Tra le principali preoccupazioni dell’industria lattiero-casearia quando si parla di latte alimentare pastorizzato ci sono la conservazione della qualità e della sicurezza del prodotto finale, ma anche la necessità di preservare il caratteristico sapore del latte, aspetto influenzato da diversi fattori che includono il packaging.

Il latte fluido pastorizzato è infatti particolarmente suscettibile ai sapori sgradevoli legati alla confezione rispetto a molte altre bevande a causa del suo gusto relativamente delicato.

L’industria lattiero-casearia fino ad ora si è concentrata maggiormente sulla necessità di impedire alle luce di deteriorare il prodotto attraverso la confezione. Come ben documentato da molte ricerche, i contenitori trasparenti fanno passare la luce portando alla fotossidazione della riboflavina e di altri composti fotosensibili presenti in natura nel latte, con la creazione di sapori sgradevoli.

Il sapore può però essere influenzato anche dal trasferimento di composti dalla confezione al latte, e la confezione può assorbire i sapori e gli aromi dall’ambiente circostante.

A chiarire questi aspetti è una recente ricerca pubblicata sul Journal of Dairy Science condotta da un team di ricercatori della North Carolina State University nel quale è stato valutato l’impatto di diversi materiali utilizzati per il packaging sul sapore del latte.

In particolare, sono state confrontate le proprietà sensoriali e chimiche del latte alimentare confezionato in cartone, polietilene a bassa densità, polietilene ad alta densità (HDPE), polietilene tereftalato (PET), polietilene lineare a bassa densità (LLDPE) e vetro.

Lo studio

Il latte scremato e intero pastorizzato (alta temperatura per breve tempo, 77°C per 25 s) è stato versato (280 mL ± 10 mL) in confezioni di cartone, polietilene a bassa densità, HDPE, PET, LLDPE e vetro (controllo). I latti sono stati conservati a 4°C al buio e campionati nei giorni 0, 5, 10 e 15 della prova.

Sono stati poi valutati i profili sensoriali in ciascun giorno, e i composti volatili sono stati estratti e identificati mediante microestrazione in fase solida con gas cromatografia spettrometria di massa e gascromatografia-olfattometria.

Il giorno 10 sono poi stati condotti test di assaggio alla cieca con i consumatori.

Le conclusioni

Sapori sgradevoli dovuti all’imballaggio e all’ambiente di refrigerazione sono stati rilevati sia nel latte scremato che intero durante il periodo di conservazione refrigerata. I sapori sgradevoli nel latte rilevati dall’analisi sensoriale sono stati correlati con l’aumento dei composti volatili a migrazione specifica.

I risultati ottenuti hanno quindi confermato che la tipologia di confezione influenza in modo diverso il sapore del latte alimentare, e che questi effetti sono maggiori nel latte scremato rispetto al latte intero. I cartoni e l’LLDPE presentavano le più alte intensità di aromi sgradevoli ed hanno dimostrato di non preservare la freschezza del latte come il PET, l’HDPE o il vetro, a causa della migrazione degli aromi dal cartone al latte, e dell’assorbimento degli aromi del latte da parte del cartone.

Il latte confezionato nei cartoni ha fatto infatti registrare distinti sapori sgradevoli, oltre a livelli più elevati di composti provenienti dalla confezione o dal frigorifero. presenza dei composti del cartone (analisi chimico-fisica), tra cui stirene, acetofenone e 2-etil-1-esanolo.

I test sui consumatori erano coerenti con l’analisi dei composti volatili, suggerendo che i latti HTST confezionati in HDPE, PET o vetro in assenza di esposizione alla luce non presentano differenze sensoriali distinguibili fino al giorno 10 dall’elaborazione. I latti confezionati nel cartone sono stati invece differenziati dai consumatori rispetto ai latti in vetro.

Il vetro rimane una barriera ideale per preservare l’aroma del latte fluido, ma in assenza di luce anche l’HDPE e il PET offrono numerosi vantaggi.

Tratto da: “The role of packaging on the flavor of fluid milk”, di D.C. Cadwallader, P.D. Gerard e M.A. Drake. Journal of Dairy Science. DOI: https://doi.org/10.3168/jds.2022-22060