Pubblicato da Ismea il report intitolato “Tendenze e dinamiche recenti Ovicaprini – maggio 2024“. Il documento esamina l’evoluzione dell’intero comparto basandosi sui dati dell’anno 2023 e quelli del primo trimestre 2024. Si parte dalle informazioni relative alle consistenze di capi e aziende, per arrivare alle prospettive future attraverso le variazioni dei prezzi e dei consumi.
Il contesto Europeo
Negli ultimi dieci anni l’UE ha registrato un calo del patrimonio ovino e caprino di circa 10 milioni di capi (-12%) e, secondo le stime della Commissione Europea, questo declino strutturale continuerà anche nei prossimi anni nonostante il sostegno accoppiato al reddito previsto dalla PAC e i prezzi favorevoli. Di conseguenza, la produzione UE di carne ovina e caprina diminuirà leggermente, scendendo a un ritmo dello 0,3% annuo nel prossimo decennio (arri-vando a circa 607mila tonnellate nel 2035).
La produzione di carne ovicaprina rimarrà concentrata in alcuni paesi dell’UE, con Spagna, Grecia, Francia, Irlanda e Romania che rappresenteranno quasi i tre quarti della produzione totale comunitaria. Si prevede che il consumo pro capite nell’UE rimarrà relativamente stabile nel prossimo decennio a circa 1,3 kg pro capite annuo, principalmente come conseguenza di una domanda domestica legata alle tradizioni religiose e alla migrazione. Dando uno sguardo fuori dall’Europa, si può notare che: nel Regno Unito i prezzi delle pecore sono nuovamente aumentati a causa della scarsa disponibilità (dal 1° dicembre 2023 registrato un calo del 5,1% nel numero di capi su base annua); in Australia le esportazioni di agnello sono aumentate del 36% a marzo su base annua; mentre in Nuova Zelanda, i prezzi dell’agnello sono stabili su bassi livelli da oltre tre mesi, e questo sembra sia legato alla lenta ripresa economica della Cina e alla conseguente diminuzione della domanda.
Situazione italiana
Consistenze
Secondo i dati del censimento dell’Anagrafe Nazionale Zootecnica al 31 dicembre 2023 sul territorio nazionale sono presenti circa 6,9 milioni di capi, di cui poco meno di 6 milioni di ovini e il restante caprini. A livello territoriale, circa il 70% del patrimonio si localizza in quattro regioni, con un’elevata concentrazione nelle Isole: la Sardegna con il 45,5% del patrimonio ovicaprino nazionale; a seguire la Sicilia, con l’11,5% dei capi e, poi Lazio e Toscana (rispettivamente 8,6% e 4,5%). Registrata una forte diminuzione degli allevamenti con un calo particolarmente significativo nell’ultimo quinquennio che si quantifica in -20% tra il 2023 e il 2019. Analizzando i numeri vediamo che gli allevamenti ovicaprini attivi a fine 2023 sono stati 112.385 e in un solo anno sono sparite quasi 20.000 aziende, dopo un periodo piuttosto critico soprattutto sul fronte degli aumenti che hanno interessato i costi di produzione. Anche il gregge ha subìto una contrazione nell’ultimo quinquennio, che è risultata più accentuata proprio nel 2023 (-9,3% rispetto al 2019).
Nelle aree maggiormente vocate si evidenzia una tendenza a convertire l’allevamento naturale-pastorale in forme di allevamento più intensive, come evidenziato dai fenomeni di concentrazione in atto ormai da anni, che hanno portato gli allevamenti ovicaprini di dimensioni superiori ai 300 capi a incidere per il 6% sul totale ed a rappresentare, attualmente, oltre la metà dei capi complessivamente presenti sul territorio nazionale.
Nonostante la riduzione delle consistenze di oltre il 10%, la specializzazione produttiva prevalente resta il latte, che caratterizza oltre la metà del patrimonio ovicaprino (cui si aggiunge un ulteriore quota del 27% attribuibile ad allevamenti con orientamento misto latte-carne) soprattutto in Sardegna. La specializzazione in razze da carne è limitata a meno di 1/5 dei capi nazionali ed è localizzata soprattutto al Sud, in Sicilia e Calabria, e lungo l’arco alpino lombardo-piemontese.
