Introduzione

La medica arborea (Medicago arborea L.) è un arbusto foraggero originario dell’area medio orientale. La specie, già conosciuta ai tempi dei romani e dei greci per le proprietà farmacologiche e l’impiego nella cucina popolare, è attualmente utilizzata a scopo ornamentale per lo più nei giardini e nelle bordure stradali degli ambienti a clima arido, per la abbondante e duratura fioritura. La m. arborea, come tutte le leguminose, è in grado di fissare l’N atmosferico che in parte viene rilasciato nel suolo con i residui colturali, soprattutto foglie e legumi, che ogni anno apportano elevate quantità di sostanza organica (Alegre et al., 2004). Inoltre, ha una notevole resistenza alla salinità dei suoli e delle acque di irrigazione (Aissat et al., 2019). Questo fattore la rende adatta alla coltivazione per il recupero di suoli marginali o degradati. La m. arborea ha la capacità di ridurre sensibilmente il ruscellamento dell’acqua e l’erosione del suolo, (Andreu et al., 1998; Colucci et al., 2004) soprattutto nei terreni in pendenza. La pianta è anche coltivata, soprattutto nelle aree meridionali del bacino del Mediterraneo, (Louhaichi et al 2021). Questo arbusto potrebbe quindi rivestire grande interesse non solo in contesti marginali, ma anche nei sistemi foraggero-zootecnici estensivi di aree asciutte o irrigue per l’ampia stagione foraggera e l’adattamento al pascolamento (Amato et al. 2004).

Sistematica e caratteristiche botaniche

La medica arborea (Medicago arborea L.) nota anche come “ginestrone”, appartiene alla classe “Magnoliopsida”, Ordine Fabales, Famiglia Fabaceae (Leguminosae). In inglese è nota come “tree medic” o “moon trefoil”. Tipo corologico: NE-Medit. – Mediterraneo nord-orientale. La m. arborea è una pianta poliennale, alta 1-3 mt. Le foglie sono tomentoso-argentine con stipole intere lanceolate e segmenti interi, oblanceolati. I fiori sono papilionacei, gialli, riuniti in racemi da 5-20. Il frutto è un legume discoidale del diametro di 10-12 mm, scuro a maturità, con foro centrale circolare, contiene 4-5 semi reniformi, bruno-giallastri (Nicolella, 2007). I semi alla maturazione sono duri, con una germinabilità del 20-25%. Il peso dei 1000 legumi è di circa 50-55 g. Il peso dei 1000 semi 8-10g.

Fig 1. Medica arborea di 2 anni in fioritura (sinistra) e all’inizio della primavera a 7 anni dall’impianto (destra).

Distribuzione e habitat

La pianta oggi è diffusa in diversi areali, tra cui le isole Canarie, la Spagna, la Grecia e paesi del Nord Africa dove costituisce una componente caratteristica della macchia Mediterranea (Pignatti, 1982; Acta plantorum, 2007). In Italia è presente in alcune regioni del centro sud tra le quali la Sardegna, dove è classificata come specie “alloctona naturalizzata”. La m. arborea cresce nelle aree pianeggianti e di bassa collina su suoli marginali, rocciosi e ben drenati ma si adatta bene a qualsiasi tipo di terreno e a lunghi periodi di siccità in climi caldo torridi. La pianta vegeta bene anche in ambienti con freddo e piovosità moderati tipici del clima Mediterraneo.

Fig.2. Distribuzione della M. arborea in Italia (Acta Plantorum, 2007)

Ciclo biologico

L’arbusto inizia a vegetare alla fine dell’estate (settembre), agevolata dalle prime piogge tardo estive, e continua sino all’inizio dell’estate successiva (giugno). La fioritura è lunga e può durare in alcune annate più di 7 mesi, da dicembre a giugno, il che rende la pianta molto attrattiva per gli insetti pronubi. I legumi iniziano a formarsi a marzo-aprile, maturano a giugno-luglio cadendo al suolo durante il periodo estivo. I legumi non sono deiescenti alla maturità e non facilitano quindi la risemina.

