Le spore batteriche (o endospore) sono state studiate da molto tempo in quanto sono tra le forme microbiche più resistenti. Abbiamo già visto nell’articolo “Le spore batteriche nei prodotti lattiero-caseari: caratteristiche, origine, problemi, prevenzione – Prima Parte“, quali possono essere i vettori che portano le spore all’interno dei foraggi e come queste giungono nel tratto gastro-intestinale degli animali.
Vediamo ora quali possono essere le problematiche date dalla loro presenza per la filiera lattiero-casearia e quali azioni preventive e correttive possono essere attuate.
Problemi per la filiera lattiero-casearia
Oltre ad essere un problema per i prodotti a latte crudo, la stabilità al calore delle spore estende il rischio anche ai prodotti ottenuti da latte trattato termicamente. Trattamenti termici come la termizzazione e la pastorizzazione non distruggono le spore ma, anzi, possono attivare il processo di germinazione, favorendo la crescita nei prodotti quando si instaurano condizioni favorevoli.
Nel settore lattiero-caseario i batteri sporigeni più conosciuti sono i Clostridi, in quanto responsabili di difetti di gonfiore tardivo in formaggi duri e semi-duri a lunga maturazione. Le spore, che sopravvivono ma non si sviluppano nel latte perchè non trovano le condizioni di anaerobiosi (assenza di ossigeno) idonee per la crescita, possono svilupparsi nei formaggi quando, durante la stagionatura, si instaurano le condizioni favorevoli per la germinazione e sviluppo della forma vegetativa. I clostridi sono sensibili all’acidità (a seconda delle specie iniziano a crescere a pH > 5,3-5,6), tollerano limitate concentrazioni di sale (a pH 5 lo sviluppo è inibito con 4.5% di sale; si consideri che nella fase acquosa di formaggi la concentrazione di sale può variare tra il 4 e l’8%) e valori di acqua libera (Aw) ≥ 0.93; inoltre, essendo mesofili, crescono con temperature minime > 10-15°C. Nei formaggi, solo quando oltre all’anaerobiosi vengono raggiunte anche le altre condizioni, le spore possono sviluppare.
Delle diverse specie di clostridi responsabili di difetti di gonfiore nei formaggi, quelle più frequenti sono ascrivibili al gruppo dei butirrici, ulteriormente suddivisibile in due sottogruppi fisiologici: i saccarolitici (C. tyrobutyricum, C. butyricum, C. beijerinckii) che fermentano zuccheri e acidi organici; i proteolitici (C. sporogenes e C. bifermentans) che degradano le proteine con liberazione di aminoacidi, acidi organici ed altri metaboliti. Questi clostridi sono detti butirrici perché, utilizzando acido lattico, lattosio o proteine per crescere, producono acido butirrico, acido acetico e gas come idrogeno e anidride carbonica. I gas prodotti causano il gonfiore dei formaggi, che può manifestarsi dopo qualche settimana o qualche mese di stagionatura, a secondo delle specie coinvolte e del numero di spore presenti.
C. tyrobutyricum è la specie che predomina nei casi di gonfiore tardivo in formaggi duri a lunga stagionatura in quanto, oltre ad utilizzare il lattato come substrato di crescita, è il meno sensibile alle altre condizioni fisico-chimiche limitanti (acidità, temperatura), e produce quantità maggiori di gas rispetto alle altre specie.
Anche C. sporogenes può utilizzare il lattato per crescere producendo acido butirrico ed altri acidi organici; inoltre è molto proteolitico ed in grado di degradare gli aminoacidi liberando ammoniaca e composti solforati, responsabili di forti alterazioni organolettiche che rendono non commestibile il formaggio. C. sporogenes è sensibile all’acidità (non cresce a pH < 5,7), ma tollera maggiori concentrazioni di sale (fino al 6,5%). Per questi motivi può essere responsabile di difetti anche dopo 12 mesi di stagionatura.
C. beijerinckii fermenta il lattosio ed altri zuccheri ma non fermenta il lattato. Data la bassa tolleranza alle condizioni di acidità e al sale è più frequentemente ritrovato nel latte, ma poco nei formaggi.
