La brucellosi è una malattia infettiva trasmissibile all’uomo (zoonosi) per cui in Europa, e quindi anche nel nostro Paese, esiste ormai da molti anni un piano di controllo che ha l’obiettivo di eradicare questa infezione dagli animali domestici. La brucellosi causa danni economici ingenti agli allevatori, a causa degli aborti degli animali, per gli abbattimenti dei capi infetti previsti dalla legge e per il fatto che il latte può essere utilizzato per il consumo umano solo dopo un trattamento termico.

La presenza di questo patogeno negli animali viene indagata eseguendo sul sangue la SAR (Siero Agglutinazione Rapida) e, in caso di positività, viene eseguita anche la FdC (Fissazione del Complemento).

Secondo quanto riportato dall’ultimo aggiornamento del Bollettino Epidemiologico Nazionale Veterinario (BENV), in Italia ci sono 412 focolai di Brucellosi bovina, bufalina, ovina, caprina e suina, prevalentemente concentrati nel Sud-Italia.

Ci sono aree del nostro paese dove è oggettivamente difficile arrivare allo status di ufficialmente indenne, ossia all’eradicazione. Succede a volte che negli allevamenti vengano individuati capi positivi che non hanno però alcun sintomo clinico della malattia e che quindi alimentano il sospetto di essere un “falso positivo”. Questi dubbi sull’affidabilità diagnostica della SAR e della FdC sono uno dei motivi per cui gli allevatori accettano controvoglia la misura dell’abbattimento dei capi infetti e non si impegnano con la dovuta determinazione ad adottare severe regole di biosicurezza.

Per fornire elementi a questo ormai “cronica” polemica abbiamo voluto ospitare con piacere l’opinione di Mario Luciano, avvocato e allevatore di bufale di Caserta, alla quale ci auguriamo ne segua una del Servizio Sanitario Nazionale. Noi crediamo che un dibattito sereno e argomentato su questa “delicatissima questione” possa aiutare a trovare rapidamente una soluzione condivisa con convinzione da tutti.

Di seguito, l’articolo inviatoci dall’Avv. Luciano:

 

L’abbattimento dei capi bovini-bufalini asseritamente positivi alla brucellosi ed alla tubercolosi mediante test indiretti (sierologici ed intradermici) effettuati dalle Aziende Sanitarie territorialmente competenti non è un destino ineluttabile e legislativamente imposto senza alternative e ragionevoli altre strade percorribili, e senza potere ricorrere ad esami diagnostici più affidabili ed attuali rispetto a quelli individuati in illo tempore dal legislatore e mai aggiornati.

Invero appare di tutta evidenza che sia il legislatore europeo (direttiva 64/432/CEE) che nazionale (D.M. 651/94 e dlgs. 196/99) nel prevedere l’abbattimento dei capi presuntivamente positivi (e non infetti) a seguito di risultanze di test di screening, immaginavano un rapido ed immediato modus per risolvere ipso facto un problema zoonotico relativo a pochi capi da circoscrivere e definire in breve tempo. Purtroppo oggi l’evoluzione della malattia e la sua diffusione addirittura incontrollata in specifiche realtà come la Provincia di Caserta e zone della Sicilia, impone considerazioni e riflessioni diverse e più articolate che tengano conto del probabile depauperamento delle specie interessate nelle aree maggiormente a rischio, oltre che delle implicazioni occupazionali, culturali e socio economiche che il ricorso agli abbattimenti nell’ordine delle decine di migliaia all’anno, comporta.