Propagazione

La m. arborea per il suo adattamento ai climi caldo-aridi, può essere coltivata bene nei paesi del Mediterraneo. La pianta è propagata per seme (via gamica) o per talea, (via agamica o vegetativa). La moltiplicazione per via gamica prevede la raccolta del seme a maturità ed il “trattamento” per rimuovere la “durezza” del tegumento esterno rendendolo germinabile. Tra i sistemi più efficaci utilizzabili c’è il trattamento del seme con acido solforico (per 2 minuti) o, più semplicemente, in acqua calda (per 4-5 minuti). I semi vengono successivamente messi a germinare in serra o camere di crescita all’interno di plateau di celle di terriccio, o vasetti, sino all’emergenza e all’accrescimento delle piantine. Quando le piantine raggiungono una altezza di circa 15- 20 cm possono essere messe a dimora in campo. La moltiplicazione per via vegetativa, prevede invece il prelievo di talee, erbacee o legnose, nel periodo autunno inizio inverno ed il posizionamento per la radicazione in piantonaio. Per favorire la radicazione si possono impiegare degli “ormoni radicanti”, in commercio in forma liquida o polverulenta, che devono essere messi a contatto con la parte della talea da interrare nel piantonaio.

Fig. 3. Piantine da seme di m. arborea in camera di crescita. 

Fig.4. Talee vegetali in piantonaio per la radicazione

Impianto colturale

Una volta ottenute delle piantine di almeno 15-20 cm, dal seme o dalle talee, si procede alla realizzazione della coltivazione con il trapianto in pieno campo.

Scelta del campo

Il campo destinato alla coltivazione della medica arborea, deve essere caratterizzato da una bassa presenza di specie spontanee infestanti, come ad esempio si ha nelle aree con precessione di cereali. Eventualmente sono da preferire campi caratterizzati da presenza di specie spontanee pabulari, controllabili col pascolamento. La medica, pur prediligendo terreni sciolti e pH sub alcalino, tollera anche pH sub acidi e terreni argillosi purché ben drenati e in assenza di ristagno idrico. Sono da evitare anche i campi ombreggiati.

Lavorazione del suolo

La m. arborea ha un apparato radicale fittonante che può raggiungere 1 mt di profondità. In un impianto ad uso zootecnico non è auspicabile lo sviluppo eccessivo della parte aerea, perché non sarebbe facilmente utilizzabile dagli animali. Lo sviluppo della parte aerea è agevolato da una lavorazione profonda. Per cui la lavorazione, soprattutto in terreni sciolti, può consistere in una frangizollatura ad una profondità di massimo 30-35 centimetri e, se necessario, in un successivo affinamento del suolo.

Concimazione

La medica arborea come tutte le leguminose è autosufficiente per quanto riguarda l’azoto che viene “fissato” dall’atmosfera, tramite i batteri simbionti (Rhizobium meliloti) presenti nelle radici. Potrebbe essere utile in terreni poveri di fosforo l’aggiunta di una dose di 15-20 g/pianta di P2O5, da mescolare al suolo in prossimità delle radici delle piante al momento del trapianto.

Irrigazione e controllo infestanti

In regime asciutto l’impianto della coltura dovrebbe avvenire nel periodo autunnale in modo da poter fruire delle basse temperature e delle piogge. Avendo a disposizione l’irrigazione si può effettuare l’impianto anche in primavera. La medica arborea è comunque una coltura gestibile in asciutto e l’irrigazione può essere intesa solo con funzione di “soccorso” fino all’affrancamento delle piantine nei primi 2/3 mesi post trapianto, soprattutto in caso di periodi siccitosi. Una volta affrancate, le piante non hanno bisogno dell’irrigazione. Nel caso sia necessario realizzare un impianto irriguo, va predisposto un sistema con l’irrigazione a goccia tramite delle “manichette gocciolanti” disposte sul terreno in ogni filare della coltura. La m. arborea soprattutto nella fase post impianto, prima dell’affrancamento, soffre molto la competizione con le specie spontanee, per cui è consigliabile, soprattutto con impianto autunnale, l’uso di un telo pacciamante da posizionare sui filari, in modo da impedire lo sviluppo delle infestanti sulla fila.

