E’ ormai evidente che i paradigmi con cui abbiamo gestito la salute e le produzioni dei cosiddetti animali da reddito o “food animals” stanno cedendo il passo al nuovo. Tre sono i baricentri del cambiamento: il rispetto dei diritti di questi animali, la sostenibilità ambientale e l’uso razionale degli antibiotici che a breve si estenderà a tutte le altri classi farmacologiche. E sottilineo: non divieto ma uso razionale.

Ma cosa significa questo? Nulla di nuovo dal momento che la prassi medica della sequenza anamnesi-diagnosi-terapia-prognosi (ADTP) è essa stessa un “uso razionale del farmaco”. E’ stata la classe medica a lanciare l’allarme, prevedendo per il 2050 10 milioni di morti a causa di ceppi batterici resistenti a tutti gli antibiotici, stima addirittura superiore a quella degli 8.2 milioni di morti a causa del cancro. Cercare di trovare un colpevole (capro espiatorio) invece di risolvere il problema è un comportamento disdicevole ed ha portato ad attribuire agli allevamento intensivi la principale responsabilità di un uso eccessivo di antibiotici come metafilassi. E’ comunque vero che negli allevamenti di monogastrici come polli e suini si fa un abuso di antibiotici somministrati nel cibo o nell’acqua da bere.

Nel nono rapporto ESVAC (European Surveillance of Antimicrobial Consumption) da poco pubblicato dall’EMA (European Medicine Agency) vengono anche quantificate le vendite di antibiotici, in generale e per classe, nei food animals in 31 paesi europei. L’Italia, purtroppo, è al terzo posto, dopo Cipro e Spagna, nelle vendite di antimicrobici a questa categoria di animali, sia come valore assoluto (1057 ton) che per mg/CPU, ovvero milligrammi di principio attivo per peso stimato (273.8 mg/CPU). Per fare confronti, la Norvegia è a 3.1 mg/CPU, la Germania a 89, la Francia a 68.6 e la Danimarca a 39.4 mg/CPU.

Questi dati, pur non essendo precisi, non aiutano il nostro Made in Italy e sono eticamente difficili da sostenere. Bisogna però considerare anche che nel 2010 eravamo ad un valore di 421.1 mg/CPU mentre ora siamo a poco più della metà, per cui il percorso virtuoso dell’uso responsabile degli antibiotici è stato sicuramente imboccato. La REV (Ricetta Elettronica Veterinaria), le sollecitazioni della GDO, una maggiore diffusione della profilassi vaccinale, una maggiore attenzione ad igiene e biosicurezza e il ritorno di buona parte dei vetrinari al metodo ADTP (abbandonando i protocolli) stanno dando grandi risultati.

Nell’allevamento dei ruminanti, le patologie e i momenti che portano al maggior consumo di antibiotici sono le sindromi enteriche e respiratorie dei vitelli, il ristallo dei bovini da carne, le malattie respiratorie, la messa in asciutta, le mastiti cliniche e le infezioni dell’utero e dei piedi. Del totale degli antibiotici consumati in Italia nei food animals (1509 PCU/ton) circa il 40% sono destinati ai bovini. Le preparazioni iniettabili rappresentano il 6.5% del totale, quelle intramammarie lo 0.5% e quelle intrauterine una percentuale ancora più bassa. Tutto il resto sono antibiotici utilizzati per via orale, cosa ovviamente impossibile da fare nei ruminanti adulti. La GDO e il SSN stanno stimolando gli allevatori e i veterinari ad abbandonare la metafilassi antibiotica nella fase di ristallo dei bovini da carne e nelle vitellaie delle stalle di bovine da latte, e la sostituzione della metafilassi antibiotica per le mastiti alla messa in asciutta (BDCT) con la terapia selettiva (SDCT). Nel caso del ristallo e dei vitelli si ipotizza addirittura il bando totale dell’uso degli antibiotici (antibiotic free).

Gli antibiotici in sé sono una meravigliosa risorsa terapeutica che ha permesso di migliorare la salute dell’uomo e degli animali. Un atteggiamento ostativo a prescindere può quindi essere molto pericoloso. Quello che va duramente colpito non è l’uso degli antibiotici, unico strumento a nostra disposizione per curare una malattia infettiva di origine batterica, ma il loro uso improprio. E’ l’abuso che ha permesso la selezione di ceppi batterici resistenti. Per combattere le infezioni della mammella causate sia batteri contagiosi che ambientali si approfitta del periodo d’asciutta, anzi l’asciutta è uno dei principali motivi per cui si fa e per la giusta durata. Il paradigma vigente fino pochissimi anni fa era quello della terapia sistematica (BDCT), ossia l’introduzione di una pomata antibiotica in ogni quarto, magari accompagnata da un sigillante del capezzolo, a prescindere dal fatto che nella mammella fosse stato isolato un patogeno o che la bovina avesse avuto episodi di mastite clinica e sub-clinica nella lattazione precedente. La BDCT e una più attenta diagnostica per le mastiti cliniche hanno oggettivamente contribuito alla riduzione della prevalenza di questa malattia della mammella, anche se il numero di cellule somatiche rilevate sulle singole bovine durante i controlli funzionali (AIA) non si è ridotto al livello voluto. La terapia selettiva alla messa in asciutta (SDCT) prevede invece un trattamento antibiotico nei quarti mammari solo per le bovine che hanno avuto mastiti sia cliniche che sub-cliniche nella lattazione precedente oppure se sono stati isolati batteri patogeni in uno o più quarti. Le mastiti cliniche delle bovine in lattazione sono spesso curate per tentativi, ossia senza sapere a quali antibiotici sono sensibili i batteri che causano la mastite nello specifico allevamento.

Per evitare l’uso degli antibiotici nell’allevamento dei ruminanti stanno proliferando molti prodotti “non farmaci” che sono accattivanti anche perché quasi tutti privi di un tempo di sospensione. Il rischio di non curare o curare male una mastite, o una patologia respiratoria, enterica, uterina o podale è la cronicizzazione. Una patologia a decorso cronico è per definizione praticamente incurabile.

Il rischio di sostituire la terapia antibiotica con prodotti di non comprovata efficacia è in questo momento altissimo. Come antidoto a questo fenomeno, prima di adottare terapie o profilassi non vaccinali “alternative” ci si dovrebbe chiedere:

  • Qual è il meccanismo d’azione di questo prodotto? E’ plausibile?
  • Sono stati fatti trial clinici controllati poi pubblicati sulle riviste scientifiche indicizzate?
  • Sono state fatte prove di campo ben documentate?

Ben venga l’avvento dell’uso razionale o consapevole dei farmaci ma un ampio ricorso a prodotti “alternativi” di non comprovata efficacia può portare ad una nuova diffusione di malattie infettive pericolose per la salute degli animali e dell’uomo.