Da un lato la scarsa disponibilità di latte tipica dell’autunno e dall’altra l’imminente pubblicazione del “decreto interministeriale concernente l’indicazione dell’origine in etichettatura della materia prima per latte e i prodotti lattiero-caseari” accendono le speranze per avere un prezzo del latte alla stalla più dignitoso. E’ bene ricordare che questo decreto è un attuazione del regolamento UE n°1169/2011.

Sono di questi giorni le tante trattative con gli industriali per fissare un prezzo del latte per un determinato periodo, e il tutto in un caos senza precedenti. Cerchiamo di fare il punto della situazione per dare agli allevatori i giusti argomenti. Nella tabella 1 si evidenzia che nel periodo Gennaio-Settembre 2016, rispetto ad analogo periodo dell’anno precedente, la produzione europea di latte è aumentata dell’1.5%. Da Maggio 2016 fino a Settembre 2016 invece la produzione europea è sensibilmente diminuita e ciò fa presupporre che la produzione 2016 sia grosso modo simile a quella 2015.

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Tabella 1: Il latte prodotto nella EU-28 fino a Settembre 2016

Nella tabella 2 è rappresentata la produzione italiana di latte fino a Settembre 2016. Il consegnato Gennaio-Settembre 2016 è aumentato dello 0.9% rispetto all’analogo periodo del mese precedente ma da metà aprile a Settembre la produzione è nettamente inferiore a quella dell’anno precedente. E’ quindi possibile che la produzione italiana di latte del 2016 sia inferiore a quella del 2015.

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Tabella 2: Latte prodotto in Italia fino Settembre 2016

Quello che le due tabelle evidenziano è che la produzione autunnale di latte è nettamente inferiore a quella primaverile, fatto dovuto alla “Sindrome della bassa produzione di latte in autunno” (SBPLA), da noi descritta, che colpisce quegli allevamenti che non prendono seri provvedimenti.

Preoccupanti invece le notizie sul fronte dei consumi interni di latte e derivati. Nella tabella 3 si evidenzia come i consumi di latte e derivati abbiano continuato inesorabilmente a scendere. Nel 2015 rispetto al 2014 si è verificato un calo del 3.4% che si somma ad un ulteriore calo del 3.6% nei primi nove mesi del 2016. Riteniamo che la motivazione principale di questo cambiamento delle abitudini alimentari degli italiani sia dovuto alle preoccupazioni etiche e salutistiche dei consumatori, continuamente esasperate dal sistematico attacco dei media nei confronti degli allevatori.

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Tabella 3

Prima di entrare nel dettagli dei fatti che condizionano il prezzo del latte alla stalla è necessario fare una panoramica di come viene utilizzato il latte nel nostro paese. Dalla tabella 4 si può vedere che l’Italia produce circa 11.000.000 di tonnellate di latte e che il 60% di questo viene destinato alla produzione dei formaggi DOP e IGP (5.357.000  di tonnellate pari al 49% del latte munto in Italia) e al latte fresco (1.245.000 ton pari all’11% di tutta la produzione nazionale). Il restante 40% (4.435.000 milioni di tonnellate) serve per produrre latte UHT (1.303.000 ton), formaggi vaccini non DOP-IGP (4.791.000 ton) e altri prodotti come yogurt, burro etc. (386.000 ton). Per cui, per produrre latte UHT, formaggi vaccini non DOP-IGP e prodotti minori, l’Italia importa 2.074.000 tonnellate di latte da paesi esteri, che rappresentano quindi il 32% del nostro fabbisogno nazionale.

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Tabella 4: I flussi di latte lungo la filiera italiana di latte

Pertanto, attualmente, le categorie di latte bovino soggette a diversi prezzi del latte alla stalla sono le seguenti:

a b c

I tanti prezzi del latte in Italia

Il latte spot: Considerando che oltre il 40% del latte in Italia viene conferito come soci di cooperative o consorzi e che la restante parte è soggetta a contratti, la quota “spot”, ossia la quota venduta da privati a privati senza contratti, è piuttosto esigua e difficilmente quantificabile. Il suo valore è quindi poco significativo nella determinazione del giusto prezzo alla stalla.

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Il latte destinato alla produzione delle DOP e delle IGP: Questa tipologia di latte è, come da disciplinari, interamente italiana e il suo valore deriva sostanzialmente dal prezzo al quale viene venduto il formaggio. Per meglio chiarire questa metodologia, significativo è l’esempio del Parmigiano Reggiano. Buona parte di esso viene conferito a caseifici dove il produttore è socio. In questo caso i conferenti percepiscono mensilmente un acconto di circa 40 euro/q.le. Quando viene venduto il formaggio (di almeno 12 mesi) ogni 4 mesi alla fine dell’anno viene fatto il conguaglio e liquidato il socio. Adesso si sta vendendo il formaggio dell’ultimo quadrimestre del 2015 e alla fine di Gennaio 2017 verrà fatto il bilancio 2015. Per questo esercizio, visto il buon andamento delle vendite (quantità e valore), si prevede un prezzo del latte dai 55 ai 65 euro/q,le. Gli altri allevatori vendono invece ai commercianti in base ai contratti che per il 2016 hanno oscillato dai 45 ai 55 euro/q.le, al netto dei premi qualità e dell’IVA.