Investimento piante ad ettaro, sesto di impianto e trapianto 

La densità delle piante può variare a seconda dello scopo dell’impianto. Ai fini dell’utilizzo zootecnico, può variare a seconda della specie pascolante e del tipo di gestione. Posizionare le piante a 1.0/1.5 mt sulla fila distanziando le file di circa 4 mt consente di avere un investimento variabile tra le 1700 e le 2500 piante ad ettaro. La distanza sulla fila deve essere sufficiente a permettere l’accrescimento laterale delle piante in modo che, dopo lo sviluppo, formino una fila continua di vegetazione pabulare. Le file ogni 30-40 mt dovrebbero essere intervallate da spazi per permettere lo spostamento laterale degli animali. In realtà la presenza di “fisiologiche fallanze” (non dovrebbero superare il 2-5% delle piante trapiantate) nell’impianto creano gli opportuni spazi per il passaggio degli animali senza che danneggino le piante. La distanza tra le file di 4 mt è valutata in maniera da consentire eventuali lavori con macchinari per la gestione colturale (sfalci di pulizia, cimature e potature). Inoltre una opportuna distanza permette di seminare nell’interfila una coltura erbacea foraggera, complementare e compatibile con l’arbusto, o avere comunque una disponibilità alimentare integrativa derivante dall’inerbimento naturale.
Il trapianto, dopo avere tracciato le file, va eseguito posizionando le piante con pane di terra utilizzando gli stessi accorgimenti che si hanno per qualsiasi specie arbustiva/arborea.

Fig. 5. Piante di M. arborea subito dopo (sinistra) e a 5 mesi dal trapianto con telo pacciamante (destra)

Gestione agronomica

Una volta affrancata la coltivazione di m. arborea ha bisogno di poche cure. Nel clima Mediterraneo, con piogge concentrate nelle stagioni autunnale e invernale, la m. arborea vegeta 10 mesi all’anno senza bisogno di interventi irrigui. La concimazione in copertura può favorirne lo sviluppo, e può consistere in una integrazione con fosforo pari a 80-100 kg /ha di P2O5 annui, soprattutto in terreni molto poveri di questo elemento. Se necessario, il controllo delle specie spontanee della interfila non utilizzate col pascolamento può avvenire con degli sfalci o trinciature.

Gestione zootecnica

Disponibilità foraggera e valore nutrizionale

Per l’accrescimento delle piante, la disponibilità foraggera e la gestione zootecnica si riportano i dati relativi ad una coltivazione di 1-3 anni, impiantata nel 2017 a fini sperimentali nell’azienda dell’Agris a Bonassai (Olmedo). Il campo, di circa 4000 m2, ha il sesto di impianto di 4 mt tra le file per 1 mt sulla fila con un investimento di 2500 piante ad ettaro.

Fig. 6. Disponibilità di sostanza secca (SS± es) della M. arborea nel 2019 tra i 18 e i 30 mesi dall’impianto.

Fig. 7. Caratteristiche chimiche stagionali della sostanza secca (% SS± es) della m. arborea nel 2019 tra i 18 e i 30 mesi dall’impianto. I numeri sulla linea continua si riferiscono ai valori di PG 

