Una riflessione sull’argomento insieme a Renata Lovati dell’azienda agricola “Cascina Isola Maria”, a venti chilometri dalla città di Milano, che ci ha raccontato l’esperienza della loro conversione al biologico avvenuta tredici anni fa.

La storia che vi racconto oggi mi ha fatto riflettere su due grandi temi estremamente attuali che sono: da un lato il coraggio di cambiare e dall’altro il ricambio generazionale, in fondo molto collegati tra loro, così come emerge dalle parole della protagonista stessa, Renata Lovati.

Renata è una donna energica e appassionata, laureata in agraria come suo marito Dario, insieme al quale per anni ha condotto un’azienda di spicco sul panorama nazionale allevando bovine di razza Frisona ed investendo su genetica e produzione. Insieme hanno messo in pratica le nozioni apprese durante il percorso di studi universitario attuando una zootecnia di tipo convenzionale, nella rincorsa, come lei stessa dice, “del mito della massima produttività”. I risultati e le soddisfazioni sono stati molti, erano arrivati a produrre oltre 100 q.li di latte per vacca, ma con il tempo sono iniziate a cambiare molte cose.

Il prezzo del latte si è progressivamente abbassato, a differenza del costo dei mangimi e dei combustibili fossili necessari all’utilizzo dei mezzi agricoli, che ha continuato a crescere, e, a conti fatti, tutto ciò rendeva la loro realtà decisamente poco sostenibile da un punto di vista economico. Sicuramente l’idea di modificare l’approccio gestionale attuato per anni, e l’essere circondati da tante persone del settore che sottolineavano che con l’alimentazione biologica difficilmente avrebbero potuto sopperire ai fabbisogni di vacche così selezionate, hanno rallentato un po’ il processo decisionale.

In ogni caso, poi, una serie approfondita di successive valutazioni, nonché la vicinanza con il Parco Agricolo Sud di Milano e la presenza sul territorio dei Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) che richiedevano prodotti Bio dalle campagne intorno alla città, nel 2009 gli ha dato la spinta decisiva sui cambiamenti da intraprendere, e così è iniziato il loro viaggio di conversione all’agricoltura biologica. Renata e Dario però hanno creduto sin dall’inizio nella fattibilità di questo progetto, e quello che ad oggi consigliano a chiunque volesse intraprendere un simile percorso è innanzitutto di essere consapevoli che per effettuare la conversione ci vuole tempo, e che il confronto con altre realtà può aiutare moltissimo nel trovare le soluzioni più congeniali per la propria!

La fatica più grande è sicuramente stata la conversione della campagna; ad esempio, uno dei primi ostacoli incontrati è stata la coltivazione del mais, fattibile ma difficoltosa in condizioni di regime biologico. In realtà, concordiamo subito dopo all’unisono, la stagione appena conclusa ha mostrato che anche nell’agricoltura convenzionale questa coltura ha ormai accumulato una serie di criticità faticose da gestire, e quindi la sua riduzione in razione potrebbe essere presa come spunto anche da chi non attua le pratiche bio. Confrontandosi con un’azienda vicina, Renata e Dario hanno capito che era più semplice e conveniente orientarsi sulla produzione di insilati da cereali vernini e che le consociazioni funzionavano molto bene; pertanto, hanno provato con il miscuglio triticale, frumento e pisello proteico, e già nella primavera del primo anno hanno ottenuto dei prati molto interessanti che hanno introdotto una bella novità anche dal punto di vista paesaggistico. Poi hanno provato la consociazione orzo – pisello, migliore perché si raccoglie un po’ prima e permette di seminare qualcos’altro successivamente. Tutto ciò continuando a fare anche il mais, gestendolo attraverso delle lavorazioni meccaniche sulle file e avendo anche discreti risultati.

Poi però si sono decisi a provare il sorgo da trinciato, e in risultati son stati davvero molto buoni, anche in considerazione dei costi estremamente inferiori e della minor richiesta di acqua. Il sorgo oltretutto è più semplice da insilare per la sua composizione zuccherina, cosa che lo rende estremamente appetibile per il bestiame e, per quanto sia un po’ meno energetico, sicuramente risulta una valida alternativa da considerare. Così sono andati avanti ancora per due o tre anni, finché è giunta l’idea di provare ad inserire l’erba verde in razione. Ovviamente l’operazione è stata condotta in maniera molto graduale, ma i risultati sono stati da subito molto positivi: Renata si è avvalsa dell’aiuto di una cavalla da lavoro con cui ha avuto la possibilità di ranghinare l’erba fresca e distribuirla giornalmente e gli animali hanno da subito apprezzato, anzi come dice proprio lei “l’introduzione dell’erba fresca è stata una festa in stalla”.

Vedendo che la scelta era adeguata hanno dunque deciso di acquistare un carro per la raccolta in Piemonte, dove ancora li usano, mezzo che permette di entrare nel campo, tagliare, raccogliere e distribuire il prodotto in corsia, un po’ tipo carro unifeed.

