Migliorare la sostenibilità attraverso l’allevamento multispecie. Una sfida o una realtà a cui tornare?

La pratica di allevare più specie animali contemporaneamente ha accompagnato la storia dell’uomo ed è ancora diffusa in molte aree del Pianeta. Evidenze zooarcheologiche testimoniano che già durante il Neolitico l’uomo allevava più specie insieme e la combinazione più diffusa, almeno in Europa, era quella tra pecora e capra, di facile gestione alimentare ed in grado di fornire carne, latte e lana. Successivamente, già nel tardo Neolitico e durante l’Età del Bronzo, con l’avanzamento delle tecniche di coltivazione dei cereali e dei foraggi, si aggiunsero più diffusamente bovini, maiali ed equini, in grado di fornire maggiori quantità di latte e carne, e facilitare gli spostamenti ed i lavori agricoli1.

Più tardi, dal I° secolo a.C. e per tutta la durata dell’Impero Romano, il profondo impatto di questo sull’organizzazione sociale ed economica nell’area euro-mediterranea, portò ad una maggiore specializzazione produttiva e a surplus alimentari tali da essere commercializzati su vasta scala. Tuttavia, l’allevamento multi-specie continuava ad essere largamente praticato, soprattutto nelle zone meno fertili2.

A partire dal IV secolo d.C. e per tutto il Medioevo, anche a causa dell’instabilità climatica di quel periodo che poneva problemi alle coltivazioni, nonché al collasso economico e demografico generatosi in seguito alla caduta dell’Impero Romano, si ebbe un ritorno ad un’economia di sussistenza, in cui la pratica zootecnica, meno intensiva, fu impostata verso l’allevamento misto di animali da latte, da carne e da lavoro, con un forte utilizzo anche delle aree boscate per il pascolo3. In Italia, durante tutto il Medioevo, anche a causa dell’assorbimento dei costumi tipici delle popolazioni seminomadi (ad esempio i Longobardi) e delle modificazioni del paesaggio, si ebbe un’elevata diffusione dell’allevamento multispecie: suini, caprini e ovini con modalità estensive e con prevalente funzione di carattere alimentare (è di questo periodo, ad esempio, lo sviluppo della transumanza in forma organizzata, che prese le mosse principalmente a partire dall’Appennino abruzzese, volgendo sia verso la Maremma toscana e laziale sia verso il Tavoliere delle Puglie); bovini e cavalli con funzione principale di sussidio alle attività agricole, artigianali o di trasporto, a carattere stanziale4.

Durante l’Età moderna, fino alla fine del XVIII secolo, le tecniche agricole e quelle zootecniche non risentirono dei cambiamenti che caratterizzarono il mondo urbano. Furono perlopiù legate ai cicli naturali, alle tradizioni e talvolta dalle politiche dei governanti locali5. Solo tra il XVII e XVIII secolo in alcune aree (Paesi Bassi, Inghilterra, parte della Francia, Pianura Padana) si ebbero importanti innovazioni, come conseguenza della privatizzazione delle terre, che portarono a maggiore specializzazione ed intensivizzazione dell’allevamento. In tali aree, l’allevamento multi-specie fu poco diffuso. Rimase importante, invece, nelle aree che non riuscirono a distaccarsi dall’impostazione medievale, ancora pervase dall’agricoltura tradizionale e di sussistenza, restie alle innovazioni tecnologiche.

A seguito della Rivoluzione industriale ebbe inizio un processo di specializzazione zootecnica (legata a quella colturale), che portò, nel giro di qualche decennio, alla definizione di ambiti geografici vocati per l’allevamento di una o dell’altra specie. Bovini ed equini nelle aree fertili di pianura, e ovicaprini e maiali in collina e nelle aree meno fertili e accessibili, in un’ottica di separazione, almeno nel bacino del Mediterraneo, abbastanza netta tra i sistemi agro-zootecnici intensivi, necessari per il sostentamento degli abitanti delle città più grandi ed industrializzate ed alle industrie stesse, ed i sistemi pastorali, soprattutto quelli transumanti, ancora legati al sostentamento dei borghi e dei piccoli paesi5.

Durante il Novecento si assistette, nelle aree a maggiore sviluppo economico, ad un ulteriore passo verso l’intensificazione e la specializzazione della zootecnia. Si verificò, dapprima, un processo di integrazione tra agricoltura e allevamento, caratterizzato, tra l’altro, da una diffusione delle colture foraggere e dal miglioramento genetico. L’avvento dell’agricoltura industriale fu segnato da un forte sviluppo della meccanizzazione dei processi produttivi e dall’impiego della concimazione chimica, elementi centrali per l’incremento delle rese produttive. Alcune regioni d’Europa conservarono, tuttavia, anche a causa delle difficoltà o di vincoli ambientali, la loro “diversificazione” zootecnica, sia in termini di specie che di razze allevate contemporaneamente allevate.

