Il tema della separazione precoce tra vacca e vitello sta diventando sempre più di interesse pubblico in quanto i consumatori faticano a comprendere le ragioni puramente tecniche che risiedono dietro certe scelte. Considerando che le preferenze degli acquirenti spostano il mercato, un dialogo aperto e costruttivo è assolutamente necessario al fine di trovare delle alternative che possano soddisfare le esigenze dei produttori andando incontro ai desideri dei consumatori.

In questo contesto alcuni allevatori si stanno organizzando per trovare delle soluzioni differenti che garantiscano però il mantenimento dei livelli di sicurezza igienico sanitaria raggiunti con le pratiche attuate finora.  Nell’ambito della nostra serie “Storie di allevatori” abbiamo voluto intervistare una realtà che si sta mettendo alla prova proprio su questo fronte, utilizzando le cosiddette “balie” durante i primi giorni di vita del vitello. Si tratta dell’azienda agricola “Boselli Enrico e Antonio”, in provincia di Lodi, costituita da circa 100 ettari di terreno e 100 bovine da latte in mungitura, che i due fratelli gestiscono insieme ai loro giovani figli.

Ad accompagnarci in questo viaggio virtuale all’interno del loro allevamento è Antonio, per dieci anni presidente provinciale di Confagricoltura Milano, Lodi, Monza e Brianza, cinque come presidente regionale e anche un mandato anche a livello nazionale, al quale chiedo, come prima cosa, di fornirci un po’ di informazioni sul contesto produttivo in cui ci troviamo.

«La nostra è un’azienda di bovine da latte ed è socia di un impianto di biogas in forma cooperativa insieme a due vicini, uno che alleva vacche da latte ed uno che alleva suini. Quindi la produzione agricola viene utilizzata in primis per soddisfare i fabbisogni degli animali, ma anche per alimentare il digestore nel quale confluiscono i reflui delle tre aziende e una parte dei prodotti trinciati. La filosofia che da anni abbiamo abbracciato è quella della sostenibilità, e siamo partiti proprio dalla campagna adottando la tecnica delle minime lavorazioni, ed utilizzando esclusivamente digestato per le concimazioni, non più sostanze chimiche da almeno 12 anni. Tutta la superficie agricola viene lavorata a doppio raccolto, con utilizzo anche di “cover crops” nell’ottica di migliorare la sostenibilità del processo produttivo, in inverno la maggior parte delle colture sono trifoglio e loietto, poi triticale per il biogas e la parte a cover crops con senape e colza. Sul loietto effettuiamo due tagli, uno piuttosto precoce, intorno al 25 aprile, che insiliamo, e il secondo circa un mese dopo che affieniamo e destiniamo sia alle vacche che alle manze. Dopo questo secondo taglio seminiamo del mais destinato a pastone per le vacche oppure trinciato per l’impianto di biogas. La sostenibilità a cui facciamo riferimento è una sostenibilità reale, perché il fatto di effettuare la minima lavorazione comporta una serie di vantaggi economici tangibili che vanno dal risparmio di tempo, al risparmio di carburante per arrivare al minor passaggio sul terreno, che viene così maggiormente rispettato e riesce a conservare meglio struttura e umidità.»

Per quanto riguarda l’allevamento come siete organizzati?

«Negli ultimi tre anni l’allevamento ha subito una profonda trasformazione, sono entrati nel team gestionale i ragazzi ed è stata progettata una completa riorganizzazione cui abbiamo dato avvio nell’agosto 2019. Inutile nascondere che ci sono stati momenti di difficoltà, è stato necessario arrangiarsi con gli spazi nel periodo in cui venivano fatti i lavori, per cui le vacche avevano circa 1/3 dei posti in mangiatoia e per le manze abbiamo dovuto riadattare un portico del fieno e dei paddock esterni. È stato, oltretutto, un periodo estremamente piovoso quello, pertanto, la situazione era davvero faticosa da gestire, comunque a febbraio 2020 le stalle nuove erano pronte, e da aprile 2020 anche due robot di mungitura. Praticamente ci siamo trovati in piena pandemia a gestire una situazione completamente nuova, ma alla fine è stato un bene perché eravamo tutti li e avevamo il tempo e il modo di monitorare le nuove procedure messe in atto».

Quale è stato il filo conduttore che vi ha guidato in questa trasformazione? 

