Come abbiamo visto nell’articolo di Mirko GallianiFormaggi fusi, redditività nella fusione”, il formaggi fusi costituiscono una categoria dalle ampie possibilità: dai filanti per la pizza agli spalmabili, inclusi i prodotti a fette (le classiche Sottilette), si tratta di una categoria merceologica che consente di ampliare l’offerta di prodotti nella propria azienda, andando a lavorare sul recupero di prodotti che potrebbero subire un destino da rifiuto, ma che, per qualità sia fisico-chimica che microbiologica, costituiscono una materia prima importante per un prodotto nuovo e di qualità.

Al di là del loro valore intrinseco, sebbene siano stati spesso criticati, i formaggi fusi trovano applicazioni culinarie piuttosto varie, soprattutto per la loro caratteristica versatilità, semplicità d’uso e per la distintiva “solubilità”, dal momento che, quando pronti al consumo, possono essere dispersi facilmente in acqua o brodo caldo per integrare, ad esempio, le minestrine consumate dai più piccoli.

Le differenti caratteristiche di un formaggio fuso sono definite sulla base dei fenomeni di natura chimico-fisica che avvengono durante il processo di produzione e che possono essere così elencati:

  • eliminazione del calcio dalla struttura caseinica;
  • degradazione e dispersione delle proteine;
  • idratazione e rigonfiamento delle particelle colloidali;
  • stabilizzazione del pH per effetto tampone dei minerali;
  • strutturazione per raffreddamento.

Un esempio interessante di formaggio fuso che ho incontrato come consumatrice è stato un “cacio e pepe”, pronto per essere utilizzato come condimento della pasta. Semplice preparazione, che al momento dell’uso si è sciolta facilmente con l’acqua di cottura degli spaghetti.

In questo articolo andiamo a vedere brevemente le caratteristiche microbiologiche dei formaggi fusi, ragionando in modo particolare sui parametri che possono rendere stabili questi prodotti. Come prima cosa, dovremmo considerare il fatto che, per produrre un formaggio fuso, le temperature di fusione sono sempre paragonabili alle temperature di pastorizzazione e, nei processi più incisivi, di sterilizzazione: nei processi tradizionali si raggiungono generalmente valori di temperatura compresi tra 75 e 100 °C, mentre valori più alti (corrispondenti ad una sterilizzazione) si ottengono a 120 °C. Tuttavia, per quanto tali processi consentano di avere una vita commerciale del prodotto piuttosto lunga, va detto che il formaggio fuso subisce un processo evolutivo in termine di struttura nel corso della sua vita: a tal fine, è sempre raccomandabile garantire condizioni ambientali ideali a temperature di 23°-25°C in locali asciutti e al riparo dagli sbalzi termici anche per i prodotti commercializzati fuori dalla catena del freddo. L’esposizione prolungata a temperature superiori a 30 °C causa infatti l’invecchiamento precoce del formaggio, difetto che si manifesta con il progressivo indurimento e imbrunimento della pasta (fonte: Assolatte). Oltre alle temperature di processo, incideranno sulle caratteristiche del prodotto finito anche la qualità della materia prima e le pratiche di preparazione ad essa applicate, nonché la scelta del tipo di packaging ed il suo trattamento.