Anche C. butyricum utilizza preferibilmente il lattosio, è in grado di svilupparsi molto rapidamente producendo elevati quantitativi di gas. E’ sensibile all’acidità, ma in casi di acidificazione inadeguata della cagliata, è risultato responsabile dell’insorgenza di un particolare gonfiore precoce, sia in formaggi duri che in formaggi freschi come la mozzarella.
Fra i Clostridi, oltre alle specie sopra descritte responsabili di difetti nei formaggi, si devono considerare anche alcune specie patogene per l’uomo come il C. botulinum e il C. perfringens. La presenza delle spore nel latte e nei prodotti lattiero caseari non è un evento eccezionale, perchè arrivano attraverso le stesse vie di contaminazione degli altri sporigeni, ma l’incidenza della contaminazione è bassa. La pericolosità di questi batteri sporigeni anaerobi è dovuta alla loro capacità di produrre tossine in grado di causare problemi per la salute umana (paralisi neuro-muscolare con la tossina botulinica; gastroenterite con l’enterotossina di C. perfringens). Le tossine sono prodotte durante la crescita del microrganismo e devono essere ingerite con l’alimento, il rischio quindi è legato alla possibilità che le spore trovino condizioni idonee per germinare e crescere. Questi clostridi patogeni sono però più sensibili di quelli butirrici alle condizioni chimico-fisiche ambientali, per questo gli episodi di intossicazione da consumo di prodotti lattiero-caseari sono rari. Le condizioni di anaerobiosi, acidità, temperatura, pressione osmotica che devono essere contemporaneamente soddisfatte per consentire una forte crescita con produzione di dosi pericolose di tossine possono determinarsi nei prodotti lattiero-caseari solo in casi eccezionali. Un esempio su tutti, il caso di botulismo per consumo di mascarpone contaminato avvenuto in Italia nel 1996. Le poche spore presenti nel mascarpone, un prodotto non acido, senza sale, che accidentalmente era stato conservato per più giorni a temperatura ambiente invece che a 4°C (temperatura che impedisce lo sviluppo del botulino), si sono potute sviluppare producendo la tossina.
Altri sporigeni di interesse per la filiera lattiero-casearia sono rappresentati da batteri aerobi appartenenti principalmente al genere Bacillus, ma anche ad altri generi come Paenibacillus, Geobacillus, Anoxybacillus, fra i quali si ritrovano specie sia in grado di deteriorare i prodotti che potenzialmente pericolosi per la salute umana. Come per gli sporigeni anaerobi, le spore entrano nel latte crudo alla stalla, durante la mungitura. Gli sporigeni aerobi crescono in presenza di ossigeno ma sono particolarmente sensibili all’acidità, al pH e al sale, per questo si sviluppano bene nel latte ma trovano difficoltà in prodotti lattiero-caseari fermentati come yogurt e formaggi. Inoltre, molti ceppi sono psicrotrofi, cioè in grado di crescere a temperature <10°C. Quindi, sia durante lo stoccaggio di latte crudo che nel corso della conservazione di latte alimentare, pastorizzato e UHT, soprattutto se in condizioni di abuso termico e per tempi prolungati, gli sporigeni aerobi possono crescere e produrre enzimi, quali proteasi, lipasi e fosfolipasi, che causano difetti di sapore, odore e consistenza del latte. Anche prodotti fermentati ottenuti da latte stoccato non correttamente possono andare incontro a difetti per azione degli enzimi accumulatisi durante lo stoccaggio. Molti di questi enzimi sono termoresistenti, non vengono inattivati, o solo parzialmente, dai trattamenti termici e pertanto possono agire nel corso della shelf-life dei prodotti alterandone la qualità. Altri prodotti dove gli sporigeni aerobi sono considerati degli indicatori di igiene sono le polveri di latte, il latte evaporato e il latte condensato. I processi di essiccazione, evaporazione e concentrazione, permettono una concentrazione delle spore, ma i bassi valori di Aw e/o l’elevata pressione osmotica di questi prodotti ne impediscono la crescita. Il loro utilizzo nella preparazione di altri alimenti può rappresentare un rischio igienico se nei prodotti trovano le condizioni ideali per crescere.