La letteratura scientifica in materia, gli studi più recenti e persino la legislazione europea attuale (vedasi su tutti il REg. UE 625/2017 ed il REg. UE 429/2016) hanno invero individuato strade alternative a quelle oggi praticate dagli operatori sanitari pubblici italiani nei territori non Ufficialmente indenni da brc e tbc, il tutto mediante ricorso a test di migliore affidabilità (inoculo della brucellina in campo, test sierologico Elisa indiretto, test molecolare PCR RT) ricorso alla vaccinazione (vedasi art. 69 Reg. UE 426/2019) ed esame clinico preventivo dei capi, senza che però tali evidenze siano state minimamente recepite nei nostri territori dagli organi deputati, mentre i piani regionali in materia della Emilia- Romagna, Puglia e Basilicata, ad esempio, prevedono tutele per gli allevamenti soprattutto U.I.

La decisione della Commissione del 25 Aprile 2005 n. (2008/341/CE) stabilisce che “SCOPO DEL PROGRAMMA DI LOTTA E’ RIDURRE LA PREVALENZA DI UNA DELLE MALATTIE DEGLI ANIMALI O ZOONOSI FIGURANTI NELL’ALLEGATO DELLA DECISIONE 90/424/CEE a un livello sanitario accettabile”. Inoltre, anche ulteriori decisioni della Commissione Europea sottolineano la necessità di eradicare la malattia in tempi rapidi eventualmente ricorrendo all’abbattimento, ma diversamente individuano la vaccinazione come metodo di eradicazione più rapido ed efficace in caso di prevalenza significativa della zoonosi (vedasi relazione Sanco 6095/2009). Purtroppo, soprattutto in provincia di Caserta si è invece intrapresa l’ardua, illusoria, fallace e pericolosa strada del rischio zero, cioè l’agognato e rapido(?) raggiungimento dell’estinzione biologica della malattia attraverso gli abbattimenti e gli stamping-out dei capi bufalini positivi, ignorando la semplice constatazione che tale politica della malintesa eradicazione (che invero come da legislazione europea vigente è da intendersi in primis come ricorso alla vaccinazione in caso di prevalenza oltre il 5%) sta portando ad uno spaventoso depauperamento della popolazione bufalina di razza mediterranea, con evidenti ripercussioni su di un comparto che, secondo la SVIMEZ, nel solo anno 2019 ha movimentato un miliardo e 218 milioni di fatturato, dando occupazione a quarantamila addetti oltre l’indotto. Ad oggi, gli abbattimenti praticati negli ultimi tre anni assommano ad oltre trentamila. Se ne deduce che la problematica non può essere circoscritta ad un evento sanitario locale per quanto di ampio raggio, ma che invero involge aspetti rilevanti dal punto di vista socio-economico, produttivo e sostanzialmente sociologico di un intero settore produttivo nazionale; in tal senso, piace ricordare che proprio la norma euro unitaria dettata dal REG UE. 426/2019 prevede che i piani di controllo e sorveglianza delle malattie animali trasmissibili debbano tenere conto “delle conseguenze economiche, sociali, culturali ed ambientali dell’applicazione delle misure di prevenzione e di controllo delle malattie.”

L’augurio, quindi, e l’auspicio assoluto di tutti gli operatori del settore bovino-bufalino risiede nella speranza che gli organi deputati, valutate le implicazioni delle attuali procedure operative, soppesate le evidenti fallacità delle stesse, e acquisiti i suggerimenti e i rilievi normativi del legislatore europeo, ripensino le procedure eradicative attuali improntate esclusivamente allo slaughter (macellazione), attuando metodi conservativi e rispettosi delle esigenze socio-economiche, ambientali e culturali dei territori di riferimento, anche in considerazione dell’evoluzione scientifica e delle nuove sensibilità degli allevatori che sono i primi oggi a non considerare più gli animali allevati esclusivamente come capi da reddito ma, per dirla con le parole del Presidente della terza sezione del Consiglio di Stato dott. Franco Frattini, essere senzienti e viventi.    

 

 

Per ulteriori approfondimenti sul tema, leggi anche “Filiera bufalina campana e biosicurezza: in Commissione Agricoltura al Senato, audizione con direttore generale IZS Mezzogiorno su problematiche legate a TBC e brucellosi