Macellaio paleolitico

Quella del macellaio è una delle più antiche arti professionali che certamente precede la scultura e la pittura, perché risale al Paleolitico, circa centomila anni fa. In questo periodo la nostra specie, ma non sappiamo se anche altre specie umane, di sicuro usa strumenti di pietra non solo per la caccia degli animali, ma anche per la lavorazione delle loro carni: compare così la figura del macellaio, nel senso più moderno del termine, anche se nel lontano passato si associa a quella del cacciatore. La professione di macellaio, con i suoi strumenti di pietra e le sue tecnologie, è indispensabile per usare come alimento le carcasse degli animali trovati accidentalmente, ma soprattutto di quelli cacciati intenzionalmente e uccisi con le nuove armi da lancio, forse avvelenate. Queste ultime, secondo le più recenti ricerche, sono state inventate circa settantamila anni fa (Curtyis W. Marean, 2015), mentre semplici strumenti di pietra sono molto antecedenti e caratterizzano il periodo paleolitico o della pietra antica. Le più antiche prove di attività di caccia umane consistono in utensili da taglio in pietra e ossa di animali con segni di taglio di due milioni di anni, provenienti dal sito di Kanjera South in Kenya. Nel tempo, i nostri antenati inventano nuove e più perfezionate armi da caccia, fra cui le lance con punta in pietra vecchie di cinquecentomila anni rinvenute a Kathu Pan in Sudafrica, e le punte di freccia di settantunomila anni fa provenienti da Pinnacle Point, sempre in Sudafrica. Coltelli di pietra di duecentocinquantamila anni fa e prima che la nostra specie comparisse sulla terra sono risultati positivi per il sangue di rinoceronte e altri animali, e sono stati usati dai primi cacciatori e macellai, o da iniziali cuochi, le più antiche professioni umane, anzi preumane (Nowell A. e coll., 2016). Il paleolitico è caratterizzato dalla realizzazione degli strumenti in pietra con la tecnica della scheggiatura, una pratica ancora utilizzata nei periodi successivi, ma mescolata ad altre di più recente introduzione. Le tecniche di scheggiatura sono diverse: nel paleolitico inferiore gli utensili sono realizzati con ciottoli scheggiati, mentre nel paleolitico medio vengono dalla lavorazione delle schegge staccate da un nucleo e nel paleolitico superiore con la lavorazione delle lame. Queste ultime lame, oltre ad essere strumenti di caccia, sono usate dai primi macellai che con la loro attività, per la prima volta nel Paleolitico, lasciano chiare e inconfondibili tracce sui resti ossei degli animali di grossa taglia. Queste tracce sono state ricercate, riconosciute, rilevate e analizzate, permettendo di ricostruire i gesti degli uomini preistorici nella cattura della selvaggina, ma soprattutto nel modo di trattarne le carcasse, le mezzene e le carni, fino alla loro cottura e consumo.

Tagli di carni paleolitiche

Lo studio dei reperti ossei è stato nel passato prevalentemente indirizzato alla conoscenza biologica ed ecologica, e da qualche tempo anche all’aspetto tecnologico. Con gli studi sui resti ossei d’animali selvatici del Paleolitico, quando l’addomesticamento non era stato ancora iniziato, e sulla base del tipo e della sede delle incisioni sulle diverse parti ossee, oggi e a grandi linee sappiamo come operavano i nostri antichi progenitori, iniziando dall’indispensabile scuoiamento degli animali di grande taglia, come dimostra la minuzia delle incisioni sulle ossa della testa, ad esempio attorno alla base delle corna e all’estremità degli arti. Tolta la pelle dell’animale, che ha un’importante funzione come pelliccia per proteggersi da climi inclementi, e anche come giaciglio di pregio, indubbiamente si passa all’eviscerazione, che tuttavia non lascia tracce sulle ossa, salvo che quelle della testa per il prelievo della lingua che certamente è un piatto prelibato, come il cervello. La divisione della carcassa sembra essere diversa da luogo a luogo. La differenza dei “tagli” delle carni tutt’ora esistente non è quindi una novità e risale alla notte dei tempi, anche se alcune caratteristiche sembrano comuni. La testa è staccata dal resto dell’animale, ma questo non é suddiviso come oggi in due mezzene e in quattro quarti, certamente per la mancanza di un adatto strumentario. Il sezionamento mediano della colonna vertebrale è in pratica impossibile con semplici lame di pietra. Più facile è separare dalla carcassa gli arti anteriori, con la scapola, mentre gli arti posteriori sono disarticolati a livello dell’articolazione coxofemorale. Tolti gli arti, la carcassa restante é suddivisa in parti a livello della VI^ vertebra cervicale, tra le vertebre toraciche e lombari. In suguito, sono disarticolate le costole e infine si procede alla disarticolazione sacroiliaca. Gli arti sono suddivisi in porzioni a livello delle articolazioni principali. Le tracce lasciate dagli strumenti di pietra sulle ossa dimostrano che si procede poi al disosso dei diversi tagli. Inoltre, dalle ossa frantumate si ricupera il midollo osseo, di cui gli uomini sono sempre stati ghiotti.