Altri problemi per l’industria lattiero-casearia possono derivare, oltre che dalla resistenza ai trattamenti termici, dalla capacità di aderire alle superfici con cui vengono a contatto e di formare biofilm. Il biofilm è un agglomerato di cellule microbiche invisibile ad occhio nudo che le cellule attaccate alle superfici possono formare producendo polisaccaridi in grado di inglobare altri batteri. Questi sistemi biologici complessi proteggono le cellule dall’esposizione a condizioni ambientali avverse e sono difficili da rimuovere con le normali operazioni di pulizia e sanificazione. Quando i biofilm adesi alle superfici entrano in contatto con l’alimento (latte o formaggio), lo contaminano liberando cellule o loro metaboliti, in particolare enzimi.
Fra gli sporigeni aerobi più frequentemente isolati da latte alimentare trattato termicamente e da prodotti lattiero-caseari a bassa acidità si trovano sia specie mesofile (crescita ottimale tra 30° e 40°C, alcuni in grado di crescere anche tra 10° e 60°C) del genere Bacillus (B. subtilis, B. licheniformis, B. pumilus, B. coagulans, B. sporothermodurans, B. cereus), e Paenibacillus (P. macerans, P. odorifer), sia specie termofile (crescita tra 40° e 65°C) come Anoxybacillus flavithermus e Geobacillus stearothermophilus. Queste specie termofile formano spore altamente resistenti al calore, in grado di sopravvivere anche a trattamenti UHT, caratteristica posseduta anche dalle spore di B. sporothermodurans.
La specie patogena di interesse per il settore lattiero caseario è il B. cereus, pericolosa perché in grado di produrre, oltre agli enzimi, due diversi tipi di tossine, una termostabile (provoca il vomito), una termolabile (diarroica). Le spore si ritrovano facilmente nel latte, ma per produrre una quantità di tossine sufficienti per provocare malattia devono potersi sviluppare. La crescita può avvenire a temperature ≥ 6-8°C con optimum a 30-40°C, a pH non acidi. Per queste ragioni i prodotti più a rischio sono quelli non fermentati, come dimostrano alcuni episodi di intossicazione causati dal consumo di latte pastorizzato conservato in condizioni di abuso termico (8°-10°C).
Prevenzione e controllo
Le misure per prevenire e ridurre la contaminazione da batteri sporigeni e per controllare gli effetti negativi sui prodotti lattiero-caseari riguardano tutta la filiera di produzione, dall’azienda agricola, alla stalla, al caseificio.
Azienda agricola
L’azienda agricola è il primo anello della catena produttiva dove intervenire per prevenire la diffusione delle spore nell’ambiente e limitare i rischi di contaminazione del latte. Come specificato in precedenza, l’attenzione principale deve essere rivolta alla qualità microbiologica ed igienica degli alimenti per le vacche, gli insilati principalmente, ma anche i foraggi e la miscelata, che hanno un ruolo primario nel veicolare le spore batteriche all’animale e negli ambienti e, indirettamente, nel latte.
La presenza di terra nella razione distribuita alle vacche è il primo fattore da limitare per contenere il numero di spore. Per questo è necessario ridurre l’inquinamento da terra dei foraggi, che dipende dal grado di imbrattamento delle piante, prestando attenzione all’altezza di taglio, alle operazioni di raccolta, ad accorgimenti per separare la terra dai foraggi prima dell’utilizzo. Inoltre, è importante curare la pulizia dei sili, controllare l’umidità dei prodotti immagazzinati, effettuare controlli sulle forniture e selezionare i fornitori.
Relativamente agli insilati, il contenimento del numero di spore batteriche dipende, oltre che dalla riduzione della contaminazione del materiale di partenza, dalla capacità di inibire la germinazione e moltiplicazione degli sporigeni. Una corretta fermentazione, operata dai batteri lattici naturalmente presenti ed eventualmente aggiunti come additivi in grado di produrre acido lattico ed altri acidi organici a partire dagli zuccheri del foraggio, consente un rapido abbassamento del pH della massa che, se ben conservata, porta ad una riduzione del numero con l’avanzare della conservazione. Gli insilati devono pertanto essere preparati, conservati e gestiti in modo ottimale per garantire una corretta fermentazione e per evitare il deterioramento aerobico, fenomeno che si manifesta a contatto con l’aria e che riguarda soprattutto le zone periferiche della massa insilata (laterali, cappello, fronte), più difficili da comprime o dove può penetrare aria. In queste zone i microrganismi aerobi possono crescere consumando l’ossigeno e gli acidi organici, portando ad un’innalzamento del pH e alla formazione di condizioni favorevoli alla germinazione e sviluppo dei batteri sporigeni.
