La conversione di un’azienda zootecnica da latte da metodo convenzionale a metodo biologico, così come la sua conduzione con metodo biologico, parte dalla campagna: fondamenta necessaria affinché il sistema agrozootecnico possa funzionare efficacemente e sostenersi nel tempo sotto tutti i punti di vista.

Per questo, come approfondimento all’articolo precedentemente pubblicato (Conversione al biologico: un esempio pratico dei parametri di efficienza da considerare), riteniamo importante analizzare questo tema portando ancora l’esempio pratico dell’azienda Motella Bassa di come possano modificarsi priorità, tempi, gestione e costi. Aspetti conseguenti alla messa in pratica di quanto indicato dal Reg. UE 2018/848 per promuovere la fertilità del suolo e un razionamento coerente con la salute metabolica del ruminante.

Le priorità

La priorità non è la produzione per quintale, ma promuovere e preservare la fertilità del suolo attraverso la presa d’atto che il nostro più importante capitale è proprio il suolo e, soprattutto, la sua vitalità.

Abbiamo già scritto che in un’azienda zootecnica è più semplice ottemperare alle prescrizioni del Regolamento comunitario, per il fatto che necessita attivare rotazioni destinate a produrre alimenti per la propria mandria. Ma non bisogna dimenticarsi che la produzione è il fine, mentre il mezzo – il suolo appunto – è ciò che deve essere preservato, custodito e “coccolato”, attraverso operazioni che devono essere quanto più accorte possibile per evitare, ad esempio, la destrutturazione, il compattamento e l’asfissia, tutte condizioni che peggiorano grandemente la vita nel suolo.

E’ necessario ribadire che l’azienda zootecnica biologica deve essere gestita in modo che la maggior parte della sostanza secca derivi dai propri terreni, ma si può ottenere questo risultato ingaggiando agricoltori biologici dei paraggi che non hanno allevamento e che possono mettere a disposizione dell’allevamento i propri raccolti, ricevendone in cambio una fertilizzazione organica di valore.

Il Regolamento del bio è stato scritto per mettere a disposizione degli operatori un percorso entro il quale muoversi per ottenere la certificazione, ma è di fondamentale importanza attivare genio e fantasia per ottimizzare questo percorso: in proposito è interessante sviluppare filiere e contratti di collaborazione tra agricoltori e allevatori biologici vicini al fine di non stressare il terreno, evitando le doppie colture, ma “spostando” la produzione su altri terreni, che poi verranno coperti con colture da sovescio o rinettanti, per le quali non necessitano interventi invasivi sul terreno (aratura ed erpicature potranno essere evitate, sostituite da un semplice passaggio di erpice per coprire il seme quanto basta per la germinazione).

Questo ragionamento esalta tutto ciò che di positivo (compresa la gamba ambientale della sostenibilità) si può avere dalla ridotta lavorazione del suolo e vale anche per ottemperare alle previsioni della normativa sui reflui zootecnici, che per gli allevatori biologici è identica a quella degli allevatori convenzionali in zona vulnerabile ai nitrati: è chiaro che negli anni in cui i terreni saranno impegnati a erba medica o altre leguminose, l’apporto di refluo fi-no a 170 kg/ha N per anno potrebbe essere eccessivo.

E qui vengono in soccorso i terreni degli agricoltori del comprensorio, con i quali sarà buona cosa organizzare non solo il “dare-avere” ma anche cosa “dare per avere”, pianificando le colture in funzione delle necessità di entrambi gli attori. Avere dei terreni vicini con accordi di comprensorio permette inoltre di ridurre notevolmente i costi di trasporto.

Per passare dall’empirismo alla pratica, basterà effettuare un’analisi della sostanza organica labile e stabile, e un’analisi della qualità biologica del suolo (valutazione numerica di ciò che nel suolo vive) all’inizio della conversione e, dopo x anni (anche solo un paio), ripetere le stesse analisi possibilmente nello stesso posto: se si avrà lavorato bene, aumenterà la quota di sostanza organica stabile (humus) e di esseri viventi nel terreno.

I tempi

La pianificazione di rotazioni colturali, rispetto a chi pratica la monocoltura, è ben più complessa e articolata. Le rotazioni permettono di avere colture (e quindi prodotti) differenti, quindi una variabilità di alimenti che comporta una dilatazione dei tempi. Vediamo di seguito alcuni esempi.

