Su Ruminantia si è parlato spesso di micotossine e, in particolare, di quelle associate ad alimenti zootecnici e latte: recentissimo è il webinar “Pillole di zootecnia – Quando preoccuparsi delle micotossine”. Per quanto riguarda il Gorgonzola, ne aveva parlato Giovanni Ballarini: riprendiamo il discorso da lui impostato per approfondire relativamente ai formaggi erborinati. Con l’articolo di Irene piazza “I formaggi erborinati”, abbiamo già visto come vengono prodotti e come si sviluppano le muffe all’interno della pasta.
Cosa sono le micotossine? Si tratta di metaboliti secondari prodotti da vari tipi di funghi in condizioni ambientali particolari (anche su questo tema, Giovanni Ballarini ha scritto per Ruminantia un articolo molto interessante e rivolto al futuro: Aflatossine nei formaggi e cambiamenti climatici). Le micotossine possono avere una certa tossicità, in quanto la loro presenza in alimenti e mangimi può produrre effetti avversi (da semplici disturbi gastrointestinali a problemi renali, senza dimenticare il rischio di patologie croniche come il cancro) per l’uomo e per gli animali; entrano nella catena alimentare come conseguenza ad infezioni delle colture avvenute prima o dopo il raccolto e si trovano di solito in alimenti come cereali, frutta secca, noci e spezie.
Dal punto di vista della salute, le micotossine che allarmano maggiormente sono aflatossine, ocratossine A e le micotossine prodotte dal genere Fusarium, come il deossinivalenolo. Nel latte, preoccupa la presenza di aflatossine, e per la stessa in questo alimento (latte crudo, latte trattato termicamente e latte destinato alla fabbricazione di prodotti a base di latte) il Reg. (CE) n. 1881/2006 definisce un tenore massimo pari a 0,050 μg/kg. Di recente, l’EFSA ha aggiornato il parere del 2006 sull’ocratossina A (OTA) negli alimenti: nei ruminanti da latte, il rumine sia in grado di metabolizzare quasi completamente questa micotossina, trasferendo al latte (e quindi ai formaggi) una percentuale molto bassa. Tuttavia, le concentrazioni di OTA nei formaggi, in particolare quelli erborinati, come riportato nella recente opinion EFSA, i valori sono compresi tra 0,25 e 3,0 μg/kg. In generale, nei formaggi possiamo ritrovare micotossine da due diverse origini: una da contaminazione indiretta che si verifica a carico degli alimenti zootecnici assunti dall’animale e che contengono micotossine come l’aflatossina; una diretta legata allo sviluppo di muffe che crescono sui formaggi.
Il formaggio è l’unico prodotto lattiero-caseario ad essere realmente suscettibile alla crescita fungina. Tra i generi più importanti in grado di svilupparsi sul formaggio, troviamo: Penicillium (genere prevalente, aggiunto intenzionalmente sul o nel formaggio – P. roqueforti e P. camamberti), Aspergillus, Cladosporium, Geotrichum,Mucor e Trichoderma. Nella produzione di formaggi erborinati, le muffe vengono aggiunte deliberatamente: le produzioni con contaminazioni fungine spontanee vanno evitate proprio perché, non trattandosi di ceppi selezionati per la ridotta capacità di produzione di micotossine, il rischio sarebbe incontrollato ed alto.
Penicillium roqueforti ha una lunga storia di apparente sicurezza d’uso nella produzione di formaggi erborinati (vale lo stesso per P. camamberti impiegato nei formaggi a crosta fiorita). Nonostante ciò, per l’EFSA non vi sono ancora prove scientifiche sufficienti a formulare un’ipotesi di sicurezza per questo microrganismo, che nell’Unione Europea corrisponde alla cosiddetta presunzione qualificata di sicurezza (QPS, qualified presumption of safety). La QPS è una metodica scientifica utilizzata per formulare un’ipotesi sulla sicurezza di una sostanza sulla base di ragionevoli prove. Se una valutazione scientifica porta a concludere che un gruppo di microrganismi non dà adito a problemi di sicurezza, al gruppo viene assegnato lo “stato di QPS”. Per quanto riguarda in generale i ceppi di Penicillium impiegati nell’industria alimentare, e quindi anche P. roqueforti, il limite principale risiede nella capacità dei ceppi di questo genere di produrre micotossine nelle condizioni di produzione, aspetto che rende tali specie ineleggibili allo stato di QPS.
Il professor Giovanni Ballarini ha ampiamente affrontato il tema della sicurezza legata ai ceppi di P. roqueforti in relazione alla presenza di micotossine (anche in questo articolo, oltre a quello riportato sopra). In particolare, si può citare nuovamente il lavoro di Vallone et al. (2014, Secondary metabolites from Penicillium roqueforti, a starter for the production of Gorgonzola cheese) che riporta risultati interessanti proprio in merito al nostro amato Gorgonzola DOP: i ricercatori hanno condotto uno studio su nove ceppi selezionati di P. roqueforti utilizzati nella produzione della DOP, con l’obiettivo di verificare la produzione di metaboliti secondari. La presenza di roquefortina C, tossina PR e acido micofenolico è stata testata prima in vitro, poi su un substrato di composizione simile a quella del pane ed infine in vivo in nove campioni di formaggio prodotti con gli stessi starter e pronti per la commercializzazione. Solamente in vitro c’è stata produzione di metaboliti secondari, mentre sia su substrato che sui campioni di formaggio i ceppi di P. roqueforti non hanno prodotto metaboliti secondari.
Dal punto di vista produttivo, sapendo quali sono le condizioni alle quali una muffa è in grado di produrre micotossine in un formaggio ci aiuta a costruire una strategia per il controllo che preveda in particolare un’azione sulle condizioni di maturazione delle forme. La produzione di micotossine dipende da una serie di fattori tra cui: attività dell’acqua, temperatura, composizione del substrato, ceppo di muffa, composizione del gas all’interno della pasta, la presenza di conservanti chimici e le interazioni microbiche. Nel caso dei formaggi erborinati, per quanto riguarda la scelta di starter selezionati, come abbiamo visto con la ricerca di Vallone et al. (2014), la ricerca ha fatto passi avanti permettendo all’industria di offrire ceppi con ridotte capacità di produzione di metaboliti secondari: l’erborinatura con ceppi spontanei dovrebbe essere evitata proprio perché è complicato controllare la capacità di produzione di micotossine. Inoltre, non è assolutamente superfluo ribadire che la prevenzione ai fini dell’igiene degli ambienti di lavorazione e di stagionatura rimane un elemento chiave per evitare che ceppi da contaminazione ambientale possano arrivare alle forme in maturazione, generando quindi un potenziale rischio micotossine.