Carni per una cucina paleolitica

Per quanto riguarda l’utilizzazione delle carni in cucina, le alterazioni provocate dal fuoco sulle ossa permettono di individuare soltanto una cottura a fuoco diretto (spiedo, grigliatura ecc.). Non è invece possibile avere indicazioni su cotture tramite bollitura o al forno. In base alle alterazioni indotte dal fuoco, ovviamente soltanto di legna, è possibile avere qualche idea sulla durata della cottura. Le tracce o i resti di supporti di spiedi (certamente sono state utilizzate ossa di mammut) sono più recenti. Tutto fa ritenere che fin dall’inizio gli alimenti sono cotti direttamente sulla brace o sulla cenere, oppure arrostiti a contatto con pietre roventi. Questo genere di cottura è antichissimo e si sviluppa già durante la vita nomade, quando le carni di animali sono cotte avvolgendole attorno ad una pietra rovente; prima, quindi, dell’invenzione del forno, tipico di una cultura stanziale. Un primo indizio della cottura a vapore si ha con la cottura dei cibi in piccole fosse, dove si alternano braci, pietre e carni avvolte in foglie. A questo punto siamo già nell’area di manipolazioni abbastanza complesse, che identificano un embrione di cucina, come dimostra, ad esempio, una ricetta mongola che ci è arrivata. Ancora agli inizi del secolo ventesimo i mongoli usano cuocere un animale con la pelle dura (capra o marmotta) come segue. Dopo il taglio del collo, si estraggono i visceri, la carne e le ossa, lasciando intatta la pelle, trasformata in un sacco. Questo è riempito con la carne ridotta in piccoli pezzi, eventuali verdure di farcitura e pietre roventi d’adatte dimensioni. Si procede alla legatura del sacco e, dopo circa un’ora e mezza, la carne è cotta a puntino. Per mangiare la carne e le verdure, basta aprire il sacco.

Conservazione paleolitica delle carni

Purtroppo i mezzi attuali non permettono di rilevare se esistono metodi di conservazione della carne. Tuttavia, se questi esistono, non sono applicati sui tagli interi (carne con l’osso), ma su carni disossate. L’attenzione dedicata allo scuoiamento fa pensare che nel Paleolitico le attività del macellaio e del pellicciaio siano riunite nella stessa persona o, forse meglio, che tutti, ad un certo punto della loro vita e in diverso grado, divengono capaci di queste attività strettamente collegate ed indispensabili per il nuovo tipo di vita che l’uomo paleolitico sta svolgendo. Il macellaio/pellicciaio, inoltre, deve anche costruirsi gli strumenti di lavoro, ottenendoli dalla selce ed adattandoli alle singole funzioni: coltelli, raschiatoi, punteruoli ed altri strumenti embrionali. Strumenti che nel Paleolitico, della pietra antica, sono straordinariamente efficaci e dei quali vediamo ancora i segni lasciati sulle ossa fossili che testimoniano gli inizi dell’arte del macellaio.

Macellaio antico rito religioso

Anche se la lavorazione delle carni precede l’agricoltura e l’addomesticamento degli animali, con quest’ultima attività si crea uno stretto collegamento fra l’allevamento del bestiame e la produzione della carne. L’allevamento degli animali, soprattutto degli ovini e dei caprini, è molto antico, con probabili origini in Mesopotamia, nella mezzaluna fertile, intorno al 10.000 a. C., dove sorgono anche stretti rapporti con i riti religiosi.