Le misure necessarie per evitare o limitare questi fenomeni riguardano:
- la gestione delle fasi di insilamento (compressione della massa con macchine che non apportano terra, densità ed uniformità del compattamento);
- l’uso di strutture e materiali adeguati (integrità delle trincee e delle coperture, tipo di copertura);
- caratteristiche fisico-chimiche-microbiologiche del materiale da insilare (dimensione delle particelle, tenore di sostanza secca, attività fermentativa della microflora naturale o aggiunta);
- la gestione della fase di desilamento (collegata alla progettazione e al dimensionamento delle strutture) per ottimizzare il tasso di rimozione in funzione del consumo, evitando una prolungata esposizione all’aria del fronte, ed eventualmente scartando dal prelievo le zone visibilmente deteriorate;
- le modalità e i tempi di distribuzione della miscelata contenente l’insilato.
Questi accorgimenti sono fondamentali per evitare di aggiungere alla miscelata minime parti di insilato altamente contaminate (es. > 100.000 spore/g), in grado di compromette la qualità dell’intera razione e aumentare i rischi di contaminazione del latte.
Stalla
Le spore presenti nella razione sopravvivono al passaggio nel tratto gastrointestinale dell’animale e vengono escrete con le feci. La contaminazione si diffonde negli ambienti dell’allevamento arrivando a contaminare la lettiera e quindi la cute delle mammelle e dei capezzoli. Il passaggio delle spore nel latte avviene dall’esterno dei capezzoli della vacca durante la mungitura. Pertanto, per ridurre il più possibile la probabilità d’inquinamento del latte da spore, si devono attuare tutti gli accorgimenti necessari per migliorare la gestione degli ambienti di allevamento e di mungitura, per assicurare un’accurata pulizia e sanificazione delle mammelle prima della mungitura e delle attrezzature e superfici che vengono a contatto con il latte.
E’ necessario:
- evitare il sovraffollamento delle stalle e rimediare ad errori di dimensionamento e progettazione delle superfici di stabulazione;
- curare la pulizia delle aree di stabulazione interne ed esterne, in particolare della zona di riposo, mediante la frequente asportazione delle deiezioni e il ricambio della lettiera;
- gestire accuratamente la pulizia e sanificazione dei locali di mungitura, dell’impianto di mungitura, delle attrezzature che vengono a contatto con il latte. Anche la presenza di polvere sulle superfici e nell’aria può rappresentare un fattore di rischio perchè in grado di veicolare le spore dall’ambiente al latte;
- evitare il contatto delle apparecchiature di mungitura con superfici sporche di feci;
- gestire con cura la routine di mungitura, cioè effettuare in maniera costante la corretta sequenza delle operazioni: eliminazione dei primi getti, pulizia dei capezzoli (pre-dipping), ossia la detersione dei capezzoli e successiva asciugatura con panni monouso (se i capezzoli sono puliti si possono utilizzare salviettine monouso per la pulizia a secco) prima dell’attacco del gruppo di mungitura, e trattare i capezzoli dopo lo stacco del gruppo con una soluzione disinfettante (post-dipping).
Caseificio
A valle della filiera, quando il latte arriva alla trasformazione, è possibile intervenire con misure e tecnologie finalizzate a rimuovere le spore nel latte o a contenere ed inibire la loro germinazione e sviluppo nei prodotti.
Considerando che l’inattivazione delle spore si ottiene solo con trattamenti termici di sterilizzazione, applicabile solo per la produzione di latte alimentare UHT e sterile o per alcuni prodotti derivati (dessert, creme, ecc.), per prodotti a latte crudo o pastorizzato, soprattutto per i formaggi, si deve far ricorso a metodi fisici, chimici o biologici:
- filtrazione (microfiltrazione), centrifugazione (bactofugazione), affioramento naturale della crema, per ridurre il numero di spore nel latte crudo;
- impiego di coadiuvanti tecnologici (lisozima), colture starter protettive (ad azione inibente), additivi conservanti (nitrati, esametilentetrammina, nisina), per inibire lo sviluppo nei prodotti durante la conservazione o la stagionatura.