Il latte destinato al consumo come fresco e UHT: In questo caso non esiste una vera e propria regola, in quanto si tratta di una trattativa tra industriali e allevatori più meno configurati. La consuetudine era che si seguiva ciò che faceva Galbani e, più in generale, la Lombardia. I tentativi di indicizzare il prezzo del latte ai costi di produzione italiani non ha dato alcun risultato pratico e l’indagine eseguita da ISMEA non è mai stata utilizzata, anche perché esiste una grandissima variabilità del costo di produzione del latte nel nostro paese essenzialmente legata all’ubicazione geografia e all’efficienza degli allevatori. Il primo tentativo di regolamentazione lo ha introdotto Italatte (Lactalis), proponendo nel contratto per il periodo 1 Aprile 2016- 31 Marzo 2017 un prezzo legato alla media mensile del latte europeo (EU-28), maggiorato di 4 euro/ettolitro, più i premi qualità e ovviamente l’IVA (tabella 5). Questa metodologia ha determinato un prezzo del latte alla stalla insufficiente per buona parte degli allevatori ma ha il vantaggio di aver creato degli oggettivi punti di riferimento. La situazione è un po’ come quella delle borse merci degli alimenti zootecnici se poi i contratti non corrispondono completamente al prezzo pagato per queste materie prime mentre lo sono per il “pronto”. E un po’ come avviene per il latte spot.

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Tabella 5: Prezzo medio dei singoli paesi e di tutta la EU-28 per mese

Novità che il Decreto interministeriale concernente l’indicazione dell’origine in etichettatura della materia prima per latte e i prodotti lattiero-caseari” potrebbe portare

Nella primavera del 2016 il Ministro Martina invia al Commissario europeo per la Salute e la Sicurezza alimentare una lettera dove viene presentata la bozza di decreto interministeriale in attuazione del regolamento (EU) n°1169/2011. Secondo la regola del “silenzio assenso” Europeo, il 14 Ottobre 2016 è arrivata alla Camera dalla quale andrà poi in Senato dove verrà espresso il parere delle Commissioni competenti. Stessa procedura fu richiesta dalla Francia e ora dalla Lituania.

La natura del decreto è potenzialmente molto favorevole per una maggiore remunerazione degli allevatori. L’obbligo di dichiarazione del “paese di mungitura” e del “paese di condizionamento e trasformazione” si estende a tutti i prodotti lattiero-caseari.  Ci sono cose tuttavia da precisare. La prima è che il Decreto ha solo una natura sperimentale, dal giorno della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale italiana al 31 Marzo 2019, con un impegno del nostro Governo a comunicare gli esiti a Bruxelles entro 31 Dicembre 2018. La seconda è che il Decreto decade nel momento in cui la Commissione europea pubblica, prima del 31 Marzo 2019 gli atti esecutivi ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 8 del regolamento (EU) n° 1169/2011. La terza, a nostro avviso molto grave, è relativa alle sanzioni che fanno riferimento all’articolo 4, comma 10 della legge 3 Febbraio 2011, n°4. Sanzione solo amministrativa da euro 1600-9500 !

Conclusioni

Tutta questa vicenda, se letta superficialmente, è destinata sì a dare qualche soluzione ma ci ha anche profondamente delusi. Siamo però ancora speranzosi sugli interventi che possono essere fatti nelle Commissioni competenti di Senato e Camera, sempre che non siano presi dalla fretta di licenziare un Decreto che genera così forti aspettative negli elettori. Già da tempo l’industria lattiero-casearia “intelligente”, che opera sia in Italia che all’estero, utilizza su molte confezioni di latte e formaggi non DOP e IGP, con etichettatura volontaria, i claim “latte munto in Italia” e “latte italiano”, dichiarando addirittura in alcuni casi la città di provenienza del latte se non addirittura il nome degli allevatori. Questa saggia e lungimirante strategia commerciale ha cavalcato il grande interesse planetario del “Made in Italy”, permettendo ai prodotti così etichettati un maggior volume di vendita e un maggiore posizionamento di prezzo. Vantaggi però mai trasferiti agli allevatori. A nostro avviso si è però commesso l’errore di non controllare adeguatamente se quanto dichiarato volontariamente corrispondesse al vero. In questo caso infatti i reati sarebbero ben più gravi di una multa da pochi Euro, comportando penali da “truffa in commercio” e “pubblicità ingannevole”.

Secondo errore, a nostro avviso molto grave, è stato il non aver quantificato quanto latte delle 7.725.000 di tonnellate destinate a produrre prodotti lattiero-caseari finisce nelle confezioni che recano diciture “latte italiano” o similari.

Altro grande pericolo lo rischiano gli allevatori delle zone svantaggiate del Sud e delle zone montane e pedemontane i cui costi di produzione sono ovviamente più alti degli allevatori ubicati nelle pianure irrigue italiane. Un’etichettura obbligatoria che prevede solo il “paese di mungitura” incoraggia i trasferimenti di latte in Italia dalle zone “ricche” alle “zone povere” del nostro paese. Un po’ come avvenne quando si autorizzò il trasferimento delle quote latte sull’intero territorio nazionale, ossia tra zone svantaggiate e zone non svantaggiate, che portò alla massiccia chiusura di molti allevamenti.

Più che le leggi forse ci salveranno i consumatori che nel nostro paese e nel mondo cercano il Made in Italy, sempre se riusciremo a rassicurali sugli aspetti etici dei nostri allevamenti. Noi di Ruminantia riteniamo che il nuovo crollo dei consumi obblighi a viaggiare “sulla stessa barca” consumatori, allevatori e industria lattiero casearia, ovvero tutta la filiera, e che questo fatto ci obblighi quindi più al dialogo che alle contrapposizioni. Una gestione più etica e sostenibile delle produzioni di latte bovino e un miglior dialogo con i consumatori può essere la vera e dignitosa salvezza sia del Made in Italy che dell’allevamento italiano. Ma questa è un’altra storia.

Schema di decreto interministeriale concernente l’indicazione dell’origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattiero-caseari, in attuazione del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (361)