potabile, anche se esistono acque sotterranee contenenti acido solfidrico ma assolutamente pure da un punto di vista microbiologico.

Tra le componenti inorganiche dell’acqua di bevanda occorre ricordare anche i metalli pesanti (cadmio, cromo, piombo, arsenico, mercurio, nichel, ecc.), i quali possono essere presenti in natura o derivare da attività umane. Questi metalli, data la loro tossicità, hanno una soglia di concentrazione ammessa molto bassa, generalmente dell’ordine dei microgrammi (milionesimi di grammo) per litro. Talvolta è sufficiente una quantità piccolissima di un qualsiasi metallo pesante per rendere un’acqua non idonea all’uso potabile: per esempio, sono sufficienti 5 mg di cadmio per contaminare 1 m3 di acqua.

Infine, alcuni elementi minerali come ferro, manganese, cloro, rame, zinco, nonostante non provochino particolari rischi sanitari, se presenti in quantità elevate possono avere un’attività fortemente corrosiva sulle attrezzature e provocare inconvenienti e problemi di varia natura e gravità sugli animali. Per esempio, possono provocare una forte riduzione del consumo idrico per sapori e odori sgradevoli e per torbidità dell’acqua; inoltre, la presenza di ferrobatteri è in grado di produrre una “fastidiosa” melma rossastra che può provocare anche un eventuale riduzione del flusso.

Conclusioni

Nella maggioranza degli allevamenti italiani vengono eseguiti pochi controlli e spesso questi hanno come riferimento l’acqua potabile per uso umano.

Considerando che, per salvaguardare la salute e la produttività dei bovini, l’acqua di bevanda dovrebbe essere esente da sostanze tossiche e nocive, germi patogeni, torbidità, sapori, colori e odori anomali, è consigliabile effettuare esami di potabilità con cadenza periodica (almeno ogni anno); tali esami dovrebbero prevedere l’analisi dei seguenti parametri:

  • chimici. Vengono eseguite analisi “di base” (comprendenti durezza, pH, solidi totali disciolti, nitrati, nitriti, ferro), in grado di valutare, almeno in termini generali, la qualità dell’acqua. Se il risultato è buono possono essere superflue ulteriori analisi; al contrario, se è insoddisfacente, è necessario eseguire analisi più approfondite;
  • microbiologici. Vengono eseguite analisi che comprendono i coliformi totali, i coliformi fecali, gli streptococchi fecali e la carica batterica (a 37°C);
  • organolettici. Vengono eseguite analisi che comprendono colore, torbidità, odore e sapore, tutti parametri che possono essere considerati indici di contaminazione. Per esempio; la torbidità può essere dovuta non solo alla presenza di innocue particelle di argilla e limo, ma anche a reflui di varia origine, i quali possono rendere l’acqua decisamente poco salubre.

Occorre ricordare anche che queste analisi riflettono la situazione di un preciso momento ed è quindi consigliabile ripeterle in seguito a variazioni climatiche di un certo peso (siccità protratta, alta piovosità).

Tabella 1 – Contenuto di solidi totali disciolti nell’acqua di bevanda e possibile impiego per l’abbeverata degli animali

Tabella 2 – Limiti massimi dei principali contaminanti biologici contenuti nell’acqua di bevanda per le diverse categorie di bovini

Tabella 3 – Livelli di nitrati nell’acqua di bevanda e possibile impiego per l’abbeverata dei bovini