Per quanto riguarda la trasformazione casearia, inoltre, è fondamentale una gestione ottimale della caseificazione per creare nel formaggio condizioni che permettano di controllare e ridurre la possibilità delle spore di germinare e/o alla forma vegetativa di sviluppare. Infatti, le possibilità di crescita dei batteri sporigeni dipendono dall’interazione di molteplici fattori quali la concentrazione di acido lattico e sale, il pH, il contenuto di umidità, la temperatura, il tempo, nonché dalla presenza di una ricca microflora lattica. A tal fine è necessario:
- disporre di un latte di buona qualità, ad alta attitudine alla coagulazione ed alla fermentazione lattica;
- curare l’affioramento della crema, per i formaggi a latte parzialmente scremato, sia per determinare un corretto rapporto grasso/proteine nel latte in caldaia, sia per ottenere un buon grado di debatterizzazione con rimozione delle spore per aggregazione al grasso che risale verso la superficie;
- utilizzare colture starter con un elevato numero di batteri lattici vivi e vitali, per instaurare rapidamente un giusto grado di acidificazione della pasta del formaggio, condizione sfavorevole allo sviluppo di flora anticasearia, compresa quella sporigena;
- curare tutte le fasi operative per ottenere una cagliata compatta, omogenea, in grado di assumere il giusto quantitativo di sale nei tempi previsti;
- intervenire, eventualmente, in fase di salatura e stagionatura per prevenire la germinazione e la crescita degli sporigeni nel formaggio. La salatura o una prima fase di stagionatura effettuata a bassa temperatura (<10°C) può consentire di completare la penetrazione e distribuzione del sale nella forma e quindi di sfruttare l’azione combinata di temperatura, pH e pressione osmotica per inibire lo sviluppo microbico.
Come si contano le spore nei prodotti lattiero-caseari
I metodi microbiologici convenzionali per contare le spore utilizzano sia tecniche di coltivazione in piastra con terreni agarizzati, sia tecniche in terreni liquidi per il conteggio MPN (Most Probable Number o Numero Più Probabile). Tutti i metodi colturali sono preceduti da un trattamento termico del campione in laboratorio (pastorizzazione a 75-85°C per 10-15 minuti) per inattivare le cellule vegetative e poter contare solo le spore perché resistenti a tale trattamento.
Per il conteggio degli sporigeni anaerobi (clostridi) viene sfruttata innanzitutto la loro sensibilità all’ossigeno come fattore di selezione. Nei terreni colturali vengono aggiunti agenti riducenti (es. L-cisteina o tioglicolato di sodio) per ridurre il potenziale redox, e l’incubazione deve essere effettuata in assenza di ossigeno cioè in condizioni di anaerobiosi. Purtroppo, ad oggi, non esiste un terreno agarizzato totalmente selettivo per la conta in piastra dei clostridi, in quanto altri sporigeni anaerobi o anaerobi facoltativi (come alcuni Bacillus e Paenibacillus) possono crescere e interferire. Tuttavia, mediante l’impiego di sostanze inibenti (antibiotici) e di substrati specifici, sono stati sviluppati terreni colturali che consentono di riconoscere e contare elettivamente particolari gruppi di clostridi con caratteristiche metaboliche comuni, come i solfito-riduttori (gruppo che comprende il C. perfringens) e i lattato-fermentanti (che comprendono i clostridi butirrici responsabili del difetto di gonfiore tardivo nei formaggi).
Fra le criticità che presenta la conta delle spore dei clostridi butirrici nel latte e nei prodotti caseari, oltre a selettività e specificità, è importante la sensibilità del metodo, che deve essere in grado di rilevare anche bassi livelli di contaminazione (inferiori a 1000 spore/litro di latte, vale a dire meno di 1 spora/ml). Il difetto di gonfiore, infatti, può manifestarsi anche a partire da poche decine o centinaia di spore per litro di latte, pertanto, per poter determinare numeri così bassi, è necessario o aumentare la quantità di latte che viene analizzata, o concentrare le spore presenti in un volume noto di latte (ad esempio centrifugando o filtrando 50-100 ml).