La storia delle religioni propone numerose teorie interpretative del sacrificio degli animali inteso come un dono delle società primitive fatto a poteri sovrumani per accattivarsene i favori. In questo orientamento si ritiene che la parola stessa di “sacrificio” derivi da sacrum facere, cioè rendere l’animale sacro e quindi separato dall’uso umano in quanto destinato alla divinità. L’animale reso sacro è poi mangiato in un banchetto che simbolicamente unisce gli dei agli uomini. Il sacrifico ha origine nelle arcaiche società dei cacciatori raccoglitori con il sacrificio delle primizie, ovvero nella donazione agli dei ai quali tutto appartiene di una parte del raccolto e della caccia, e in seguito passa alle società pastorali ed agricole. Nell’antica Grecia gli animali sono considerati sacri e offerti agli Dei come atto propiziatorio o di adorazione; chi compie il sacrificio è il magheiros, termine che si connette a quello di mago.

Macellaio mestiere antico dai molti nomi

Quando la macellazione degli animali da rito religioso diviene un mestiere?

A Roma l’attuale macellaio è denominato con il termine generico di lanius (da laniare o fare a pezzi, come l’ancora vivo italiano dilaniare), ma ha anche altre denominazioni. Presso i Romani s’intende per macellum la bottega nella quale si procede alla vendita delle carni degli animali macellati nelle lanienae, luoghi normalmente posti fuori dell’abitato. Le associazioni di mestieri sono già presenti nell’antica Grecia e sono ampiamente sviluppate a Roma, dove si chiamano collegia o corpora e dove, ai tempi dell’Impero, costituiscono un vasto sistema corporativo che vincola l’attività economica dello Stato lasciando un’importante eredità ai tempi posteriori (Solmi; Fanti, 1980). Ad esempio, nella Bologna romana, sono rimaste sicure testimonianze di mestieri riuniti nelle antichissime corporazioni. “Poche comunità romane, come quella bolognese hanno restituito un numero così cospicuo di menzioni artigianali e professionali…” (Susini, 1960). Nel lapidario del Museo Civico di Bologna sono conservate steli che documentano la presenza di un macellaio (lanius), ma anche di un allevatore o mercante di porci (suarius) o di un produttore di salumi ottenuti con l’uso del mortaio o mortadelle (Susini, 1958, 1960; Fanti, 1980). Quindi non un prosciuttaio o pernarius in senso stretto, ma un salumiere o produttore di salumi. Come ricorda Fanti (1980), la riunione in forme associative degli esercenti di uno stesso mestiere, industria o professione, per tutelare interessi comuni, prestarsi reciproco aiuto e garantire un ordinato svolgimento dell’attività, corrisponde ad un processo psicologico troppo ovvio e ad un’esigenza troppo naturale in una comunità che non abbia raggiunto un elevato grado d’organizzazione sociale. Allo stesso tempo, i poteri pubblici non sono portati a controllare le corporazioni degli artefici affinché l’interesse generale non sia subordinato a quello delle singole categorie.

Macellai artigiani medievali

Come ricorda Fanti (1980), uno degli argomenti che maggiormente hanno impegnato gli storici del Medioevo è se poi vi sia stata o no continuità fra i collegia del tardo Impero romano e le corporazioni medievali. In proposito si deve far riferimento alle ricerche di Solmi (1893), Arias (1905), Leicht (1937, 1950), De Vergottini (1943), Pini (1974) e Rutenburg (1973). Secondo Fanti (1980) esisterebbe una traccia d’associazioni professionali, chiamate scholae, tra il VI e il X secolo nei territori italiani sottoposti al dominio bizantino. Per Pavia, già capitale del regno longobardo e poi di quello italico, è documentata all’inizio del secolo XI l’esistenza d’associazioni d’artigiani, dette ministeria e controllate dall’autorità dello Stato, che esistono anche a Verona, Padova ed in molte città della Francia, Germania e Svizzera. Secondo diversi studiosi, ed in modo particolare per Leicht (1937, 1950), la continuità tra collegia tardoromani e scholae sarebbe abbastanza evidente nei territori bizantini, mentre in quelli longobardi vi sarebbe stata una violenta interruzione e solo i sovrani Franchi avrebbero ricostituito, con i ministeria, le corporazioni. I ministeria altomedievali, come i collegia romani, sono associazioni forzose. In altri termini, gli artigiani sono obbligati ad aderire e su di esse lo Stato esercita un efficiente controllo (Fanti, 1980). Solo con la crisi dell’autorità imperiale nell’XI secolo, quando nelle città decade il potere dei conti e vescovi funzionari dell’Impero e nascono i primi comuni, gli artigiani, liberati dal sistema coercitivo dei ministeria, avrebbero dato origine a nuove società, le arti, basate sull’adesione volontaria e libere dal controllo statale. Molte sono le arti ed una di queste quella dei beccarius o beccai o beccari (da beccus o maschio della capra, analogamente al francese boucher da bouc), una denominazione che sostituisce quella romana di lanius. Accanto ai beccai che si dedicano al commercio delle carni fresche successivamente compaiono i salaroli, di cui si ha notizia nel XIII secolo, addetti al commercio del sale ed alla preparazione e vendita degli alimenti salati, ad iniziare dal pesce, e i lardaroli, che commerciano il lardo (Pedrocco, 1998), seguiti dai salzizzari o salsicciai che commerciavano i salumi.