«Sicuramente abbiamo privilegiato gli spazi, ampi più possibile, le vacche e le manze stanno in un capannone che misura 40 x 70 con passaggi e corsie di 4 – 5 metri di larghezza, le manze gravide hanno un paddock di circa 3.000 mq, le vacche stanno su cuccette con separato di digestato mentre le asciutte e le manze gravide su lettiera che in inverno è di paglia e stocchi mentre in estate di digestato separato. Questo materiale lo utilizziamo 7 mesi l’anno, e ne aggiungiamo ogni tanto un po’ e poi passiamo con uno strigliatore, ma in inverno assorbe troppa umidità questo materiale e quindi deve essere sostituito. L’ingresso in società dei ragazzi ha portato sicuramente una spinta tecnologica, infatti, come dicevo prima, abbiamo installato due robot di mungitura, ma anche acquistato quello per accostare la miscelata, nonché l’impianto di raffrescamento con ventilatori e doccette, tutti dispositivi che hanno contribuito a migliorare la qualità della vita delle bovine ma sicuramente anche la nostra. La presenza e l’attenzione deve esserci sempre è chiaro, ma in maniera decisamente più serena. Un altro aspetto a cui ci dedichiamo molto è quello inerente all’alimentazione, facciamo una razione di base che distribuiamo con il carro miscelatore e in più delle integrazioni ad hoc a seconda dello stadio fisiologico degli animali, che forniamo al momento della mungitura. Non somministriamo più trinciato di mais ma solamente loietto insilato e pastone di mais, perché la qualità della fibra con questi alimenti risulta migliore ed in più consente di ridurre notevolmente il problema delle micotossine, tema molto delicato per chi come noi fa latte alimentare. L’azienda è infatti socia di una cooperativa di allevatori della zona e presenta i seguenti titoli medi di grasso: 3,87, proteina: 3,49 e cellule somatiche: 240.000. Un altro aspetto gestionale che abbiamo implementato è quello di effettuare il pareggio funzionale tre volte l’anno sugli animali in lattazione, e devo dire che siamo molto soddisfatti dei risultati che stiamo ottenendo».

Dopo questa esaustiva panoramica torniamo adesso al punto di partenza, potrebbe dirci qualcosa in più sulla gestione riproduttiva della mandria e dei vitelli?

«Gli obiettivi della nostra selezione sono rivolti essenzialmente ad avere animali longevi, con mammelle a posto soprattutto per quello che riguarda la posizione dei capezzoli, fondamentale nell’utilizzo del robot. Diamo molta importanza anche alla persistenza della lattazione nelle primipare in quanto le fecondiamo piuttosto precocemente, cioè intorno agli 11-12 mesi, poiché lo sviluppo corporeo raggiunto lo consente. Abbiamo un intervallo parto concepimento di circa 110 giorni ed utilizziamo un po’ di seme sessato ed un 40% di seme da carne. Nella nuova struttura la sala parto si trova al centro vicino ai robot, in modo da poter portare le vacche fresche agevolmente in mungitura, soprattutto se sono di primo parto. L’idea di lasciare i vitelli sotto le madri è una delle nostre ultime novità, sono circa 7 mesi che lo facciamo ed i risultati sono molto promettenti. Da circa 15 anni usiamo l’allattatrice automatica (comunemente chiamata “lupa” ndr) ma i primi giorni i vitelli facevano fatica ad abituarsi, venendo da due settimane nelle gabbiette singole dove venivano alimentati due volte al giorno. Questa criticità, unita alle richieste di mercato sempre più pressanti sul tema, ci ha spinto a valutare una soluzione diversa. L’intervento dei nostri giovani è stato determinante in quanto proprio loro sono venuti a conoscenza, attraverso i canali social, di alcune realtà dove è stato adottato l’utilizzo delle cosiddette “balie”, vacche appunto dedicate all’allattamento dei vitelli nei primi giorni di vita. Così abbiamo deciso di lasciare i vitelli con le madri un paio di giorni e poi passarli in un altro box per circa quindici giorni dove è presente una vacca a fine carriera o una vacca da asciugare, che ancora faccia almeno 20 litri di latte al giorno in modo da poter soddisfare le esigenze di quattro o cinque vitelli. Trascorso questo periodo essi mostrano di aver imparato ad alimentarsi autonomamente quando lo desiderano, e possono essere trasferiti nel box con il sistema di alimentazione automatica».

Sicuramente una scelta innovativa e all’avanguardia, ma dal punto di vista sanitario come riuscite a gestire questa pratica?

«Sono pochi mesi che abbiamo introdotto questa nuova modalità, ma posso dirvi che ad oggi non abbiamo riscontrato problematiche di tipo sanitario ad essa legate. Consiglio di porre grande attenzione nell’igiene dell’ambiente, tenendo la lettiera sempre asciutta e pulita, magari con l’ausilio della ventilazione. Per il resto l’unico altro consiglio che mi sento di dare è quello di “fare bene le prove” se si vuole intraprendere una nuova tecnica, che sia in agricoltura o in zootecnia bisogna mettersi nelle condizioni di farla seriamente prima di dire che non funziona o che non è corretta. Le novità da poter implementare in un processo produttivo sono sempre molte, e a noi piace sempre spingerci un po’ oltre. Ad esempio da gennaio conduciamo, in affitto, un’azienda biologica nella quale ci piacerebbe trasferire alcune tecniche dell’agricoltura tradizionale, come la minima lavorazione, e viceversa vorremmo iniziare ad utilizzare alcune lavorazioni meccaniche nel convenzionale per diminuire l’uso dei fitofarmaci, ed avere un’agricoltura integrata e sempre più sostenibile sia economicamente che dal punti di vista ambientale. Ciò che resta fondamentale però, è, come dicevo prima,  condurre le sperimentazioni in maniera seria e puntuale».

Un’azienda, dunque, dove si respira innovazione e modernità sotto tanti punti di vista, e non ci stupisce quindi che abbia voluto intraprendere anche questa nuova strada sulla gestione dei vitelli. I risultati al momento sembrano dargli ragione, perciò non ci resta che augurare a tutti loro un buon proseguimento!