I miei ormai consueti viaggi annuali nella Cina che produce il latte, oltre che piacevoli, sono sempre uno spunto per profonde riflessioni sul passato, il presente e il futuro del nostro paese, non solo nell’ambito della zootecnia. Anche quest’anno sono stato invitato in Cina da Federico De Paoli, della Bioscreen Technologies di Cesena, per visitare alcuni allevamenti e partecipare alla quarta edizione dell’International Dairy Nutrition Summit (IDNS), organizzata dalla rivista cinese Holstein Farmer, con cui Ruminantia ha un agreement editoriale dal 2017. In questi convegni oltre 500 allevamenti di bovine da latte cinesi si confrontano tra loro e con esperti internazionali. Abituati alla “miniatura” del nostro paese, fa sempre una certa impressione constatare che nella sala del congresso ad Yin Chuan erano rappresentate oltre 2 milioni di bovine da latte. Il gigante asiatico, la sua economia, la sua spesso incomprensibile cultura e la sua solo potenziale pericolosità economica e culturale spaventa i più, ma per chi conosce bene i cinesi questo immenso paese è fonte di riflessioni e di opportunità.

La Cina sostanzialmente pensa a sé stessa, a mantenere integra la sua razza e ad aumentare la sua ricchezza. Per molti anni ha utilizzato il know how, e lo sta ancora facendo, di popoli che secondo loro hanno molto da insegnare, come USA, Canada, Israele, Giappone ed Europa, mandando i propri giovani e i ricercatori presso le Università più prestigiose del mondo in modo che possano acquisire conoscenze per poi selettivamente richiamarli in Cina per applicarle all’occorrenza. Quindi non una fuga di ricercatori ma un’emigrazione culturale finalizzata alla crescita del paese di provenienza.

Gli Stati Uniti per molti anni hanno tollerato questi backup culturali da esportazione sapendo di avere come contropartita la sicura possibilità per le industrie statunitensi di esportare merci verso questo immenso paese perché promosse da chi poi ritorna ad operare in Cina. Questo indiretto sostegno all’esportazione da sempre utilizzato dagli USA non è mai stato profondamente compreso ed imitato dal nostro paese. Tale modello di scambio è stato utilizzato dalla Cina anche per la zootecnia che è cresciuta con l’acquisizione delle informazioni degli esperti internazionali, con ciò che giovani e ricercatori hanno imparato nelle università statunitensi e anche grazie alle tecnologie importate come prodotti. Obiettivo della Cina è quello di “mettersi in pari” con le conoscenze che si sono accumulate in quelli che loro considerano paesi di riferimento per poi sorpassarli e diventare la prima potenza economica del mondo. E in tutti i campi. Tutto questo non per mire “imperialiste” ma per garantire al popolo cinese la massima disponibilità economica possibile. Basti solo osservare come il numero di pubblicazioni scientifiche cinesi abbia ormai superato quello statunitense.

Mi piace pensare che il “tempo cinese” scorre più rapidamente di quello occidentale. La Cina si trova ora a fare i conti con una pessima qualità dell’ambiente ma non ancora con le ormai evidenti enormi diseguaglianze tra le varie fasce della popolazione e la mancanza di una vera e propria libertà. Molto però sta cambiando, o almeno nel corso dei 7 anni che sono trascorsi dal mio primo viaggio in Cina. L’allevamento della bovina da latte ha avuto un importante aiuto governativo che ha reso possibile la nascita dei mega allevamenti che ospitano una popolazione complessiva di bovine di circa 15 milioni di capi. Con una così ingente disponibilità economica, la Cina del latte ha costruito allevamenti dove tutte le tecnologie e le conoscenze sono state acquisite e applicate. Questo modo di procedere ha portato agli attuali risultati. Basti pensare che due allevamenti del gruppo Austrasia sono stati premiati durante l’IDNS 2019 per avere superato nel 2018 i 13000 kg di latte, con un contenuto di grasso e proteine rispettivamente di 3.9 e 3.3% (p/p) e 12.807 lattazioni. Sempre all’IDSN 2019 erano presenti 51 allevamenti in cui sono allevate circa 105.000 bovine adulte con una produzione media nel 2018 superiore ai 12000 kg.

Ma ora cosa succederà? Anche in Cina l’ambiente sta presentando un conto salato mentre la gente sembrerebbe non essere ancora sensibile ai temi del benessere animale e dell’etica delle produzioni. Negli allevamenti invece stanno venendo a galla le contraddizioni di avere utilizzato per anni la tecnica del “copia e incolla” da modelli stranieri. Metodo che ha accompagnato anche l’Italia e che per molti aspetti lo sta ancora facendo. Il modello didattico che la Cina ha fin qui adottato è sostanzialmente quello anglosassone che in tempi ormai antichi in Italia era definito nozionistico. Il modello di crescita culturale nozionistico prevede l’adozione di tecniche didattiche in grado di “riempire” con efficienza e rapidità la testa del futuro dirigente, professionista o ricercatore di concetti, o meglio paradigmi, che serviranno a gestire con estrema efficienza i protocolli maggiormente in auge. Il mondo si sa evolve rapidamente e chi è chiamato ad assumere ruoli gestionali deve continuamente trovare soluzioni nuove e spesso completamente inedite rispetto alle precedenti. Mi è sembrato di capire che la fase di backup passivo dei modelli stranieri nel modo di allevare le bovine si sia completata in Cina. Qualsiasi allevatore o tecnico cinese sa a memoria e applica tutti i paradigmi che “governano” la produzione del latte bovino e pochi si chiedono il perché si debba fare così.

Anche nel nostro paese per molti anni siamo cresciuti copiando affascinanti modi stranieri di costruire e gestire gli allevamenti di bovine da latte. Solo da pochissimi anni l’Italia del latte ha acquisito la consapevolezza che il modello italiano di allevare le bovine, e soprattutto di valorizzare il latte, è un modello vincente perché molto più remunerativo di altri e che molti, per ora senza riuscirci, ci vorrebbero copiare. In Cina qualche segnale di cambiamento l’ho percepito, soprattutto per come stanno costruendo i nuovi allevamenti.

I cinesi sono ancora legati alla cultura del protocollo e al ritenere inutile chiedersi il perché delle cose, ma la loro antichissima radice culturale olistica mi sembra stia facendo germogliare il nuovo. Il nostro paese non deve perdere l’occasione di sintonizzare il nostro metodo culturale di porsi in maniera curiosa e dubitativa nei confronti della conoscenza con quello che inevitabilmente succederà in Cina, ma più in generale in Asia. Mi piace ricordare il film capolavoro del 1954 di Steno “Un americano a Roma” interpretato da Alberto Sordi e descritto da Wikipedia come una penetrante satira di costume dell’Italia del dopoguerra, evidenziando brillantemente il mito esterofilo dell’America, terra agognata e sospirata, di cui si conoscevano abiti e abitudini solo attraverso il cinema, i fumetti, le riviste”L’Italia ci ha messo molto tempo ad essere orgogliosa e consapevole della propria “originalità” ma la locomotiva cinese si sa corre veloce, e le imprese e la governance del nostro paese non dovranno farsi passare davanti questo importante treno senza saltarci sopra.

In occasione dell’International Dairy Nutrition Summit 2019 non ci siamo fatti sfuggire l’opportunità di intervistare uno degli allevatori presenti, Liu Yong Jun, di Helanshan Dairy, allevamento che si trova a Yinchuan, capitale della regione autonoma di Ningxia nel centro-nord della Cina.

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