Quando compare il termine macellaio

Di solito, i termini macello e macellaio sono fatti derivare dal termine latino macellum, che significava mercato. Anche se questo fosse plausibile, per quali vie? Interessanti a tal riguardo sono le recenti acquisizioni che ci provengono da ricerche sulle prime lingue neolatine, ed in modo particolare la lingua d’Oc, lingua dei trovatori, ben nota anche nell’Italia dopo l’anno mille.

Come segnala Madeleine Ferrières (2002), sulla base di un documento del 1303 – la Carta di Mirepoix, edita da Pasquier (1921) – é in questo periodo che compare il termine mazelliers, riferito al venditore di carne (definita carnis de mazello), mentre il mazel è il luogo di vendita della carne, il banco di lavoro del macellaio ed il tavolo d’esposizione delle carni in vendita. I termini appaiono in un contesto urbano. Le carni di cattiva qualità sono definite carnasse (la nostra carnaccia?) oppure fereza o babaque, oppure bocaria (che sembra avvicinarsi a quella che un tempo non troppo lontano è la carne detta di bassa macelleria). Sempre in lingua d’Oc, i termini mazel e mazellier, in un contesto urbano, derivano da macellare (Ferrières, 2002) ed indicano anche l’operazione d’abbattimento (uccisione) degli animali, anche se per questa operazione si usano anche termini come tuadou (tueries o luoghi d’uccisione) e d’affachoirs o écorchois, un termine che ci riporta agli scorticatoi, da avvicinare a quello dei pelatoi, che in Italia settentrionale, diversi secoli dopo, indicano i luoghi di macellazione e lavorazione dei maiali. Nel francese la macelleria è identificata con il termine di boucherie, etimologicamente legata a bouc, quindi alla carne di becco e capra. Nel medioevo non vi è l’uso di mangiare carne di cavallo e ben poca è la carne di bovini, animali destinati al lavoro, mentre la gran parte della carne derivava dai piccoli ruminanti e dai maiali. Le carni suine sono in buona parte salate e vendute conservate. Da ricordare come il termine francese boucherie abbia dato origine a denominazioni dialettali italiane, che vanno dalla vuccheria (Italia meridionale, con traslitterazione b – v) al pchér (macellaio) parmigiano (Ferrière, 2002).

Bisogna quindi ritenere che il termine italiano di macellaio sia connesso a quello macello (carni commerciate), che derivi dal latino passando dalla lingua d’Oc e che sia arrivato nei primi secoli dopo l’anno mille in ambiente urbano, affiancando prima e sostituendo poi il termine di beccaio o beccario. In proposito, non bisogna dimenticare il termine dialettale mazén, che nelle campagne italiane indica chi uccide il maiale e ne lavora le carni, e che compare nella Piazza universale di tutte le professioni del mondo (1580) di Tommaso Garzoni (1549 1589) da Bagnacavallo dove sono citati a anche i diversi mestieri dei beccari, macellari, lardaroli e salsicciai. A metà del secolo XVII, Giuseppe Maria Mitelli, un noto incisore bolognese, presentando i costumi tradizionali indossati dai rappresentanti delle Arti bolognesi, raffigura soltanto i Sallaroli (con lo stemma che rappresenta un moggio contenente sale) ed i Macellari (con un bue nello stemma).

Piccolo dizionario

Beccaio – vedi Beccarius

Beccarius – Beccaio o beccario (da beccus o maschio della capra, analogamente al francese boucher da bouc), denominazione medievale del macellaio che vende carni di ruminanti.

Boucherie – Attuale denominazione francese della macelleria, etimologicamente legata a bouc, quindi alla carne di becco e capra. Questo termine ha dato origine a denominazioni dialettali italiane, che vanno dalla vuccheria (Italia meridionale, con traslitterazione b – v) al pchér (macellaio) parmigiano.

Budellarolo – Addetto alla pulitura e lavorazione delle budella degli animali, soprattutto maiali, nei pelatoi (vedi) della città di Bologna.

