Chi ha a che fare con le bovine da latte sa bene quanto la fertilità, o meglio un precoce ripristino di una gravidanza dopo il parto, condizioni il successo economico di un allevamento. Più parti ci sono al mese, in percentuale rispetto alle bovine adulte, minori saranno i giorni medi di lattazione e maggiore la produzione media pro-capite, in virtù della caratteristica forma della curva di lattazione delle bovine. Questo “prerequisito” sta perdendo importanza negli ultimi tempi in favore di una maggiore persistenza della lattazione dovuta ad una sempre maggiore presenza di primipare in stalla e forse ad una sorta di selezione naturale che è spontaneamente avvenuta. Questa profonda modifica della curva di lattazione sta aumentando la produttività delle singole bovine ma sta al contempo creando grossi problemi alla messa in asciutta, anche se si fa a 235 giorni dal parto. Quasi sicuramente, in un prossimo futuro, si sceglieranno le lattazioni “estese”, ossia di lunghezza superiore ai 330 giorni, e questo permetterà di spostare la fine del periodo volontario d’attesa oltre il picco del bilancio energetico e proteico negativo e di avere una produzione più bassa alla messa in asciutta.

L’infertilità o l’ipofertilità di una bovina sono vere e proprie sindromi perché a determinarle intervengono fattori genetici, nutrizionali, ambientali, manageriali e sanitari, quasi sempre contemporaneamente ma con pesi diversi in ogni individuo e allevamento. Sarebbe infatti più corretto classificare la ritardata gravidanza dopo il parto come “Sindrome della sub-fertilità” (SDSF).

Tra i vari fattori di rischio della SDSF, quelli più importanti sono la difficoltà di rilevazione dell’estro e di decidere il giusto momento per fecondare. Negli allevamenti estensivi di bovini la risoluzione di questi due aspetti manageriali viene solitamente affidata al toro.

La maggior parte degli allevamenti italiani di bovine da latte è però classificabile come intensiva, ossia con poco spazio a disposizione delle bovine per le interazioni sociali, dove l’area di riposo è organizzata solitamente a cuccette e quasi sempre non ci sono paddock esterni. Questa tipologia d’allevamento ha permesso di aumentare la produzione di latte per metro quadro, facilitato le pulizie e ridotto il personale, ma sta al contempo creando alle bovine problemi riproduttivi e sanitari di fatto irrisolvibili, anche in stalle nuove appena costruite.

In questi allevamenti l’esibizione del comportamento estrale è per le bovine oggettivamente complessa ed è difficile per l’allevatore rilevarla. Per superare questo problema si sta progressivamente abbandonando l’osservazione visiva, sostituendola con le sincronizzazioni ormonali per fecondare ad un determinato tempo (TAI), con sensori che registrano l’attività motoria o con la misurazione “real time” e “in line” in sala di mungitura della concentrazione di progesterone del latte. Sebbene quest’ultimo sistema sia di fatto il “gold standard”, non si è diffuso moltissimo in Italia per molte ragioni, per cui ne ometterò la descrizione.

Per capire come viene eseguita la fecondazione negli allevamenti, in mancanza di dati italiani, ci dobbiamo rivolgere ancora al Dairy 2014, ossia al National Animal Health Monitoring System della statunitense USDA che periodicamente riporta in vari report le pratiche d’allevamento degli USA, luogo al quale molte nazioni del mondo fanno, nel bene e nel male, riferimento. Il Dairy 2014 del NAHMS riporta quanto è successo nel 2013 nell’80.5% degli allevamenti e nell’81.3 delle bovine da latte degli Stati Uniti.

Secondo questo report, gli allevamenti che utilizzano la TAI sono il 55.9%, percentuale che raggiunge il 71.2% nei grandi allevamenti (>500 bovine). Gli allevamenti che utilizzano i sistemi elettronici di monitoraggio dell’estro, anche detti “Electronic Heat-Monitoring System (EHMS), sono invece l’8.6%, percentuale che sale all’22.9% nei grandi allevamenti.

Le sincronizzazioni ormonali

Molti allevamenti negli USA utilizzano la fecondazione artificiale sul calore naturale (AI) per la prima fecondazione dopo il parto, in particolare nel 9.4% degli animali nel caso delle primipare e nel 51.5% nelle vacche. Nella prima fecondazione delle vacche, il 12.6% degli allevamenti utilizza il toro, il 16.3% una sola prostaglandina (PG), il 7.4% la TAI con Presynch/Ovsynch e il 4.9% Ovsynch. Nelle fecondazioni successive, sempre delle bovine adulte, il 29.1% usa la AI senza ormoni, il 22.7% la fecondazione con il toro, il 15.5% la TAI di Ovsynch e il 6.2% la TAI del programma Resynch/Ovsynch. Nel Dairy 2014 non vengono riportate informazione sulla percentuale d’uso del Double-Ovsynch che, secondo quanto riportato dal Prof M.C. Lucy, è attualmente la sincronizzazione ormonale più diffusa negli USA.

