Un tempo si diceva che quando si vedeva un banchiere svizzero gettarsi dalla finestra bisognava seguirlo, si sarebbe certamente fatto un affare! È quello che viene in mente oggi quando McDonald’s, il simbolo della carne in tutto il mondo, annuncia che l’anno prossimo distribuirà il McPlant, un burger vegetale (plant-based) di sua produzione che imita il burger tradizionale con la carne di manzo, primo di una serie d’imitazioni della carne di pollo e perché, possiamo supporre, non anche di pesce?

Già altri hanno proposto sostituti della carne, ma non della dimensione e della storia di McDonald’s. Il fatto che questa catena di fast food abbia deciso di produrre in proprio il McPlant è la dimostrazione che la produzione di sostituti delle carni è un’innovazione che sta divenendo un fenomeno che non ha più contrasti, e del quale l’industria alimentare si è appropriata. Dobbiamo ora accettare di vedere questi sostituti sugli scafali dei supermercati, come abbiamo fatto per i sostituti del latte e dei formaggi, fermo restando la necessità di una differenziazione, a causa delle diversità nutrizionali ed extranutrizionali rispetto alle carni, che deve partire dalla denominazione e dall’etichettatura. Significativo è il fatto che McDonald’s non parli di hamburger ma che abbia invece scelto di creare una denominazione ad hoc unendo parte del suo marchio (Mc) con il termine Plant, chiaramente indicativo di vegetale. Per questi nuovi prodotti mcDonald ha deciso di utilizzare per la prima volta il colore verde facendone un marchio, McPlant, che altri non possono usare. Inoltre, con questo nuovo prodotto McDonald’s si veste di verde e dà una risposta a coloro che la accusano di fomentare l’uso della carne e, indirettamente, l’impatto ambientale della sua produzione.

Sintomatico è che McDonald’s abbia deciso di annunciare l’innovazione e il lancio di un prodotto completamente nuovo di sua produzione, e non in collaborazione con altri, nel periodo di crisi della grande ristorazione collettiva dovuto all’attuale epidemia infettiva. Il McPlant è anche una svolta nella vita dell’azienda che non è più soltanto la confezionatrice e la distributrice di alimenti prodotti da altri, ma di un proprio prodotto. Una novità quanto mai significativa che testimonia come è proprio nei periodi di crisi che le innovazioni sono necessarie e hanno successo, e McDonald’s spera che questo avvenga anche al di fuori del pur importante mercato dei prodotti destinati ai vegetariani e ai vegani. Secondo alcuni rilievi, nell’ultimo anno circa il 40% degli americani ha mangiato un prodotto industriale iperlavorato a base di vegetali. Si stima inoltre che il mercato dei sostituti della carne valga oltre quattro miliardi e mezzo di dollari, con una continua crescita che si prevede possa raggiungere i sei miliardi di dollari nel 2024, potendo divenire un alimento comune e non solo dei vegetariani e vegani. Lo stesso sta avvenendo nei paesi industrializzati di tutto il mondo.

Il mercato della carne, soprattutto bovina, è da tempo in una crisi oggi aggravata dalle condizioni connesse all’epidemia da coronavirus, crisi che potrà accrescersi nella temuta e possibile situazione economica post-coronavirus. La crisi attuale, e soprattutto quella futura, coinvolgono non soltanto il consumo di carne fresca ma tutta la filiera, e soprattutto il settore di trasformazione delle carni. L’industria della trasformazione delle carni o quella alimentare, come ha fatto McDonald’s, potrebbe sviluppare nuovi sostituti di questi alimenti con preparazioni vegetali, usando materie prime di costo enormemente inferiore a quello della carne.

Quale futuro quindi per le carni?

Per fare previsioni ci si può riferire a quanto avvenuto per altri alimenti, e in particolare per il vino. Dopo la crisi del metanolo e la diffusione delle bevande vegetali e artificiali, i consumi di vino sono drasticamente diminuiti ma sono aumentati la produzione e il mercato di vini di qualità. Lo stesso dovrà avvenire per le carni, come già indicano alcuni segnali della vendita di quelle prodotte da animali di razze particolari, mentre nei consumatori inizia a diffondersi la loro conoscenza. È compito degli allevatori italiani continuare a sviluppare l’allevamento di razze produttrici di carni di qualità destinate ad un mercato d’intenditori, ed è compito di tutta la filiera fornire carni ben frollate, lavorate e in confezioni adatte ai consumi dei ristoranti e familiari.

 

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.

Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti ed originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia ed in particolare all’antropologia alimentare e danche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e 50 libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.

 

Credits immagine in evidenza: Crusier, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons