La cilena Isola di Pasqua è conosciuta ai più per il suo nome originale Rapanui, che è anche una famosa marca d’abbigliamento, per le sue 638 statue, per essere uno degli insediamenti abitati più isolati del mondo, distante 3600 km dalle coste del Cile, e per essere stata teatro dell’estinzione delle palme giganti e di tutti gli animali terrestri. Nonostante abbia una superficie di soli 312 chilometri quadrati, questa isola è la testimonianza più evidente di come la miopia umana, ossia l’incapacità di vedere lontano, l’abbia resa, oltre che uno dei posti più isolati del mondo, anche uno tra i più inospitali. Per ragioni ancora non completamente chiare, delle 10 milioni di palme giganti che crescevano sull’Isola di Pasqua, e che la proteggevano dalla desertificazione, non ne è rimasta nessuna, e la stessa cosa è successa alla fauna locale, quasi completamente soppiantata da specie aliene portate dall’uomo, comunque causa diretta e indiretta di questa devastazione.

Tutti sono affascinati dai misteri che circondano quest’isola, e nello studiare la sua storia mi sono venute in mente le tante analogie con il mondo del latte bovino italiano, che a causa della miopia, ripeto l’incapacità di vedere lontano, di buona parte dell’industria del latte, se non tutta, sta rischiando l’estinzione degli allevatori. Questo processo di “desertificazione zootecnica” è in corso da molti anni, ed è partito dalle cosiddette aree non vocate, ossia quelle montane e collinari, per avanzare come il flagello delle locuste anche sulle floride irrigue pianure italiane. La chiusura del 42% degli allevamenti di bovine da latte nel periodo che va dal 31 dicembre 2009 al 31 dicembre 2021 ne è oggettiva testimonianza, e in molte regioni, dove prevalgono nettamente le aree interne rispetto alla pianura irrigua, i caseifici locali o quelli limitrofi sono impossibilitati a dichiarare sulle confezioni del latte, delle mozzarelle e dei formaggi che sono fatti con latte locale. Cioè, in pratica, gli impedisce di utilizzare il claim della provenienza, funzionale non solo a vendere quantità maggiori, ma anche a posizionamenti di prezzo più elevati rispetto ai prodotti stranieri o di regioni più vocate. In un articolo di Ruminantia del 16 Dicembre 2019 dal titolo Caro Report, ora vai fino in fondo”, scritto per commentare un’inchiesta giornalistica sul latte, riportai l’esempio del Molise, affascinante regione poco conosciuta del nostro Paese, ricca di dura bellezza e gravi contraddizioni:

Il caso Molise deve però rimanere nella memoria collettiva come esempio di scarsa lungimiranza.

Il Molise ha tra i formaggi a denominazione solo due DOP, Mozzarella di Bufala Campana e Caciocavallo Silano, potrebbe potenzialmente utilizzare l’STG “Latte Fieno” e l’STG “Mozzarella“, e ha 12 formaggi PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale). Per il resto produce formaggi freschi ed essenzialmente fiordilatte. Per fare un chilogrammo di fiordilatte, ci vogliono 8 litri di latte (resa 12-15%). In Molise, al 22 Luglio 2019, la BDN riporta una consistenza di 7046 bovine in lattazione, distribuite in 371 allevamenti (circa 19 capi medi). Il Molise è la seconda regione più piccola d’Italia: il suo territorio infatti conta appena 4438 km2 ed è per il 55.3% montano e per il 44.7% collinare. Questa conformazione geografica non consente la zootecnia intensiva e di grandi dimensioni ed i costi degli alimenti zootecnici sono in genere di gran lunga superiori a quelli delle pianure irrigue. Se i 43 caseifici molisani (di cui 17 ad Isernia e 23 a Campobasso)  utilizzassero solo i circa 5000 litri di latte al giorno di cui dispongono, potrebbero produrre all’incirca 620 kg di fiordilatte al giorno. Ho vissuto da vicino la lotta per la sopravvivenza degli allevatori molisani con i caseifici locali, ma il mantra era quello nazionale: “Se il latte dei paesi dell’est e della Germania costa così perché ti dovrei pagare di più?“. E quali sono state le conseguenze? Molti allevatori hanno ovviamente chiuso e i caseifici molisani che non possono fregiarsi in etichetta della provenienza molisana del latte, devono ora per forza comprare il latte straniero e produrre fiordilatte “commodity” per sopravvivere ai buyer della GDO e competere con il prezzo delle multinazionali del latte. L’ultimo baluardo è richiamare sulle confezioni con nomi ingannevoli l’origine molisana del fiordilatte, ma fino a quando può durare l’equivoco? Conosco personalmente, e per questo lo cito ad esempio, il Caseificio Di Nucci di Agnone che negli anni ha fatto una politica opposta ai suoi colleghi caseifici molisani, “tenendosi” ben da conto gli allevatori suoi conferitori. Risultato? Il Caseificio Di Nucci di Agnone sopravvive, anzi prospera, dal 1662. Inoltre, attualmente l’azienda impiega, oltre ai dipendenti, un’intera famiglia ed è ambasciatore nel mondo della tradizione casearia molisana,

Siamo ormai arrivati al 2022, e la storia dell’isola di Pasqua, delle grandi estinzioni di massa di piante e animali, e dei boomerang che ci stanno tornando addosso da una Terra vista prevalentemente come un bancomat, ancora non ci ha convinto del fatto che la miopia mette a repentaglio non solo l’altrui sopravvivenza ma anche in primis la propria.

La politica, ad onor del vero, ha provato a creare le condizioni affinché le trattative sul prezzo del latte evolvessero dal modello industriale/contadino a quello di filiera, ma la pandemia di miopia non sembra spaventare l’industria del latte. Non ci ha insegnato nulla neppure il decorso della pandemia di Covid, partita dalle prime varianti molto letali ma di cui era più facile il controllo, per arrivare all’attuale omicron che, da virus che sa tutelare i suoi interessi, uccide molto meno ma si diffonde apparentemente senza ostacoli. L’unico obiettivo di un virus non è infatti uccidere ma replicare, e diffondersi il più possibile.

In questi giorni di serrata trattativa sul prezzo del latte bovino alla stalla tutti coloro che si sentono di dover fare qualcosa per scongiurare l’estinzione degli allevamenti italiani, sia per motivi etici ma anche e soprattutto speculativi, e quindi egoistici, devono alzare la voce. Tutto questo però non con grida scomposte e inconcludenti, ma con proposte concrete e consapevoli del fatto che tutti siamo sulla stessa barca, e un’altra isola di Pasqua non ce la possiamo permettere, neanche noi di Ruminantia.