Le figure 6 e 7 riportano la disponibilità ed il valore nutritivo della sostanza secca edibile, valutata prima dei pascolamenti tra i 18 ed i 30 mesi dall’impianto, nel 2019. Dalle osservazioni in campo si è visto che gli animali consumano foglie, fiori, legumi ed i rametti con un diametro inferiore ai 3 mm. Il valore nutritivo, in termini di composizione chimica, è dato quindi dalla media ponderata in base alla proporzione delle diverse parti nella sostanza secca edibile offerta. La sostanza secca disponibile è stata di circa 0.5 t/ha in gennaio e dicembre e più di 1t/ha in giugno, con valori similari a quelli riscontrati in uno studio svolto in Sicilia (Stringi et al., 1998). Complessivamente la sostanza secca disponibile nell’anno per il pascolo è stata oltre 2 t/ha. Le caratteristiche chimiche della pianta variano nelle stagioni. La proteina grezza (PG) è stata pari a circa il 20% della sostanza secca in autunno-inverno, 16-18% in primavera e 10% in estate in luglio. Le fibre NDF e ADF hanno avuto un andamento opposto, con valori più bassi in inverno-primavera e più elevati in estate-autunno mentre la digeribilità della sostanza secca (Ivdmd) ha seguito l’andamento del contenuto della PG oscillando tra il 74% in inverno ed il 58% in estate. Verso la metà di luglio le piante perdono le foglie, riprendendo a vegetare tra l’inizio e la metà settembre e ad essere pascolabili verso novembre-dicembre a seconda dell’andamento pluviometrico. Su tutte le componenti della parte edibile è stata valutata la presenza di alcuni fattori antinutrizionali presenti nel genere medicago, appartenenti alla famiglia dei fitoestrogeni (formononetina, geneisteina e cumestrolo), che sono risultati in quantità non rilevabile.

Fig. 8. Altezza e diametro medi delle piante di M. arborea sottoposte al pascolamento tra i 6 ai 30 mesi dall’impianto

La figura 8 indica lo sviluppo della coltura di m. arborea nel tempo in termini di altezza e diametro medi della chioma delle piante nel periodo tra i 6 ed i 30 mesi dall’impianto. La dimensione delle piante diminuisce dopo i pascolamenti e cresce maggiormente da fine inverno a primavera inoltrata. Alla fine del terzo anno dall’impianto (dicembre 2020), le piante hanno raggiunto un’altezza di 120 (±9.6) cm e un diametro medio di 113(±18.5) cm. Si è rilevato che l’altezza media di pascolamento raggiungibile dalla pecora sarda sulle piante è di circa 115-120 cm (figura 9). La parte vegetativa che si trova oltre questa altezza non viene in media pascolata e costituisce una risorsa non utilizzabile dall’animale. L’ideale è, quando possibile, ridurre l’altezza delle piante dopo il pascolamento cimandole con un taglia siepi all’altezza raggiungibile dagli animali, favorendo così anche lo sviluppo di “getti” laterali. Nel 2024 le piante della coltura di Bonassai a 7 anni di età e dopo 10 pascolamenti hanno raggiunto una altezza di 133 (±9.1) cm e un diametro medio di 141 (±14.2) cm. In particolare le piante tendono a crescere trasversalmente alla fila, nella direzione dove c’è più spazio, e alcune branche possono abbassarsi lateralmente anche per la sollecitazione esercitata dagli animali durante il pascolamento. Questo è testimoniato dal notevole aumento del valore del diametro trasversale delle piante che è passato da 118 (±27.5) nel 2020 a 175 (±16.8) nel 2024. Questo è un fattore da tenere in considerazione al momento della scelta del sesto di impianto, soprattutto se si vuole lasciare uno spazio adeguato per il passaggio dei mezzi meccanici.

Fig. 9. Altezza massima raggiunta dagli ovini col pascolamento sulle piante di m. arborea

Pascolamenti

Il pascolamento della M. arborea dovrebbe avvenire per lo più nei periodi nei quali normalmente è scarsa la disponibilità di erba delle colture foraggere e nei pascoli naturali: in inverno, a gennaio, in tarda primavera, a giugno, e in autunno a novembre-dicembre ed 1 volta anche d’estate a luglio. La coltura quindi, una volta affrancata, potrebbe permettere in media 3 pascolamenti annui. La m. arborea dell’azienda di Bonassai è stata sinora sottoposta a 10 pascolamenti in 6 anni (quindi meno rispetto alle sue potenzialità). Inizialmente, durante una fase di studio sperimentale nel 2018 e 2019, la coltura è stata utilizzata 2-3 volte l’anno. Successivamente, in media solo 1-2 volte l’anno, secondo quanto riportato in tabella 1, con una gestione di “mantenimento”, con lo scopo di limitare l’accrescimento delle piante.