Ma cosa sono questi programmi di sincronizzazione che permettono la fecondazione senza la necessità di rilevare i calori?

Durante il ciclo estrale emerge sull’ovaio quello che viene chiamato il follicolo dominante dal quale avviene l’ovulazione. Il follicolo, una volta ovulato, si trasformerà nel corpo luteo che avrà il compito di produrre la quota di progesterone che accompagnerà l’embrione fino ed oltre l’annidamento in utero, o meglio alla placentazione. La crescita del follicolo dalla fase primordiale, fino alla sua maturazione, l’ovulazione e la trasformazione, è indotta e condizionata da ormoni, nutrienti e metaboliti. I principali ormoni coinvolti sono l’ipotalamico GnRH, gli ipofisari FSH e LH, l’IGF s e le prostaglandine.

In realtà gli ormoni coinvolti sono molti di più ma l’Ovsynch prevede l’utilizzo in sequenza di GnRH analoghi e PGF per “sincronizzare” la crescita del follicolo, l’ovulazione e la luteolisi in modo da permettere di fecondare le bovine al “buio”, ossia a prescindere dal comportamento estrale.

Il primo lavoro sul controllo delle ondate follicolari utilizzando il GnRH risale al 1991 ed è stato pubblicato da K.L. Macmillan e W.W. Thatcher su Biology of Reproduction (45: 883-889). Si deve a J.R.Pursely, M.O.Mee e M.C. Wiltbank lo sviluppo nel 1995 del protocollo “Ovsynch” (Theriogenology 44: 915-923). Da allora, il programma originale Ovsynch ha subito numerose modifiche e l’aggiunta di diverse implementazioni. Nel 2005 A.R. Rabiee ed altri hanno pubblicato sul Journal of Dairy Science (88:2754-2770) una meta-analisi dal titolo “Efficacy of Ovsynch Program on Reproductive Performance in Dairy Cattle” le cui conclusioni riportiamo testualmente:

“There was, however, little or no significant improvement in pregnancy rates using Ovsynch over other programs and the costs of labor and hormone administration should be considered when selecting this form of reproductive technology for routine use”.

In ogni caso, la comunità scientifica, forte anche delle ingenti risorse economiche private disponibili, ha apportato molte variazioni all’originario Ovsynch fino a giungere all’attuale Double-Ovsynch, presentato nel 2008 da A.H. Souza, H.Ayres, R.M Ferreira e M.C. Wiltbank sulla rivista Theriogenology (70:208-215), che sembra essere ad oggi il metodo che garantisce i più alti tassi di concepimento per TAI anche se prevede l’utilizzo di ben 6 trattamenti ormonali (4 GnRH e 2 PGF).

I sensori

“Sensore” è una terminologia molto generica. A questo gruppo di device appartengono gli ausili elettronici alla rilevazione dei calori, ossia strumenti che con varie tecnologie registrano un aumento dell’attività motoria rispetto a quella che il singolo animale fa normalmente. In genere, l’attività che l’animale fa durante l’estro è superiore di 2.7 volte rispetto a quella che fa quando non lo è. Purtroppo non esiste un termine univoco di definizione di questi sensori. Ne esisitono di diverse tipologie: ci sono quelli che vanno attaccati ad un piede, quelli posizionati intorno al collo e quelli che sono attaccati ad un orecchio. Genericamente, queste tecnologie offrono un’identificazione automatica delle bovine in calore e possono essere chiamate con diversi nomi, tra cui “Automated of Estrus-Detection”, “Automated Activity Monitoring”, etc. Il comportamento estrale è così definito in quanto è un insieme di atteggiamenti che l’animale assume per richiamare l’attenzione del maschio e coordinare la monta. In genere, l’ovulazione avviene 29-33 ore dopo l’inizio dell’incremento dell’attività e 17-19 ore dopo la fine di questa fase. A indurre dapprima i sintomi accessori del calore, come il cavalcare le altre bovine e farsi cavalcare ma non rimanere ferma, l’agitazione, l’annusare la vagina, etc, e poi il sintomo patognomonico dell’estro di rimanere ferma quando montata, è l’ormone estradiolo prodotto dal follicolo in fase pre-ovulatoria e ovulatoria. Importante è sapere che l’intensità del comportamento estrale non è proporzionale alla quantità di estrogeni prodotti dal follicolo. I sensori registrano regolarmente l’incremento d’attività, il picco e il declino. Generalmente viene consigliata la IA dopo 12-14 ore dall’inizio del calore per avere il più alto tasso di concepimento.