I metodi che utilizzano terreni liquidi e la conta con tecnica MPN consentono di analizzare quantità maggiori di campione (30-50 o più ml a seconda dello schema MPN utilizzato) e, nonostante non siano completamente soddisfacenti perché richiedono tempi lunghi per ottenere il risultato e consentono solo una stima del numero più probabile di spore presenti nel campione, sono ancora oggi i metodi più utilizzati per controlli di routine, soprattutto perché semplici, di facile interpretazione e di basso costo. Sebbene non ci sia ancora un metodo standard ufficiale riconosciuto a livello internazionale, vari paesi e laboratori hanno sviluppato e adottato metodi basati sulla tecnica MPN che differiscono per:
- sistema di inoculo, rappresentato dal numero di provette inoculate per ogni diluizione (3-5-10) e dalla quantità di inoculo per provetta (10-1-0.1-0.01 ml o gr);
- tipo di terreno utilizzato, substrato sintetico o latte, con eventuale aggiunta di lattato come fonte di carbonio e/o aggiustamento del pH a 5.4-5.5;
- condizioni di pastorizzazione dei campioni, tra 75-85°C per 10-15 min;
- tempi di incubazione, 3-5-7 giorni a 37°C.
- uso di paraffina, miscela paraffina/vaselina, o agar per tappare le provette e mantenere l’anaerobiosi;
- limiti di rilevazione, da un minimo di 180-300 spore/litro ad un massimo di 16000-110000 spore/litro.
Dopo l’incubazione, i risultati si ricavano dal numero di provette positive, cioè quelle dove il tappo si è sollevato a causa del gas prodotto per fermentazione dei substrati. Mediante apposite tabelle o fogli di calcolo che considerano il numero di provette positive per ogni diluizione, il numero di diluizioni, la quantità di campione inoculata, si determina il numero MPN di spore per ml o gr di campione.
Recentemente, attraverso la messa a punto di un terreno cromogeno ad alta selettività, lo sviluppo di una piattaforma di analisi MPN automatizzata, la dispensazione di molte repliche del campione in piccoli volumi (quindi aumentando complessivamente la quantità di campione analizzato) è stato introdotto sul mercato un sistema in grado di produrre risultati in 48 ore e con limiti di rilevazione da 14 a 86 spore/litro di latte, in funzione del numero di repliche e dei volumi analizzati.
L’importanza di disporre di metodi sempre più sensibili (in grado di determinare numeri di spore molto bassi, nell’ordine di poche decine per litro di latte) e specifici (in grado di rilevare solo i clostridi responsabili dei difetti), è un esigenza sempre più sentita. Infatti, nonostante una progressiva ma costante riduzione dei livelli medi di contaminazione da spore, grazie al miglioramento delle condizioni igieniche e all’adozione di corrette pratiche di gestione in azienda e alla stalla, l’incidenza della difettosità non si è ridotta altrettanto.
Le tecniche analitiche si sono evolute grazie allo sviluppo di moderni approcci di biologia molecolare che, rispetto ai metodi colturali convenzionali, sono veloci, altamente specifici, ma che richiedono personale specializzato e sono ancora troppo costosi per applicazioni di routine e soprattutto non sufficientemente sensibili. Dato che questi metodi rilevano la presenza del DNA batterico, è necessario che vi sia la presenza di almeno 1 cellula per ml di latte (o per grammo di formaggio), quindi per poter individuare livelli di contaminazione inferiori a questo limite, si rende necessario recuperare e concentrare le spore presenti in volumi maggiori di campione (da 10 a 100 ml). La preparazione del campione rimane quindi, anche per i metodi molecolari, una fase imprescindibile che deve essere effettuata prima dell’analisi. I metodi molecolari, tuttavia, sono altamente specifici e forniscono risultati rapidi. Sono particolarmente adatti per identificare le specie, piuttosto che per la quantificazione di routine perché sono costosi. Inoltre, la presenza del DNA non riflette necessariamente la presenza di batteri vivi ed attivi. Un’ulteriore difficoltà è l’attribuzione di un valore soglia del numero di spore di clostridi, che garantisca di evitare l’insorgenza del difetto di gonfiore tardivo. Secondo alcuni autori, già 50 spore per litro di latte possono causare danni al formaggio, ma questo valore deve essere interpretato con cautela perché i risultati delle conte possono essere diversi a seconda dei metodi utilizzati. Pertanto, qualsiasi limite di soglia critica deve essere considerato strettamente specifico al metodo utilizzato. Inoltre, il contributo che specie e ceppi diversi di clostridi possono avere sul difetto di gonfiore tardivo non è ancora completamente compreso e richiede ulteriori indagini.
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