Ai fini sperimentali e per esigenze di organizzazione aziendale, i carichi utilizzati sono stati sempre elevati per brevi periodi continuativi, in modo da consumare la sostanza secca disponibile in media entro 2 settimane. Il pascolamento è stato interrotto al completo consumo della parte edibile.

Attività sperimentale

In due stagioni, in inverno ed in primavera del 2019, è stato realizzato uno studio con l’obiettivo di valutare l’influenza del pascolamento esclusivo di m. arborea sulla produzione e la composizione chimica del latte di un gruppo di ovini di razza sarda. In tre momenti, T0, 7 e 14 giorni dall’inizio dell’utilizzazione delle piante, sono stati misurati il peso, il BCS (nota dello stato di ingrassamento), la produzione e la composizione chimica di latte individuale degli animali.

Inverno

Dal 22 gennaio al 5 febbraio 2019, per 14 giorni, la coltura è stata pascolata di mattina per circa 6 ore al giorno da pecore adulte in lattazione con un carico di 60 capi/ha (Tabella 1). Prima dell’introduzione degli animali, i residui erbacei delle interfile sono stati sfalciati per ottenere una alimentazione al pascolo quasi completamente arbustiva. Gli animali, che nei giorni precedenti stavano pascolando una coltura di loglio italico per 6 ore al giorno, hanno mantenuto la stessa integrazione in stalla: 450 g/capo/dì (200g la mattina e 250g la sera) di formulato commerciale con il 16% di PG e circa 800 g/capo/dì di fieno di erba medica con il 15% di PG.

Risultati

La sostanza secca disponibile della medica arborea, superiore ai 500 chili ad ettaro, è stata utilizzata dagli animali per oltre il 94%, e le foglie (22% di PG) hanno costituito più dell’80% dell’ingerito (Tabella 2).

Il peso degli animali ed il BCS non sono variati significativamente durante il periodo di utilizzazione invernale (Tabella 3). Il peso ha oscillato tra i 43.6±0.77 ed i 44.1±0.70kg per capo ed il BCS tra 2.44±0.05 e 2.54±0.04, evidenziando nei 14 giorni di utilizzo della m arborea un sostanziale mantenimento della condizione corporea degli animali rispetto al precedente periodo di pascolamento sul Loglio.

La produzione di latte si è mantenuta abbastanza costante nella prima settimana di pascolamento della medica, diminuendo significativamente (-17%, P<0.05) nella seconda settimana quando in media la produzione è scesa a 1850 g/capo al giorno (Figura 10). Il contenuto di grasso non è variato, mentre la quantità di proteina e caseina hanno avuto oscillazioni significative, nel periodo della prova. In particolare la caseina ha avuto una flessione nella fase centrale (2.9 vs 3.7 e 3.8 %, rispettivamente dopo 1 settimana, all’inizio e alla fine del pascolamento P<0.05). L’urea del latte è aumentata significativamente già dopo la prima settimana di pascolamento (da 38.9 a 58.1 mg/100ml rispettivamente a 0 e 7 giorni, P<0.01), mantenendosi alta fino alla fine del periodo di pascolamento 52.1 mg/100ml, a 14 gg, P<0.01), ad indicazione di un eccesso di azoto nella dieta legata al pascolamento della leguminosa. La diminuzione del latte riscontrata nella seconda settimana del pascolamento è attribuibile alla minore progressiva disponibilità di sostanza secca dell’arbusto.

Fig. 10. Produzione giornaliera e composizione chimica del latte degli ovini al pascolo sulla M. arborea a gennaio del 2019. Le barre indicano l’errore standard.