Carnasse – In lingua d’Oc, carne di cattiva qualità (carnaccia)

Lanius – Macellaio romano, da laniare o fare a pezzi, come l’ancora vivo italiano dilaniare.

Lardaroli – Commercianti medievali di lardo salato.

Macellum – In latino identificava il mercato.

Mazel – In è lingua d’Oc, luogo di vendita della carne, il banco di lavoro del macellaio ed il tavolo d’esposizione delle carni in vendita.

Mazellier – Nella lingua d’Oc, venditore di carne (definita carnis de mazello)

Norcineria – In Italia centro – meridionale, soprattutto a Roma, negozio di vendita di salumi, formaggi ecc. e corrispondente alla salumeria ed al pizzicagnolo settentrionale.

Pchér – Termine dialettale parmigiano, significante macellaio e derivato da beccaio (vedi).

Pelatoio – Denominazione del luogo di macellazione dei maiali e lavorazione delle loro carni nella città di Bologna nel secolo XVI.

Pernarius – Prosciuttaio, produttore o commerciante e, o venditore di prosciutti dell’antica Roma.

Pizzicagnolo – Vedi pizzicarolo.

Pizzicarolo – Venditore di spezie pizzicanti (pepe, in modo particolare) e poi di alimenti speziati. Da qui deriva il termine di pizzicagnolo che in Italia settentrionale equivale alla più recente salumeria, ed in Italia centro – meridionale norcineria (vedi).

Salamen – Nel medioevo identificava il pesce salato, l’attuale baccalà. Il termine passa ad indicare carne di maiale tritata ed insaccata (l’attuale salame, dopo il XV secolo).

Salaroli – Nel medioevo, venditori di sale e d’alimenti salati, in modo particolare pesce salato (salamen). Il termine salarolo, nella Bologna del secolo XVI, indicava chi usava la carne suina per la confezione di salumi (insaccati soprattutto, ma anche lardi e carni salate a pezzo intero: prosciutto, spalla ecc.).

Salsiccini – Corporazione modenese dei produttori di salsicce (insaccati di carni di maiale).

Salumeria – In Italia settentrionale negozio di vendita dei salumi.

Salzizzari o Salsicciai – Commercianti medievali di salsicce ed altri salumi, prevalentemente di maiale.

Suarius – Allevatore o mercante di porci (od anche produttore di carni salate suine?) romano.

Torchio – Nella Bologna del XVII secolo era il termine usato per indicare quello che ora è detto “stabilimento salumiero”.

Vuccheria – Macelleria nei dialetti dell’Italia meridionale, termine derivato dal francese boucherie, con traslitterazione b – v

 

Bibliografia

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  • Curtyis W. Marean – La più invadente di tutte le specie – La Scienze, ottobre 2015, pag.35 – 41
  • Fanti M. – I macellai bolognesi – Mestiere, politica e vita civile nella storia di una categoria attraverso i secoli – Sindacato Esercenti Macellerie, Bologna, 1980
  • Ferrières M. – Histoire des peurs alimentaires – Edition du Seuil, Paris, 2002
  • Garzoni Tommaso – La piazza universale di tutte le professioni del mondo. Di Tommaso Garzoni da Bagnocauallo. Con l’aggiunta di alcune bellissime annotazioni à discorso per discorso, Venezia 1585,
  • Leicht P. S. – Corporazioni romane e arti medievali – Torino 1937
  • Nowell A., Walker C., Cordova C. E., Ames C. J. H., Pokines J. T., Amer S. A. al-Asulimanb – Middle Pleistocene subsistence in the Azraq Oasis, Jordan: Protein residue and other prozie – Journal of archaeological Science 73, 36-44, 2016
  • Pasquier Felix – Cartulaire de mirepoix – Honoré Champion, Paris, 1921
  • Pini A. I. – L’Arte dei Beccai in Modena medievale: una corporazione sotto costante controllo pubblico – 2003 (in Braidi, a cura di, 2003)
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  • Rutenburg V. I. – Arti e corporazioni – in Storia d’Italia, V – Einaudi, Torino 1973.
  • Solmi A. – Le associazioni in Italia avanti le origini del Comune – Modena, 1893
  • Solmi A. – Voce Arti in Enciclopedia Italiana, IV, 676 – 679 (cit. Fanti, 1980)
  • Susini G. – Le collezioni del Museo Civico di Bologna. Il Lapidario – Bologna, 1960 (p. 111 – 112).
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