Pochi sono stati i fortunati che hanno potuto assistere dal vivo, e dal vero, alla mungitura della podolica, che avviene ancora in un modo probabilmente identico a quello che veniva utilizzato nel tardo neolitico per le prime femmine addomesticate dell’Uro. L’Uro, anche detto Bos primigenius, somiglia molto ai bovini di razza podolica. Si è infatti convinti che questa razza sia la più diretta dei suoi discendenti.

Avere a che fare con queste razze antiche, che sono sì domesticate ma poco selezionate per la produzione sia della carne che del latte, e vedere come l’uomo le accudisce, fornisce ad un osservatore attento tanti spunti per risolvere problemi che sembrano non avere soluzione quando si ha a che fare con razze super selezionate per fare il latte.

Abbiamo visitato l’allevamento della famiglia Di Gilio che alleva a Ferrandina, in provincia di Matera, 130 Podoliche e circa 500 tra pecore e capre con il metodo estensivo, potendo disporre di un’azienda agricola di 600 ettari di cui solo 120 coltivabili e ancora meno irrigui.

Matera, dichiarata nel 1993 dall’UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità, è la capitale europea della cultura per il 2019. La cultura contadina, dove è sopravvissuta integra, ossia non solo ritualizzata, è a mio giudizio un patrimonio dell’umanità perché da essa traggono linfa vitale le radici della storia e il futuro.

L’Azienda Agricola Di Gilio Antonio ci ha ospitato per assistere alla mungitura della podolica e capire i segreti del caciocavallo fatto con il latte di questa razza, e ci ha dimostrato come il suo approccio integrale e spartano nella gestione dell’allevamento, della produzione dei formaggi con latte di vacca, pecora e capra e dei rapporti con i consumatori possa generare un reddito ben superiore alla sussistenza.

La Famiglia Di Gilio, composta da Antonio e Santa Maria Bianco, e dalle sorelle Lucrezia e Maria Carmela, oltre ad una irresistibile simpatia ha dato prova di come la custodia delle tradizioni possa ripagare, perché una fascia più o meno ampia della gente è disponibile a remunerare correttamente il cibo prodotto con logiche molto lontane da quelle considerate “moderne”.

Antonio Di Gilio, titolare dell’azienda.

Merita una menzione il piatto preparato da Santa Maria Bianco, che ha vinto l’edizione 2019 del Festival dell’Agriturismo italiano, dal complesso nome “cavatelli con crema di podolica, mollica fritta e peperoni cruschi”, che riteniamo essere un compendio della cucina lucana.

Dopo questa lunga, ma doverosa, premessa torniamo alla mungitura della podolica.

Antonio, il capo famiglia, ci ha raccontato che la mungitura di queste bovine avviene rigorosamente a mano e necessariamente in presenza del vitello perchè altrimenti le vacche non danno il latte. Sia nei recinti adiacenti al caseificio che durante la transumanza, i vitelli lattanti, almeno durante la notte, vivono separati dalle madri. Quando si decide di mungere, e da Antonio ciò avviene in tarda mattinata, viene liberato un vitello per volta che, dopo pochi richiami uditivi e forse olfattivi, trova la madre. Il mungitore, che in questa azienda si chiama Francesco, permette al vitello di attaccarsi ad un capezzolo in modo che lui possa mungere a mano gli altri tre. Durante questo inevitabile “corpo a corpo” con il vitello, la madre ha solo i piedi posteriori legati e rimane libera e tranquilla nella parte del piazzale dove avviene la mungitura.

 

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Il latte appena munto viene portato ancora caldo nel caseificio aziendale per essere trasformato nel caciocavallo podolico, con tutte le precauzione igienico-sanitarie richieste per possedere il bollo CE.

Francesco, mungitore dell’azienda.

Non in molti hanno assaggiato questo formaggio. Se ne produce infatti veramente poco dal momento che sono pochi quelli che mungono le podoliche e perché la produzione di questi animali è piuttosto bassa e non dura tutto l’anno. Esistono “infinite sfumature di giallo di questo prodotto” che dipendono da quanta e da che tipo di erba selvatica le bovine hanno trovato, vivendo tutto l’anno e per tutto il giorno allo stato brado su pascoli spontanei e non coltivati. Sia il caciocavallo podolico lucano che quello del Gargano e quello campano non sono DOP, IGP o STG, ma solamente PAT, e questo è per me veramente un peccato!

Bisogna aiutare questi custodi della tradizione, che tramandano usi e costumi antichi per ragioni non solo romantiche ma anche, e soprattutto, culturali. Queste tradizioni sono un patrimonio dell’umanità e il vero aiuto di cui hanno bisogno è che si sensibilizzi il consumatore a pagare un giusto prezzo, che è sicuramente molto più alto di quello del cibo “commerciale”. Bisogna aiutare questi “custodi” ad essere visibili e contattabili, non solo in Italia ma da chiunque cerchi prodotti che diano esperienze sensoriali ed evocative, fatti nel rispetto delle tradizioni, dell’ambiente e della dignità degli animali.

Voglio chiudere con un aneddoto che sintetizza l’essenzialità del pensiero di Antonio. Quando gli ho chiesto come fa a far convivere i lupi con una mandria di 130 podoliche, 300 pecore e 150 capre che pascolano giorno e notte su una superficie di quasi 500 ettari fatta di boschi e radure, mi ha laconicamente risposto che ha 25 cani e che il segreto è farli mangiare, altrimenti si alleano con i lupi!