La tematica del contenuto di iodio nel latte e nei suoi derivati assume particolare importanza e interesse visto il coinvolgimento di diversi attori lungo tutta la filiera lattiero casearia, in un’ottica trasversale che va dal produttore al consumatore.
Lo iodio nella fisiologia e nella nutrizione animale
Secondo quanto riportato dalla US National Academies of Sciences, Engineering and Medicine (NASEM, 2021), lo iodio riveste un ruolo centrale nella fisiologia animale, essendo il principale costituente degli ormoni tiroidei, con particolare riferimento alla tiroxina (T4) e alla triiodotironina (T3). Da questo punto di vista, lo iodio risulta determinante per la salute della vacca da latte, ed in particolar modo durante la gestazione ai fini di un corretto sviluppo del feto e della successiva crescita del vitello. Risulta quindi molto importante fornire agli animali un corretto apporto di iodio attraverso la dieta, al fine di garantire il raggiungimento del loro fabbisogno giornaliero, evitando al contempo l’assunzione eccessiva e gli effetti di tossicità a lungo termine. Secondo le linee guida riportate dal NASEM (2021), a livello di singolo animale l’assunzione giornaliera raccomandata di iodio (mg/d) può essere stimata secondo la formula:
Assunzione giornaliera raccomandata, mg/d = (0.216 × BW0.528) + (0.1 × MY)
Dove il BW la MY rappresentano rispettivamente il peso vivo (Kg) e la produttività (Kg latte/d). La validità di questa equazione può essere estesa a tutte le categorie di bovini, ponendo pari a zero il termine relativo alla MY nel caso di animali non produttivi (manze e asciutte). Facendo riferimento a queste indicazioni, possiamo assumere che per una vacca in asciutta con peso vivo di 700 Kg (ingestione di 13.5 Kg SS/d) l’apporto giornaliero di iodio si aggira a poco meno di 7 mg/d (per una concentrazione di circa 0.50 mg di iodio per Kg SS ingerita). Allo stesso modo, per una vacca in lattazione con peso vivo di 650 Kg (ingestione di 21 Kg SS/d e produzione di latte pari a 35 Kg/d) l’apporto giornaliero di iodio si aggira attorno ai 10 mg/d (per una concentrazione di circa 0.48 mg di iodio per Kg SS ingerita).
Fonti di variazione dello iodio nel latte
La letteratura scientifica è concorde nell’affermare che la quantità di iodio somministrata agli animali attraverso la dieta rappresenta il fattore principale per la determinazione del contenuto di iodio nel latte. In Figura 1 sono riportati gli effetti dose-risposta ottenuti da 8 studi indipendenti condotti tra il 2010 e il 2019. In particolare, la “dose” è riportata sull’asse delle ascisse (x) come concentrazione di iodio nella razione (mg/Kg di SS), mentre la “risposta” è riportata sull’asse delle ordinate (y) come concentrazione di iodio nel latte (µg/L). Come è possibile osservare, tutti gli studi evidenziano una correlazione diretta e lineare tra la concentrazione di iodio nella dieta e la concentrazione di iodio nel latte. D’altro canto, l’entità di queste correlazioni (che possiamo visualizzare attraverso la pendenza di ciascuna retta) risulta piuttosto variabile tra uno studio e l’altro. Tale variabilità può dipendere da molteplici fattori, tra i quali i) la tipologia di integrazione e la modalità di somministrare, ii) la presenza di antagonisti dello iodio nelle specie vegetali utilizzate per la formulazione delle diete (note come sostanze “goitrogene”), iii) la componente genetica degli animali coinvolti nelle singole prove sperimentali. Per queste ragioni la standardizzazione del contenuto di iodio nel latte bovino risulta ad oggi una questione ancora aperta.
Figura 1. Correlazione tra concentrazione di iodio somministrata attraverso la dieta (mg/Kg SS, asse delle x) e concentrazione di iodio nel latte (µg/L, asse delle y). Ciascuna retta corrisponde ad uno studio indipendente.
In Figura 2 viene riportata la regressione calcolata utilizzando tutti i dati provenienti dagli studi sopra citati. Con buona approssimazione si può concludere che un incremento pari a 1 mg di iodio per Kg di SS nella razione si traduce in un incremento di circa 310 µg di iodio per L di latte.
Figura 2. Correlazione tra concentrazione di iodio somministrata attraverso la dieta (mg/Kg SS, asse delle x) e concentrazione di iodio nel latte (µg/L, asse delle y). La retta è stata ottenuta utilizzando tutti i dati provenienti da tutti gli studi sopra citati.
Un ulteriore fattore in grado di influenzare la concentrazione di iodio nel latte consiste nell’utilizzo di disinfettanti iodati nelle fasi di pre e post dipping. L’ipotesi più accreditata prevede che lo iodio contenuto in questi prodotti venga assorbito localmente a livello epiteliale, per poi essere trasferito nel lume della mammella e in ultima analisi nel latte delle singole bovine. L’entità di questo trasferimento è proporzionale alla concentrazione di iodio nei disinfettanti utilizzati (maggiore è la concentrazione di iodio nei prodotti di pre e post dipping, maggiore sarà il trasferimento di iodio nel latte) ma dipende anche dalla modalità di utilizzo degli stessi disinfettanti (la concentrazione di iodio nel latte risulta inferiore nelle aziende che praticano l’asciugatura dei capezzoli dopo il post-dipping rispetto alle aziende che non adottano tale procedura).