Quando questi prodotti non sono sottoposti a trattamenti di sterilizzazione, il principale problema microbiologico è costituito dalla presenza di sporigeni, anaerobi e/o anaerobi, che si svilupperanno in funzione del tipo di packaging qualora presenti. Tra le varie tipologie di confezionamento, ricordiamo: scatola in banda stagnata per prodotti fusi utilizzati come ingredienti di altri alimenti; sotto film plastico impermeabile  per i fusi che imitano le paste filate per la pizza; confezionamento in atmosfera protettiva nel caso dei prodotti molto simili alle Sottilette, o infine nei film di alluminio, come per gli spicchi in scatola di cartoncino (i formaggini). Tra i batteri sporigeni, ricordiamo quello più preoccupante per i prodotti confezionati, ovvero Clostridium botulinum, in grado di svilupparsi a valori minimi di temperatura e pH di + 5°C e 4.7 rispettivamente, ed altri clostridi come Clostridium butyricum e Clostridium perfrigens, associati a diversi tipi di intossicazioni alimentari e in grado di crescere a valori di temperatura e pH superiori al Cl. botulinum (rispettivamente + 12°C e pH 4.8 e 15°C e pH 5). Ci sono anche i batteri del genere Bacillus spp. come contaminanti microbiologici dei prodotti lattiero-caseari. Nel caso di prodotti fusi pastorizzati, un rischio di contaminazione a valle del processo termico (pastorizzazione) può esistere in virtù delle misure di igiene e pulizia messe in atto nello stabilimento di produzione e degli aspetti legati al confezionamento, come abbiamo già visto in altri articoli pubblicati per Domus Casei (uno sul packaging, uno sulla shelf-life degli yogurt drink ed anche sul management dell’aria nei caseifici). Tra i microrganismi che potenzialmente potrebbero contaminare il formaggio fuso successivamente al trattamento termico, ricordiamo Listeria monocytogenes, che è presente negli ambienti di lavorazione anche laddove è praticata una buona igiene. Un aspetto critico legato alla tolleranza ambientale tipica di questo batterio è la capacità di sopportare ambienti ad elevate concentrazioni di sale (circa il 25% di salinità), pH bassi (il limite di crescita è 5,3-5,5, ma può sopravvivere in condizione prossime a pH 4) e temperature fredde (+2-4°C, alle quale può anche moltiplicarsi). Tuttavia, questo batterio risulta sensibile ai trattamenti termici e ai disinfettanti utilizzati nella sanificazione industriale. Anche batteri del genere Salmonella spp. possono essere problematici in post-pastorizzazione, e Staphyloccoccus aureus che, sebbene sia distrutto dalle condizioni di questo trattamento termico, rimane comunque un elemento critico per via della resistenza alle temperature delle tossine che produce. Le condizioni necessarie per la sua crescita sono temperature comprese tra 7 e 46 °C, pH 5.2-9.0 e attività dell’acqua (aw) maggiori di 0,86. S. aureus può crescere al 15-20% di NaCl ma generalmente non è un buon concorrente in condizioni che consentono la crescita di altri batteri. Glass et al. (1998) hanno dimostrato che fette di formaggio fuso pastorizzato inoculate con S. aureus e conservate per 4 giorni a 30 °C hanno permesso la sopravvivenza ma non la crescita rapida di questi batteri; additivi alimentari con funzione di conservanti a base di sorbato (0,1%) inibiscono la crescita di S. aureus nelle fette di formaggio trattato. Nello stesso lavoro, Glass et. al (1998) hanno dimostrato che popolazioni di Escherichia coli O157:H7 su fette di formaggio fuso pastorizzato vanno incontro a una decrescita durante la conservazione a 30 °C per 4 giorni.

Quali parametri dobbiamo considerare per un controllo sulle caratteristiche microbiologiche dei formaggi fusi?

Oltre ad intervenire con trattamenti termici sul prodotto finito, ed ancor prima gestire correttamente tutte le misure preventive delle contaminazioni microbiologiche, scegliendo materie prime idonee, nel caso dei formaggi fusi si può lavorare sulla ricetta del prodotto finito affinché le condizioni di pH, attività dell’acqua, concentrazioni saline ed eventualmente di additivi alimentari possano stabilizzare il prodotto nella sua vita di scaffale.

L’importanza del pH e dell’attività dell’acqua è stata ampiamente dimostrata per i formaggi fusi in particolare nell’effetto di inibizione di Cl. botulinum. Nei formaggi spalmabili che rientrano nella categoria “fusi” i valori di aw variano da 0.94 a 0.96, e  sono quindi inferiori ai valori che supportano la crescita del batterio. Inoltre, tali valori di aw, in combinazione con un basso pH, e la concentrazione di sale e di fosfati di sodio influiscono anche sulla produzione di tossine da parte del batterio.

Per quanto riguarda l’impiego di sali di fusione e di NaCl, la ricerca ha dimostrato l’effetto inibitorio dei sali a base di fosfato sulla crescita di vari microrganismi e i loro effetti antibotulinici in particolare nei prodotti spalmabili. In particolare, Tanaka et al. (1986) hanno studiato e modellato ampiamente l’influenza dell’umidità, del pH, del fosfato disodico e del livello di NaCl sulla produzione di tossine in questi prodotti, preparando modelli predittivi che coinvolgono l’influenza del pH e della percentuale totale di NaCl + fosfato disodico sulla produzione di tossine in PC con vari livelli di umidità. I risultati hanno permesso di capire che un pH inferiore e livelli più elevati di NaCl + fosfato disodico danno prodotti più sicuri dal punto di vista microbiologico.