Dopo questo passaggio, lo step successivo è stato di eliminare completamente gli insilati scelta che si è portata con se l’eliminazione della maggior parte della plastica dall’azienda, non essendoci più teloni né fasciati, ma il grande vantaggio di questo cambiamento è stato legato al miglioramento della sanità della mandria: non più problemi post parto, riduzione assoluta dell’uso del farmaco, drastica riduzione dei problemi podali con eliminazione della pratica di pareggio funzionale, e maggiore facilità al parto, quest’ultima sicuramente dovuta anche all’utilizzo di tori che danno vitelli piccoli. A proposito di obiettivi di selezione, per molti anni l’orientamento è stato verso produzione, qualità del latte, mammella e arti. Oggi, alla luce dei tanti risultati ottenuti, cercano soprattutto di ridurre la taglia, anche in considerazione del fatto che le vacche sono stabulate su cuccette con  paglia o segatura.

Chiaramente, visti tutti i cambiamenti apportati un po’ di quantità nella produzione si è persa, ma il miglioramento generale della sanità della mandria li porta ad avere un unico rimpianto, il non essere passati prima al biologico!

Renata mi fa presente che i risultati più interessanti che hanno ottenuto riguardano la riproduzione e in particolare la fertilità, anche in considerazione del fatto che nel Biologico c’è il divieto di utilizzare ormoni e pratiche di sincronizzazione degli estri. Ci dilettiamo quindi ad aprire un po’ di dati inerenti la mandria che ad oggi conta una presenza media di circa 60 vacche in lattazione, e la situazione che emerge è la seguente:

Tornando poi a parlare della scelta di produrre con metodo biologico, emerge una considerazione degna di nota sulla sinergia di aziende che la richiesta di prodotti Bio ha creato nella loro zona, come dimostra il fatto che da un gruppo iniziale di dieci, oggi le realtà limitrofe certificate sono diventate trenta e hanno dato origine allo sviluppo di vantaggiosi accordi comprensoriali.

Altro dato molto interessante, studiato dall’Università di Milano sia di Agraria che della Bicocca, è quello relativo al miglioramento della fertilità del suolo, del numero di organismi presenti nel terreno e l’aumento della sostanza organica, portato dalle consociazioni tra cereali e leguminose e dalle rotazioni, fondamentali anche per il contenimento delle infestanti. Dunque, tirando le somme, la minor produzione viene decisamente ripagata da tutti i vantaggi sopra elencati, nonché da un prezzo medio che risulta superiore al convenzionale di circa +10 cent/litro. A tal proposito chiedo che utilizzo facciano del loro latte, e vengo a scoprire che la maggior parte è destinato ad una cooperativa che fornisce un caseificio produttore di Gorgonzola Bio e in piccola parte viene dato in lavorazione due volte al mese ad un piccolo caseificio di zona per i prodotti ordinati dagli acquirenti del GAS.

Ma non finisce qui, la storia dell’azienda Cascina Isola Maria due anni fa ha visto sopraggiungere un altro cambiamento, anche questo estremamente interessante soprattutto per un settore, come il nostro, in cui il ricambio generazionale è diventato una vera piaga da combattere per evitare lo spopolamento delle campagne. Renata due anni fa si è trovata di fronte alla scelta di come proseguire l’attività di allevamento considerando che tutti i componenti della famiglia, marito e ben tre figli maschi, erano impegnati su altri fronti lavorativi. Da sola non era pensabile proseguire tutta la gestione e da qui… l’innovazione!

Qualche anno prima avevano avuto in azienda due ragazzi molto volenterosi per una collaborazione nella gestione della parte agricola. Questi ragazzi si erano poi messi in proprio affittando un’azienda ad 8 chilometri di distanza, ma l’investimento iniziale dei capi di bestiame si sa non è cosa da poco. E così la necessità di Renata si è unita al sogno di due giovani fratelli Paolo ed Elia Sguinzi, rispettivamente di 30 e 25 anni, ed è nata la società “Isola Maria al Testone”, in quanto entrambi i centri aziendali sorgono, casualmente, davanti ad un fontanile chiamato “Testone”.

Dunque, costituendo questa nuova realtà gli animali sono stati distribuiti su entrambi i centri zootecnici, riducendo molto i capi nella stalla di Renata, dove le strutture era vetuste e necessitavano di un notevole investimento per la ristrutturazione. Tra le novità introdotte con la riorganizzazione c’è l’inserimento in mandria del torello per la monta naturale e l’acquisto del robot di mungitura.

Nella descrizione di questa ulteriore evoluzione della sua azienda, mi ha colpito moltissimo una frase di Renata:“ il pensiero di disperdere questa mandria su cui avevo lavorato anni, non mi faceva dormire la notte”, e concordo con lei sul fatto che la sua storia possa rappresentare veramente un valido spunto di riflessione per tutte quelle realtà agricole che non hanno ricambio generazionale.

La ringrazio quindi immensamente per la testimonianza e concludo questo racconto con il titolo di un filmato presente sul suo sito aziendale (clicca qui per visitarlo), che credo racchiuda tutto ciò che ci siamo dette in questa bella chiacchierata: “Voltar pagina – le api volano lente”!