 

Pro e contro di sensori e Ovsynch

Fare una comparativa è molto difficile nonostante l’enorme quantità di pubblicazioni scientifiche disponibile e i decenni di esperienze accumulate sui sistemi che aiutano a gestire al meglio la fecondazione artificiale. Intervistando allevatori e veterinari si possono facilmente raccogliere giudizi contrastanti. Una variabile da considerare, che condiziona il tasso di concepimento ottenibile con i sensori o con le sincronizzazioni ormonali, è se Ovsynch e le sue varianti vengano applicati a tappeto e a prescindere dall’aver verificato lo stato di salute generale e quello dell’apparato riproduttore dell’animale. Sicuramente, la personalizzazione della sincronizzazione, ossia la decisione del veterinario su come e quando intervenire sulla singola bovina, condiziona molto il tasso di concepimento alla TAI.  Anche il contesto dell’uso dei sensori condiziona sia il tasso di concepimento alla IA che il tasso di rilevazione dei calori. Stalle sovraffollate, pavimenti scivolosi, un’alta prevalenza di zoppie e una cattiva situazione sanitaria e nutrizionale condizionano molto il comportamento estrale e quindi la sua rilevazione, anche strumentale.

Sul fronte costi la situazione è la seguente. I pedometri Afikim si sono diffusi in Italia nei primi anni 90 ed hanno un po’ fatto da apri pista. Successivamente, l’allora Alfa Laval presentò gli attivometri, ossia sensori da applicare al collo. Altre aziende hanno poi iniziato ad offrire questi sensori ai quali via via si stanno aggiungendo numerose interessanti funzioni. Un pedometro o un attivometro costano di listino dai 110 ai 130 euro, anche se un vero proprio prezzo “al pezzo” non esiste ovviamente. Questi device hanno una vita di circa 8 anni, per cui si possono considerare in ammortamento a euro 15/capo/anno. Anche sul fronte costo/dose, i costi dei GnRH analoghi e la PGF sono estremante variabili. Attribuendo un costo medio/intervento di euro 3 per il GnRH analogo e euro 3.5 per la PGF, un Ovysinch classico costerebbe 9.5 euro mentre un Double-Ovsynch ne costerebbe 19. Generalmente, per ottenere una gravidanza si devono fare almeno 2.5 fecondazioni, per cui una gravidanza ottenuta con TAI può costare dai 23.7 euro (Ovsynch) ai 47.5 euro. Sia i prezzi dei sensori che quelli dei farmaci sono puramente indicativi ma l’obiettivo di questa comparativa è ragionare su ordini di grandezza confrontabili.

Nel confrontare i sensori con Ovsynch esistono grandi differenze, oltre che sul piano economico, anche nell’ambito delle considerazioni etiche. La visione vigente, ma in rapido declino, almeno in Europa, della vacca tecnologica e dell’allevamento impresa non può che non vedere nelle sincronizzazioni ormonali l’uovo di colombo, ossia la soluzione che prescinde dalla qualità del personale di stalla, della struttura e della nutrizione. Non è nuovo il credo che “il fine giustifica i mezzi”. Pur tuttavia, le fasce più colte e i giovani delle popolazioni occidentali e le classi ricche delle economie emergenti desiderano consumare cibo proveniente da animali trattati bene e con rispetto, e che vivono in condizioni “naturali”. Sul “Libro bianco sulla sicurezza alimentare”, che risale ormai a quasi venti anni fa, se ne faceva già ampio cenno. Anche la zootecnia statunitense sta facendo una rapida marcia indietro, non tanto legislativa quanto commerciale, sull’utilizzazione di farmaci e additivi che esaltano le performance degli animali. Come è noto a tutti, il nostro paese è leader mondiale nella produzione di formaggi di alta fascia dove la “narrazione culturale” (storytelling) aiuta, anzi è fondamentale, per spingere sempre più alto il loro posizionamento economico e fidelizzare fasce sempre più ampie della popolazione. Il concetto di allevamento intensivo e il suo layout e quello delle economie di scala sta rapidamente diventando sempre più incoerente con la comunicazione di naturalità e tradizione della produzione lattiero-casearia italiana, soprattutto quella dei formaggi “a denominazione”.

Due sono i rischi potenziali della diffusione sistematica delle sincronizzazioni ormonali. Nella selezione genetica e genomica delle bovine da latte i caratteri funzionali come la fertilità stanno avendo un peso sempre maggiore negli indici. Una raccolta dei molti fenotipi della fertilità, come interparto, intervallo parto-concepimento, ripresa dell’attività ovarica dopo il parto PR, CR, HDR, etc., che prescinde da informazioni che considerano ad esempio se la gravidanza è stata indotta da una fecondazione naturale o artificiale (TAI e non TAI), può alterare molto la selezione genetica e paradossalmente “premiare” i riproduttori che rimangono gravidi solo con i trattamenti ormonali. Il rischio di residui di GnRH analoghi e PGF2α, e dei loro eventuali metaboliti, è pressoché nullo ma chi conosce il “principio della precauzione” che condiziona la legislazione sanitaria europea sa bene quanti principi attivi siano stati eliminati dall’agricoltura e dalla zootecnia solo perché potenzialmente dannosi anche in assenza di prove scientifiche. Nonostante questo, molecole utilizzate nell’industria e in agricoltura ritenute assolutamente innocue per la salute umana e animale stanno arricchendo purtroppo la ormai sterminata lista degli interferenti endocrini e quella delle sostanze cancerogene.