Produzione
Nel 2023 la produzione di latte ovicaprino è risultata pari a 435 mila tonnellate, secondo i dati Agea, ma i caseifici hanno lamentato una carenza di materia prima rispetto alle annate precedenti. In Sardegna, dove sono stati prodotti oltre i due terzi del latte ovicaprino nazionale, la destinazione prevalente è stata rappresentata dal Pecorino Romano, anche in considerazione dei sostenuti livelli di prezzo.
In base ai dati dell’organismo di controllo, quasi 968 mila ettolitri di latte ovino sono stati ritirati dai caseifici DOP (+15,5% rispetto a ottobre-febbraio della precedente annata), di cui i due terzi trasformati in formaggio tutelato: la produzione di Pecorino Romano DOP, dopo il +12,4% realizzato nell’annata casearia 2022/2023 con 36,6 mila tonnellate certificate in base ai dati dell’organismo di controllo, nell’annata in corso segna un ulteriore incremento (+11% tendenziale nel periodo ottobre 2023-marzo 2024).
Nel 2023 si è significativamente ridotto il numero di capi avviati al macello (-5,8% rispetto all’anno precedente), con un calo delle movimentazioni che ha interessato entrambi i periodi di punta in coincidenza delle festività. Anche la produzione di carne è calata (-4,6%), in misura meno che proporzionale, segnale di un orientamento verso capi più pesanti.
Per quanto riguarda la Pasqua 2024 si stima un aumento delle macellazioni di circa il 5% rispetto allo scorso anno (quando il periodo di picco delle movimentazioni era caduto a cavallo tra la fine di marzo e la prima decade di aprile), confermato anche dagli operatori che nel complesso hanno evidenziato soddisfazione per l’andamento delle dinamiche di domanda-offerta.
Prezzi
Dopo i picchi evidenziati nell’estate 2023, con i prezzi del Pecorino Romano Dop che hanno superato il livello record 14 euro/kg, l’esordio della nuova campagna casearia ovina è stato segnato da un cambio di rotta con una progressiva flessione dei listini: nel mese di marzo i prezzi del Pecorino Romano si sono mediamente assestati su 12,42 euro/kg, con un differenziale di 1,60 euro/kg rispetto alla quotazione di dodici mesi fa. A influenzare la frenata dei prezzi da un lato la maggiore produzione, dall’altro l’ulteriore cedimento della domanda estera, che rappresenta la destinazione prevalente del Romano. Diversamente, per il Pecorino Toscano Dop, prezzi ancora in salita e assestati a marzo 2024 su un valore di 11,30 euro/kg per il “tenero”, pari al +15% rispetto alle quotazioni di un anno fa. I prezzi del latte all’ovile, soprattutto nell’areale sardo dove la nuova campagna aveva esordito con prezzi più bassi di quella precedente, hanno visto poi una progressiva ripresa, riallineandosi sui livelli della scorsa campagna, e attestandosi nel mese di marzo a circa 133,7 euro/100 (Iva inclusa).
La ridotta disponibilità di materia prima ha continuato a far risalire il prezzo del latte ovino in Toscana, arrivato in media a 170 euro/100 litri Iva inclusa a marzo, e seppure più lentamente anche nel Lazio (145 euro/100 litri a marzo). I costi di produzione sostenuti risultano in progressivo calo, in particolare come conseguenza di un rientro delle quotazioni dei cereali e di condizioni di pascolo attualmente favorevoli: in dettaglio, secondo l’indice Ismea, i prezzi dei mezzi correnti per gli allevamenti ovini da latte sono diminuiti del 6% nel primo trimestre 2024, trainati dal ribasso dei mangimi e dei prodotti energetici.
I prezzi all’origine degli agnelli sono progressivamente aumentati nelle settimane precedenti la Pasqua 2024 raggiungendo in media il picco di 5,75 €/kg peso vivo per la categoria 8-12 kg, risultando abbastanza in linea rispetto alla stessa fase della campagna precedente (+0,9%).
Per la categoria degli agnelli pesanti (12-20 kg), il picco raggiunto nella settimana di Pasqua è stato di 4,79 €/kg peso vivo, segnando un +6% rispetto alla stessa fase del 2023. Anche nella fase all’ingrosso, i prezzi della carne di agnello hanno raggiunto a fine marzo 2024 i 10,43 €/Kg, risultando solo leggermente al di sotto del livello della eccezionale Pasqua dello scorso anno (-2,7%).
