Lo sviluppo di nuove tecniche di sequenziamento del DNA ha permesso di fare grandi passi avanti dal punto di vista genetico e biologico in campo zootecnico. Queste nuove metodiche, chiamate “Next Generation Sequency (NGS)”, sono largamente utilizzate nello studio del microbioma ruminale e fecale dei ruminanti grazie alla capacità di individuare e quantificare le popolazioni microbiche che abitano i substrati oggetto di studio.

Le tecniche NGS permettono un’analisi veloce e accurata; inoltre, i costi, che fino a qualche tempo fa risultavano essere molto onerosi, negli ultimi anni hanno mostrato un decremento, permettendo quindi un maggiore sviluppo di studi scientifici. La quantità e la qualità di informazioni ottenute, unite ai dati fenotipici degli animali, hanno permesso di scoprire e approfondire le molteplici interazioni che intercorrono tra microbioma gastrointestinale e vari aspetti dell’allevamento degli animali, specialmente quelli riguardanti salute e performance produttive.

Un recente studio (Congiu et al., 2024), nato dalla collaborazione tra ricercatori della Sezione di Scienze Zootecniche dell’Università degli Studi di Sassari e del Dipartimento di Scienze Animali dell’Università della Georgia (UGA) negli Stati Uniti, si è focalizzato sull’analisi delle relazioni che intercorrono tra composizione del microbiota ruminale e fecale e l’efficienza alimentare in bovini da carne di razza Angus.

L’efficienza alimentare è stata valutata attraverso l’utilizzo del Residual feed intake (RFI), un parametro ottenuto dalla differenza tra ingestione prevista (sulla base dei fabbisogni alimentari) e l’ingestione reale dell’animale. Tale indice viene rapportato alla quantità di output prodotto; pertanto, a parità di produzione, animali con un indice negativo risultano essere maggiormente efficienti perché necessitano di una minore quantità di alimento per produrre una determinata quantità di output.

Uno degli obbiettivi dello studio di Congiu et al. (2024) è stato quello di prevedere, già alla fase di svezzamento, quali animali sarebbero stati più efficienti, sulla base della composizione microbica delle loro feci.

A tale scopo, sono stati utilizzati i dati di 28 manzi di razza Angus allevati in una delle aziende sperimentali UGA. Il dataset conteneva le informazioni sul microbioma fecale dei bovini oggetto di studio e vari parametri produttivi, tra cui i punteggi di RFI. Questa ricerca si è focalizzata sull’utilizzo dei dati riguardanti la composizione microbica delle feci ed i punteggi di RFI ottenuti dopo la macellazione. Per la costruzione del modello matematico capace di prevedere quali fossero gli animali più efficienti a partire dai dati del microbioma, sono state utilizzate diverse tecniche di statistica multivariata. In particolare, l’analisi discriminante è una tecnica di classificazione che a partire da un pool di variabili cerca di assegnare ciascun individuo ad una categoria predeterminata a priori.

Questa metodica, dunque, ha come scopo quello di separare gli individui oggetto di studio e assegnare ciascuno di essi al gruppo di appartenenza, ricercando all’interno delle variabili (in questo caso la composizione microbica), quelle che maggiormente aiutano alla discriminazione tra gruppi. Per poter procedere con questa metodica, gli animali sono stati suddivisi in due categorie in base alla loro efficienza produttiva, ossia, individui con un indice RFI negativo o positivo (rispettivamente più efficienti e meno efficienti). I risultati ottenuti hanno mostrato una buona capacità predittiva del modello, infatti, l’analisi discriminante è riuscita ad assegnare ciascun animale al rispettivo gruppo di appartenenza sulla base della composizione microbica fecale. Tra tutte le famiglie di batteri presenti nel dataset, 18 sono risultate essere quelle che maggiormente aiutavano a discriminare tra i gruppi. In particolare, Rhizobiaceae era la famiglia maggiormente associate al gruppo con RFI negativo, mentre la famiglia delle Comamonadaceae risultavano essere associate maggiormente al gruppo RFI positivo.

Questi risultati dimostrano come sia possibile, già dalla fase di svezzamento, poter prevedere quali animali saranno più efficienti; ciò garantirebbe un grosso vantaggio per gli allevatori, in relazione alla gestione del proprio allevamento.

Un altro vantaggio derivante da questo studio riguarda l’utilizzo dei dati della composizione microbica fecale per la costruzione del modello. Il campionamento delle feci, infatti, è sicuramente più vantaggioso dal punto di vista pratico ed economico rispetto al campionamento di liquido ruminale, che richiede la presenza di addetti esperti ed inoltre rappresenta una fonte di stress per l’animale. Il prossimo passo per la validazione del modello, che ha dato comunque ottimi risultati, prevede l’impiego di un più ampio dataset di studio che coinvolga un numero più elevato di individui.

Autore

Michele Congiu, sotto la supervisione del Gruppo Editoriale ASPA: Giuseppe Conte, Alberto Stanislao Atzori, Fabio Correddu, Luca Cattaneo, Gabriele Rocchetti, Antonio Natalello, Sara Pegolo, Manuel Scerra, Aristide Maggiolino.

La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico pubblicato su “Animal”: Congiu, M., Lourenco, J., Cesarani, A., Lamichhane, U., Macciotta, N. P. P., & Dimauro, C. (2024). Predicting feed efficiency of Angus steers using the gastrointestinal microbiome. animal, 101102. https://doi.org/10.1016/j.animal.2024.101102