Al contrario i trattamenti tecnologici applicati al latte (con riferimento alla scrematura e ai trattamenti termici) non sembrano avere un effetto significativo. Ciò si spiega tenendo presente che:
- Lo iodio nel latte si trova prevalentemente in soluzione acquosa. Da questo punto di vista, la privazione di una parte della frazione grassa del latte non comporta una diminuzione del quantitativo di iodio;
- I trattamenti termici del latte avvengono in ambiente isolato, senza alcuno scambio con l’esterno. Inoltre lo iodio, quale elemento inorganico, non può subire modifiche strutturali indotte dal calore. Tali elementi giustificherebbero in modo plausibile l’assenza di una connessione tra i trattamenti termici e la concentrazione di iodio nel latte.
Lo iodio nella nutrizione e nella salute umana
Così come avviene per l’organismo animale, anche nell’uomo lo iodio rappresenta un micronutriente indispensabile per il corretto funzionamento dell’organo tiroideo. Gli ormoni tiroidei infatti contengono iodio nella loro struttura chimica, cosicché la loro sintesi dipende dalla disponibilità di adeguate quantità di tale elemento che può essere introdotto soltanto attraverso la dieta. Per evitare la comparsa di disturbi da carenza iodica, l’assunzione di iodio deve essere adeguata durante tutte le fasi della vita. Occorrerà prestare particolare attenzione durante le fasi di gravidanza, allattamento e infanzia in quanto sono queste le epoche in cui le manifestazioni cliniche conseguenti all’ipotiroidismo (insufficiente produzione di ormoni tiroidei) possono portare ad effetti più dannosi. Tra i più frequenti disordini da carenza iodica si ha la comparsa del gozzo negli adulti, ovvero l’ingrossamento della tiroide, mentre nelle fasi di sviluppo del feto e del neonato la carenza di iodio può causare danni irreversibili al cervello e al sistema nervoso con un conseguente ritardo mentale permanente.
A tal proposito, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda un’assunzione giornaliera di iodio pari a 150 µg al giorno per adolescenti e adulti, che sale fino a 250 µg al giorno per le donne in stato di gravidanza e allattamento. Al fine di garantire il raggiungimento di tali standard, diversi paesi europei hanno introdotto programmi di iodoprofilassi che prevedono la commercializzazione di sale iodato. Se da un lato tali provvedimenti hanno portato alla sostanziale scomparsa degli esiti clinici più gravi del deficit iodico, dall’altro il solo consumo di sale iodato può non essere sufficiente a coprire i fabbisogni, tanto è vero che ancora oggi una parte rilevante della popolazione soffre di moderata carenza iodica. Oltre a ciò, è importante tenere presente che un eccessivo consumo di sale ha conseguenze negative dirette sulla salute quali ipertensione e malattie cardiovascolari. Per adempiere alle dosi consigliate dalle linee guida, la soluzione consiste nell’adottare una dieta varia e bilanciata che preveda al suo interno alimenti ricchi di iodio. Pesci di mare e crostacei sono gli alimenti naturalmente più ricchi di iodio, seguiti da latte e prodotti lattiero-caseari. Soprattutto nelle regioni dell’entroterra è però noto come le comuni abitudini alimentari non contemplino un regolare consumo di pesce e crostacei. Ecco che il latte e i suoi derivati diventano una primaria fonte di iodio per gran parte delle regioni italiane ed europee. I dati disponibili in letteratura evidenziano che un bicchiere di latte (circa 125 mL) fornisce tra gli 11 e i 60 µg di iodio, che corrispondono a valori compresi tra il 7 e il 40% del fabbisogno giornaliero raccomandato per una persona adulta. Contributi più bassi vengono forniti da una porzione di formaggio (circa 30 g) che, a seconda della tipologia, contengono tra i 2 e i 6 µg di iodio. Concentrazioni di iodo molto più elevate sono state misurate in campioni di ricotta vaccina e caprina: una porzione da 30 g di questi prodotti fornisce rispettivamente il 26 e il 90% del fabbisogno giornaliero di iodio raccomandato per una persona adulta.
Nel corso del triennio 2019-2022 nella regione del Veneto sono stati svolti due progetti di ricerca riguardanti la tematica iodio: il primo SuStain4Food riguardante il ruolo dello iodio nell’industria lattiero-casearia e nei confronti della salute del consumatore e il secondo IOD-MILK per studiare gli aspetti genetici del contenuto di iodio nelle razze di Frisona Italiana, Pezzata Rossa, Rendena e Jersey. Tuttavia, lo studio dei prodotti lattiero-caseari e del loro ruolo nella dieta non può prescindere dal monitoraggio del comportamento del consumatore moderno. Oggi più che mai le scienze sociali vanno inevitabilmente monitorate per comprendere le preferenze dei consumatori e risultano essere di primaria importanza nelle scelte di acquisto e nelle abitudini alimentari, con un consumatore sempre più attivo, curioso ed interessato. Un corretto apporto di iodio nella dieta si raggiunge favorendo determinate scelte alimentari, mentre uno stato di carenza può verificarsi più frequentemente in determinate categorie di consumatori. Nei prossimi mesi sarà pubblicato uno studio riguardante condotto su oltre 15 paesi e con oltre 4000 intervistati riguardante la percezione di questo importante minerale del latte.
Ringraziamenti
Progetto “SustaIn4Food,” POR FESR, azione 1.1.4 Regione Veneto e progetto IOD-MILK Associazione Regionale Allevatori del Veneto (ARAV).
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Autori
Giovanni Niero1, Angela Costa2, e Massimo De Marchi1
1Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente, Università degli Studi di Padova, Legnaro (PD), Italia; 2Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Università degli Studi di Bologna, Ozzano dell’Emilia (BO), Italia.
Da: Journal of Dairy Science 2023, 106(4), 2213-2229; https://doi.org/10.3168/jds.2022-22599