Commercio estero
Per i formaggi pecorini nel 2023 è stato realizzato un fatturato record di oltre 267 milioni di euro, (+8% rispetto al 2022), ma gli elevati livelli di prezzo hanno frenato i volumi in uscita (-6,2% rispetto al 2022) verso tutte le principali destinazioni, in particolare Stati Uniti (-7,1% in volume). La minore disponibilità di capi nazionali ha sostenuto le importazioni di ovini vivi, che hanno registrato un +9,6% rispetto al 2022, riavvicinandosi ai livelli di tre anni fa. In forte aumento anche le importazioni di carni (+13,9% in volume), registrando il livello più alto degli ultimi cinque anni.
Acquisti domestici
Nel 2023 si è evidenziato un calo importante delle vendite retail dei formaggi pecorini (-6,6 in volume), a fronte di una decisa spinta sui prezzi (+19% rispetto al 2022). Tali dinamiche sono state ancora più accentuate per il Pecorino Romano DOP con un aumento dei prezzi (+22%) più consistente rispetto al totale dei formaggi pecorini e in generale dei duri (che includono i grana DOP). Dopo l’ennesima flessione dei consumi domestici di carne ovicaprina nel 2023 (-4,4% in volume anche se +1,5% la spesa) il primo trimestre 2024 segna un’inversione di tendenza con un +6,3% dei volumi acquistati e un +13,9% della spesa rispetto al primo trimestre 2023.
Il supermercato resta nel 2023 il principale canale di acquisto (42% del totale acquisti). Ancora molto importante la quota rappresentata dal dettaglio tradizionale, che assorbe un quarto della domanda, e che nel 2023 ha registrato un notevole aumento delle vendite in volume (+18%) con fatturati cresciuti del 24%. Situazione diversa nel primo trimestre 2024, quando a fronte di un incremento delle vendite totali di carni ovicaprine del 6,3% sono gli ipermercati a fare la miglior performance, con un incremento dei volumi del 25% seguiti dai supermercati che segnano un +15%, mentre i discount perdono il 28% e i negozi “tradizionali” (macellerie e banchi dei mercati rionali) il 25%. In relazione alle aree geografiche gli acquisti sono localizzati prevalentemente al Centro-Sud (76%), e se nel 2023 solo l’areale di Centro aveva segnato una espansione (+6,1%), nel primo trimestre 2024 hanno segnato un’espansione sia il Sud (+27%) che il Nord Est (+74%), restano invece sempre più deboli i consumi negli areali del Nord Ovest, in flessione sia nel 2023 che nel primo trimestre 2024 (rispettivamente -20% e -16%).
Dai dati raccolti emerge che il consumo medio annuo di carni ovicaprine è costante nel tempo e si aggira attorno a 1 Kg pro capite; pertanto, le flessioni dei consumi domestici si suppone siano sempre compensate da un incremento di quelli dei canali della ristorazione. La minor produzione nazionale nel 2023 è stata in parte compensata dal prodotto importato; il che significa che nello scorso anno è stato presente sulle tavole degli italiani un maggior volume di carne proveniente da capi nati oltreconfine, mentre l’incremento delle macellazioni nel primo trimestre 2024 evidenzia un recupero della quota di prodotto nazionale nei vari canali distributivi.
Prospettive
All’interno della filiera convivono due segmenti con dinamiche e problematiche assai differenti. L’elemento comune è sicuramente l’estrema frammentazione dell’offerta che non consente di di avere un potere contrattuale adeguato con le fasi a valle della filiera. A livello europeo tutti gli stati membri segnalano difficoltà a mantenere una redditività solida, con una generalizzata tendenza flessiva delle consistenze delle greggi dovuta oltre che all’aumento dei costi di produzione anche alla difficoltà di incentivare i giovani ad inserirsi in un contesto produttivo che ha una marginalità ridotta e che subisce la concorrenza delle carni ovine estere a basso prezzo e basate su differenti basi normative.
Una ulteriore criticità sul fronte dei costi di produzione potrebbe arrivare da nuove proposte normative UE finalizzate al miglioramento del benessere in fase di trasporto degli animali vivi, che renderebbero molto più onerosi gli spostamenti, andando ad aggravare le difficoltà del settore.
Il vero rischio che il settore ovicaprino nazionale si trova ad affrontare è quindi quello del progressivo abbandono dell’attività di pastorizia, considerando che in un solo anno sono spariti quasi 20.000 allevamenti, con conseguente ricaduta negativa sul presidio di territori marginali e sull’indotto occupazionale in particolare con riferimento all’attività di caseificazione (a tal proposito segnaliamo il nostro articolo “Abbiamo bisogno di più pastori, non di eroi!“)