Primavera

Dal 12 al 27 giugno per 14 giorni la coltura è stata pascolata per circa 6 h al giorno, di mattina, da pecore adulte in lattazione partorite a febbraio, con un carico di 60 capi/ha (Tabella 1). Al momento dell’introduzione degli animali, i residui erbacei delle interfile sono stati eliminati tramite sfalcio per ottenere una alimentazione al pascolo degli animali quasi completamente arbustiva. Gli animali, che nei giorni precedenti stavano pascolando su un campo di trifoglio alessandrino e loglio italico, la notte sono stati mantenuti all’aperto su un campo di stoppie di triticale con disponibilità di 800 g/capo/dì di fieno di loglio (10% di PG). L’integrazione in stalla durante la mungitura è stata di 450 g/capo/dì (200g la mattina e 250g la sera) di formulato commerciale con il 16% di PG.

Fig. 11. Coltura di m. arborea durante il pascolamernto invernale in gennaio (a sinistra) e prima del pascolamento primaverile in giugno (destra).

Risultati

La sostanza secca disponibile della medica arborea, superiore ad 1 t/ha, è stata utilizzata per oltre il 65%, e le foglie (18% di PG ad inizio pascolamento) hanno costituito più del 70% dell’ingerito (Tabella 2). Va evidenziata l’ingestione del 16% di legumi e 13% dei fiori caratterizzati rispettivamente da 18% ed 21% di PG, mentre il consumo dei rametti è stato quasi nullo. Il BCS non è variato significativamente durante i 15 giorni di utilizzazione della medica mentre il peso vivo degli animali è diminuito di oltre 2 kg/capo già dalla prima settimana di pascolamento (tabella 3).

Fig. 12. Produzione giornaliera e composizione chimica del latte degli ovini al pascolo sulla M. arborea nella primavera del 2019

La produzione di latte non è variata significativamente nella prima settimana di pascolamento della medica (1433 vs 1328 g/capo al giorno), diminuendo significativamente (-34%, P<0.01) nella seconda settimana quando in media è scesa da 1328 a 945 g/capo al giorno (Figura 12). Il tenore di proteine e caseine è rimasto invariato mentre i grassi hanno avuto una piccola e non significativa flessione nella fase centrale del periodo di pascolamento per poi tornare ai valori iniziali. L’urea del latte è rimasta costante nella prima settimana del pascolamento della medica, per poi diminuire significativamente nella seconda settimana (41.1, 40.2, e 25.0 mg/100ml, rispettivamente dopo 0, 7 e 14 giorni di pascolamento; P<0.01). Il calo più marcato rispetto all’inverno sia del peso degli animali che della produzione di latte potrebbe essere legato ad una repentina diminuzione dell’ingestione dell’arbusto nella seconda settimana di pascolamento. Questo potrebbe essere stato causato sia dalle condizioni ambientali, soprattutto alte temperature, che dalla minore appetibilità del foraggio che, nell’ultima settimana di pascolamento, aveva un contenuto di sostanza secca quasi del 40%. Questo spiegherebbe anche la diminuzione dei valori di urea del latte registrati a fine pascolamento.

Conclusioni

La medica arborea ha dimostrato di essere una pianta molto adatta al pascolamento con ovini, per la sua buona produzione di sostanza secca pabulare di elevato valore nutritivo. La sua capacità di ricacciare bene dopo l’utilizzo, la rende idonea per l’introduzione nei sistemi zootecnici mediterranei conservativi. La pianta, infatti, una volta insediata richiede basso impegno di gestione riuscendo a vegetare 10 mesi l’anno senza l’ausilio dell’irrigazione e della concimazione. Eventualmente si potrebbe effettuare, non più di 1 volta l’anno, una “cimatura” ad altezza di pascolamento per ottimizzare l’offerta foraggera per gli animali. La coltivazione ha permesso di mantenere, sia in inverno che in primavera, carichi elevati di pecore in lattazione (60 capi/ha) per 1 settimana senza fare diminuire in maniera significativa la produzione di latte ne variare la sua composizione chimica. Successivamente, quando la produzione di latte inizia a diminuire, a causa della minore disponibilità foraggera, il pascolamento andrebbe interrotto per permettere alle piante di ricostituire una adeguata offerta foraggera, ritornando sullo stesso appezzamento dopo 40-50 giorni a seconda della stagione. A questo proposito, l’investimento con l’arbusto di ampie superfici permette di suddividere il campo in appezzamenti da pascolare a rotazione, meno intensamente ma più frequentemente, consentendo di avere un sistema foraggero più dinamico ed efficiente. Va sottolineato che nell’ambito del sistema foraggero la coltivazione di medica arborea si inserisce come integrazione e parziale sostituzione delle tradizionali colture erbacee, da utilizzare in maniera ottimale quando queste non si sono ancora sviluppate (autunno), o sono già secche (tarda primavera), o nelle stagioni nelle quali l’offerta foraggera è di solito scarsa (inverno). Lo scopo è quello di stabilizzare e allungare la curva della disponibilità foraggera aziendale e conseguentemente quella della produzione di latte, limitare le semine annuali, e diminuire l’uso dell’integrazione alimentare in stalla con fieni e concentrati.

