E’ a tutti noto che le bovine da latte fresche e non ancora gravide sono per definizione in carenza energetica, perché ciò che viene eliminato con il latte difficilmente, se non mai, può essere compensato con le razioni.
Sia i nutrizionisti che gli alimentaristi formulano per questa fase razioni con la più alta concentrazione possibile di energia, e per farlo devono aumentare la quota di concentrati a scapito dei foraggi. Il nutriente più utile per fare ciò è l’amido.
Fino a pochi mesi fa, e per moltissimi anni, non era stato definito in maniera univoca un fabbisogno di amido. Solo da metà 2021, con l’uscita del NASEM 2021, gli scienziati hanno consigliato per le vacche fresche al massimo della produzione di non superare il 30% della sostanza secca della razione, ossia 8.800 grammi al giorno.
Nel “disperato” tentativo di soddisfare i fabbisogni energetici al fine di avere tanto latte e tanti “titoli”, ma anche una buona fertilità e salute, se non si è particolarmente accorti si rischia di indurre acidosi ruminale e intestinale.
Per tenere sotto controllo il pH del rumine ci sono molti metodi. Si va da quello clinico, ossia il saper diagnosticare queste due malattie metaboliche, alle molto invasive ruminocentesi, fino ad arrivare ai più accurati ma costosi sensori del pH ruminale.
Una procedura ormai molto datata ma molto semplice ed economica si basa sul concetto che esiste una correlazione tra il pH del rumine e quello delle feci, e che questo diminuisce all’aumentare dell’amido della razione. Sappiamo anche che se dal rumine “scappa” troppo amido ciò rappresenta un importante fattore di rischio per le malattie clostridiche, come la sindrome della morte improvvisa della bovina da latte.
Troppo amido indigerito che esce dal rumine, l’acidosi ruminale e l’acidosi intestinale sono tre condizioni che provocano una riduzione del pH delle feci.
Questa misurazione è molto semplice perché richiede solo un pHmetro ben tarato e l’esecuzione si fa prelevando le feci dal retto. Molto importante è sapere qual è il valore anomalo, a quante ore prima o dopo la somministrazione della razione va misurato e su quanti animali.
Anche se è molto empirico, si consiglia di eseguire questa misurazione nel 10% degli animali presenti nel gruppo scegliendoli a caso. Non è ancora molto chiaro quando fare il test, ossia se prima o dopo la somministrazione della razione e a quante ore.
La disponibilità di ricerche scientifiche sull’argomento è purtroppo esigua. Sarebbe quindi utile che la comunità scientifica si attivasse e ci aiutasse a costruire una metodica ad hoc da applicare in campo.