Infine, anche altri additivi alimentari hanno un effetto sulla stabilità microbiologica del formaggio fuso pronto al consumo. Ad esempio, Glass e Doyle (2005) hanno dimostrato che l’aggiunta di acido lattico può prevenire lo sviluppo di tossina da Cl. botulinum nei formaggi fusi spalmabili, mentre l’aggiunta dallo 0,13% allo 0,26% di sorbato di potassio, utilizzato nell’industria alimentare come conservante, è stato indicato dagli stessi autori per ritardare la crescita del Cl. botulinum.

Nell’Unione Europea, il Reg. (CE) n. 1333/2008 è il riferimento normativo per l’impiego di additivi alimentari. Specificamente per il formaggio fuso, che il documento identifica nella categoria 01.7.5, le possibilità di impiego di additivi tengono conto dell’ampia varietà di prodotti che questa categoria alimentare può offrire. Tra gli additivi autorizzati a condizioni specifiche, in particolare per quanto riguarda formaggi fusi specifici e concentrazioni, troviamo i già citati sorbati (acido sorbico – sorbato di potassio), coloranti vari, tra cui anche caroteni ed estratto di paprica utilizzabili senza distinzione di tipo di prodotto e senza limiti alle quantità (mentre per il gruppo II di coloranti, in genere utilizzabili quantum satis, vi è una specifica sull’impiego unicamente nei prodotti aromatizzati). Per correggere l’acidità dei formaggi fusi si possono utilizzare acidi organici (citrico, lattico, acetico) oppure idrossido di sodio, inclusi nel gruppo I di additivi alimentari. Inoltre, è autorizzato l’impiego della nisina, sulla quale apriamo una piccola parentesi. La nisina è un composto prodotto da alcuni ceppi di Lactococcus lactis, che ha dimostrato una certa attività contro alcuni batteri gram-positivi. Sebbene le spore siano molto più resistenti alle batteriocine rispetto alle cellule vegetative, è stato anche riportato in letteratura che la nisina inibisce la germinazione delle spore nella fase di gonfiore precoce, nonché il fatto che questa batteriocina sia in grado di rendere sensibili le spore al calore in modo da ridurre il trattamento termico.

Infine sappiamo che per i formaggi fusi l’uso di sali di fusione risulta rilevante a livello tecnologico. I sali di fusione sono sostanze che disperdono le proteine contenute nel formaggio realizzando in tal modo una distribuzione omogenea dei grassi e altri componenti. Per la categoria formaggio fuso, il Reg. (CE) n. 1333/2008 autorizza i citrati del gruppo I (utilizzabili quantum satis) e fosfati (E 338-452: Acido fosforico – fosfati – di- tri- e polifosfati, limite massimo del singolo additivo o in combinazione con gli altri pari a 20 000 mg per litro o kg, espresso come P2O5).

Come avevamo già riportato nell’articolo sugli additivi alimentari impiegati nei dessert a base di latte sulla necessità di impiego degli stessi nelle produzioni alimentari, oltre a dover coprire una determinata funzione tecnologica nel prodotto finito, dobbiamo sempre tenere presente l’attenzione del consumatore agli ingredienti che vengono utilizzati. Pertanto,  per ottenere un prodotto di elevata qualità in grado di soddisfare le esigenze del consumatore sempre più attento, puntando ad una shelf-life prolungata e con pochi ingredienti, sarà importante soffermarsi sulla qualità della materia prima, sull’esecuzione del processo produttivo e sull’autocontrollo rigoroso ed efficace, e più nello specifico: selezione e gestione delle materie prime, controllo di ogni fase di lavorazione, pulizia dei locali e delle attrezzature, temperature di lavorazione e stoccaggio, formazione e l’igiene del personale.

 

Bibliografia

Rohit Kapoor, Lloyd E. Metzger, 2008. Process Cheese: Scientific and Technological Aspects—A Review. Comprehensive Reviews in Food Science and Food Safety.

Kathleen Glass, M. Ellin Doyle, 2005. Safety of Processed Cheese- A Review of the Scientific Literature. FRI Briefings.

Cesare Corradini, 1995. Chimica e tecnologia del latte. Tecniche Nuove

Germano Mucchetti, Erasmo Neviani, 2006. Microbiologia e tecnologia lattiero-casearia. Qualità e sicurezza. Tecniche nuove