Inoltre, la possibilità di effettuare saltuariamente delle semine negli interfilari degli arbusti con specie foraggere erbacee complementari come le graminacee, è una possibilità per incrementare e adattare l’offerta foraggera del pascolo alle esigenze aziendali. L’apporto dei residui colturali radicali e derivanti dalla parte epigea, portano come per tutte le specie leguminose un miglioramento del suolo in termini di contenuto di N e sostanza organica. Inoltre il lungo periodo di fioritura rende eventualmente la medica arborea adatta anche all’attività della apicoltura nell’ottica di un sistema agrario integrato.

Il sistema arbustivo/erbaceo è perfettamente in linea con le indicazioni delle politiche agricole comunitarie, nazionali e regionali che promuovono i sistemi agrari integrati e conservativi. In particolare con l’adozione di sistemi agrari che salvaguardino la risorsa suolo (diminuzione delle lavorazioni, favorire l’incremento della sostanza organica, limitare l’erosione) e quella idrica (aridocoltura, minori consumi) (SRSvS, 2021; PSP 2023-2027, 2022; Reg UE2115/2021) come nel caso degli arbusti foraggeri.

Il limite principale della medica arborea è il reperimento del materiale vegetale e l’impianto in campo. La realizzazione di una coltivazione di medica arborea richiede una certa perizia e, soprattutto se non c’è la possibilità di effettuare l’irrigazione di soccorso, può portare a risultati deludenti con la moria di un elevato numero di piantine. L’ideale sarebbe l’affidamento a ditte vivaistiche specializzate, che si occupino della realizzazione dell’impianto sino all’affrancamento delle piante. I costi di impianto potrebbero essere ammortizzati e ripagati soprattutto se si investono superfici adeguate, di almeno 1 ha, che consentano una gestione razionale. L’impianto nell’azienda Agris di Bonassai ha previsto solo il costo per l’acquisto delle piantine pari a circa 4500 euro ad ettaro. Il prezzo elevato è dovuto all’importazione delle piantine da un vivaio del nord Italia. La produzione locale di talee per il trapianto abbasserebbe notevolmente i costi, rendendo la coltura più conveniente. Ipotizzando un costo annuo di circa 500€/ha per l’impianto di un erbaio (prezzario regionale dell’agricoltura, RAS) alternativo alla coltivazione della medica, la coltura dovrebbe ripagare i costi di impianto in circa 10 anni. Comunque, la versatilità nell’utilizzo legata alla offerta foraggera anche in stagioni di carenza delle colture erbacee, ed il basso impegno per la gestione, sono il valore aggiunto della medica arborea come preziosa fonte di alimentazione zootecnica “low imput”, che dovrebbe essere valorizzata nell’ambito di una politica agraria di contrasto ai cambiamenti climatici e rispettosa dell’ambiente.

Bibliografia

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Autori

Lorenzo Salis, Andrea Cabiddu, Santino Fancellu, Andrea Pintore, Giulio Spanu, Maria Sitzia

Agris Sardegna