Negli ultimi decenni l’allevamento multispecie ha attirato l’interesse di numerosi ricercatori per comprendere eventuali contributi positivi per migliorare il livello di sostenibilità dei sistemi agro-zootecnici ed è entrato a pieno titolo nell’insieme dei metodi suggeriti per la conduzione dell’agricoltura biologica. Facendo riferimento ai dati riportati nell’ultimo rapporto Sinab6, l’agricoltura biologica in Italia, al 31 dicembre 2019, si caratterizzava per una superficie coltivata di quasi 2 milioni di ettari e per un numero di operatori sopra le 80 mila unità. Dal 2010, l’incremento registrato è stato di oltre 879 mila ettari e 29 mila aziende agricole. Andamenti analoghi si registrano in vari Paesi europei.

Al di là delle misure di supporto finanziario al settore biologico, garantito a livello europeo da varie misure di Politica Agricola, si ritiene che la diversificazione della produzione a livello aziendale sia uno dei modi per ridurre i rischi derivanti dall’attuazione del disciplinare biologico, aumentandone la sostenibilità complessiva.

Entro tale contesto, gli allevatori hanno riscoperto vari sistemi e/o sviluppato diverse tecniche di allevamento multispecie, in funzione soprattutto delle caratteristiche dell’indirizzo e all’assetto produttivo della propria azienda, direttamente connesso alla tradizione locale, alla localizzazione geografica e alle caratteristiche agro-pedologiche, alla disponibilità aziendale di alimenti per il bestiame, all’organizzazione del lavoro e agli obiettivi imprenditoriali.

Nonostante il recente sviluppo di attività di ricerca, non sono ancora disponibili approfondite conoscenze circa i reali vantaggi, gli svantaggi ed i limiti degli allevamenti multispecie sugli aspetti della conduzione aziendale, quali l’efficienza e l’integrazione nell’uso delle risorse e delle strutture, anche in funzione dell’impatto ambientale, il livello di autosufficienza, la produttività, il livello di soddisfazione imprenditoriale e dei lavoratori, nonché il benessere animale8.

Il progetto Mix-Enable ha studiato le caratteristiche di un campione di aziende biologiche europee che allevano più specie contemporaneamente.

Il progetto Mix-Enable (Mixed livestock farming for improved sustainability and robustness of organic livestock), finanziato da CoreOrganic e per il quale sono impegnati ben 10 enti di ricerca (INRAE, BOKU, CRAW, FIBL, Forschungsring e.V., IDELE, ITAB, SLU, TI-O e Università della Tuscia), ha esplorato queste caratteristiche su un campione di 102 aziende biologiche in Europa (Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Svezia e Svizzera), rilevando una serie di informazioni attraverso un apposito questionario somministrato ai titolari durante il periodo ottobre 2018-luglio 2019. I dati raccolti (riassunti in 1574 variabili) sono stati validati e successivamente utilizzati per costruire un set di indicatori che potessero descrivere i principali aspetti dell’allevamento multi-specie.

Le aziende contattate, tutte con dimensione minima di almeno 0,5 unità lavorative uomo (ULU), allevavano contemporaneamente due o tre delle seguenti specie: bovini da carne, bovini da latte, pecore da latte, pecore da carne, capre da latte, cavalli, maiali e pollame.

I primi importanti risultati del progetto hanno mostrato che:

  • le combinazioni di specie animali prevalenti sono tra bovini e pecore da carne (20,5%), bovini da carne e polli (15%), bovini da carne e maiali (12%) e capre e polli (10%). Alcune aziende allevano tre o più specie contemporaneamente;
  • gli allevamenti multispecie hanno una dimensione media maggiore, in termini di SAU, rispetto agli allevamenti specializzati – quest’ultimi riferiti alla Francia (122 ha contro 93 ha, rispettivamente). Anche in termini di UBA, si riscontrano maggiori dimensioni delle aziende multi-specie (117 UBA) rispetto a quelli specializzati (86 UBA). La forza lavoro media per 100 ha incide di meno sulle aziende multi-specie (2 ULU/100 ha) rispetto a quelle specializzate (2,4 ULU/100 ha);
  • la maggior parte delle specie allevate insieme sono complementari per quanto riguarda l’alimentazione. Nei sistemi basati sul pascolo, emerge che la combinazione di specie animali più utilizzata è quella che sfrutta le diverse nicchie ecologiche, risultando in un aumento dell’uso complessivo dei pascoli. Tuttavia, nel caso sia preponderante l’allevamento di monogastrici, si ha una forte dipendenza da input alimentari esterni (mangimi) ed un bilancio dell’azoto negativo a livello aziendale, senza un miglioramento dell’efficienza economica9;
  • sotto il profilo sanitario, nell’ambito del progetto si è studiato il possibile effetto dell’infestazione da nematodi intestinali sugli incrementi ponderali di vitelli e agnelli da carne su pascolo alternato tra le due specie. I risultati hanno dimostrato che questa tipologia di gestione non incide significantemente né sullo stato parassitologico dei vitelli né sugli incrementi ponderali10;
  • l’allevamento congiunto di pollame e bovini non porta benefici diretti all’ingrasso di quest’ultimi, ma diminuisce la predazione dei primi da parte di carnivori selvatici e opportunisti in genere; ciò sembra essere dovuto all’effetto deterrente di animali di taglia grossa (i bovini, appunto) nei confronti dei predatori;
  • le strutture a disposizione sembrano essere un fattore limitante, soprattutto negli allevamenti più intensivi; gli investimenti per adeguare gli spazi sono tuttavia giustificati dal valore aggiunto che si genera dall’aumento del numero di specie allevate;
  • riguardo all’organizzazione del lavoro, l’allevamento di più specie ha un duplice effetto; fa aumentare le ore di lavoro complessivamente necessarie, ma tende a ridurre le ore/giornate in cui la manodopera è sottoimpiegata; in molti casi l’inserimento di un’ulteriore specie allevata genera un reddito aggiuntivo tale da consentire l’assunzione di più manodopera;
  • in molti casi si ha una combinazione di specie prettamente “orientate alla produzione” (es. vacche da latte) e “orientate ai servizi” (es. pecore o capre di razze autoctone), importanti per la gestione di terreni ad alto valore ecologico, e per il mantenimento dei servizi ecosistemici più in generale;
  • infine, si è notata una buona complementarità commerciale per la vendita dei prodotti, soprattutto per le aziende che operano la vendita diretta ai consumatori, i quali possono acquistare in maniera diversificata (es. latte fresco, formaggi e prodotti carnei di bovini, ovi-caprini e pollame, uova, ecc.).

Gli allevamenti multispecie sono da ritenersi una valida “riscoperta” per la zootecnia del futuro, e sono caratterizzati da diversi aspetti positivi, in particolare per l’efficienza nell’uso delle risorse, per la conservazione della biodiversità, della produttività, della redditività e della salute e del benessere degli animali.

I risultati finali del progetto Mix-Enable saranno illustrati in un webinar il 28 settembre 2021, a partire dalle ore 10:00. È possibile registrarsi a questo link: http://limesurvey42.idele.fr/index.php/284171?lang=en.

Autori

Riccardo Primi e Bruno Ronchi – Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università degli Studi della Tuscia.

Bibliografia

  1. Serjeantson D., 2011. Review of Animal Remains from the Neolithic and Early Bronze Age of Southern Britain (400 BC – 1500 BC). Research Department Report Series 29–2011, English Heritage, Portsmouth.
  2. Trentacoste A., Nieto-Espinet A., Guimarães S., Wilkens B., Petrucci G., Valenzuela-Lamas, S., 2021. New trajectories or accelerating change? Zooarchaeological evidence for roman transformation of animal husbandry in Northern Italy. Archaeological and Anthropological Sciences, 13(1): 25.
  3. Pigière F., Goffette Q., 2019. Continuity and change in animal exploitation at the transition from Antiquity to the early medieval period in the Belgian and Dutch loess region. Quaternary International, 499, 101-111.
  4. Gelichi S., 2002. La domesticazione degli animali e l’allevamento: periodo tardoantico e medievale. Il Mondo dell’Archeologia.
  5. D’Arcangelo, P., 2014. Storia, storie e diritti della pastorizia mediterranea dal Medioevo all’Età contemporanea. Studi Storici, aprile-giugno 2014, anno 55, n. 2, pp. 545-570.
  6. Sinab, 2020. Bio in cifre 2020. www.sinab.it
  7. Ismea, 2021. https://www.ismeamercati.it/analisi-e-studio-filiere-agroalimentari
  8. Martin G., Barth K., Benoit M., Brock C., Destruel M., Dumont B., Grillot M., Hübner S., Magne M.-, Moerman M., Mosnier C., Parsons D., Ronchi B., Schanz L., Steinmetz L., Werne S., Winckler C., Primi R., 2020. Potential of multi-species livestock farming to improve the sustainability of livestock farms: A review. Agricultural Systems;181, 102821.
  9. Steinmetz L., Veysset P., Benoit M., Dumont B., 2021. Ecological network analysis to link interactions between system components and performances in multispecies livestock farms. Agronomy for Sustainable Development, 41(3).
  10. Werne S., Bam J., Holinger M., Steiner A., Thüer, Leubin M, Leiber F., 2020. Young steers do not benefit from short term sequential grazing with lambs. In: Book of Abstracts of the 71st Annual Meeting of the European Federation of Animal Science, 1st-4th December 2020, Virtual Meeting, p. 334.