Ad esempio, la raccolta di mais per insilato (silomais o pastone) si programma con il contoterzista che in una giornata sistema in trincea 30 ha di mais. Con i fieni si è sempre in campagna facendo per la medica anche 6 tagli e per il prato 4 tagli. Affienare significa avere il meteo a favore: l’ideale è aspettare 3 – 5 gg di bel tempo per non rischiare di raccogliere troppo presto rischiando fermentazioni anomale che fanno inevitabilmente perdere qualità al prodotto, o nel peggiore dei casi il rischio di autocombustione.

Produrre una medica di buona qualità significa anche lavorarla spesso la sera tardi, soprattutto nella fase di raccolta, per evitare che perda la frazione fogliosa. Nel caso della medica cambiano i tempi se si vuole fasciare oppure, come nel caso di una razione a secco, si preferisce (o si deve) avvalersi dell’essiccatoio: per fasciare un ballone servono circa 90 sec, per essiccare con essicatoio un ballone 8-12 ore.

Ma veniamo alla questione macchinari. È palese che le dimensioni dei macchinari per la fienagione sono in relazione alle superfici condotte. Per poter essere produttivi, si necessita di macchine che riescano ad eseguire più ettari in meno tempo, ma sempre trattando bene il prodotto. La tecnologia e la meccanizzazione hanno fatto passi da giganti; pur avendo costi importanti, permettono di poter accelerare i tempi del cantiere. Se consideriamo una buona falciacondizionatrice, uno spandivoltafieno, un ranghinatore performante, una rotopressa di ultima generazione, e un carro per il trasporto dei balloni, possiamo tranquillamente raggiungere un centinaio di migliaia di euro; tutto questo senza considerare le trattrici che servono per far funzionare tali macchinari.

Altro macchinario non indispensabile, ma necessario alle grandi estensioni e per diminuire il rischio metereologico, è l’essiccatoio del foraggio. Costoso in acquisto e in gestione, ma che aumenta sicuramente la qualità del prodotto.

La gestione

Per 10 ha di silomais basta una trincea di 700/800 mc; per 10 ha di fieno servono tunnel/portico/fienile, rialzi per farlo respirare e ulteriore lavoro per impilarlo stoccato una volta che ha terminato la fermentazione. Pur essendo agevolati da macchinari indispensabili come il muletto telescopico, rimane sempre un impegno in termini di tempistiche. Inoltre, per dare i giusti tempi al foraggio di essere pronto ad essere stoccato, servono spazi al coperto. Questo è il “collo di bottiglia” degli spazi, soprattutto nel periodo maggio-giugno durante i primi tagli che risultano essere i più produttivi.

Costi

A titolo esemplificativo, riportiamo di seguito un esempio di costi della produzione di medica fieno biologica (i costi sono divisi per i tre anni di durata) e del mais insilato con metodo convenzionale.

UFL per piano colturale

La programmazione colturale deve tenere conto del fine ultimo del prodotto che, nel caso di terreni consociati ad un allevamento di bovine da latte, sono le UFL. Proviamo quindi di seguito a mettere a confronto le rotazioni colturali che l’azienda Motella Bassa svolgeva prima della conversione (2015) rispetto ad una rotazione destinata ad alimentazione per latte fieno STG biologico (2023).

Gli ettari totali coltivati nel 2015 erano 65, mentre nel 2023 erano 95. Nella tabella vengono riportate due volte le stesse superfici destinate a primo e secondo raccolto. Le UFL totali prodotte (espresse sulla sostanza secca) nel 2015 sono state 3942, mentre nel 2023 sono state 5941. Queste UFL totali, rapportate alle diverse superfici totali, risultano in una produzione di UFL per ettaro pari a 61 UFL/Ha nel 2015 e 66UFL/Ha nel 2023.

Come si evince dai dati sopra riportati, per i fieni di prato, medica ed erbaio, così come per il sorgo da trincia, le rese non hanno avuto differenze tra la conduzione convenzionale e in regime di biologico, poiché l’apporto del liquame in copertura (anche due volte) e del letame in presemina (la medica solo in presemina) hanno dato lo stesso risultato delle concimazioni azotate. Per soia e girasole le variabili sono parecchie e le differenze da un anno all’altro possono essere notevoli.

Autori

Matteo Cauzzi

Allevatore biologico della Pianura Padana, tra i titolari della Società Agricola “Motella Bassa di Cauzzi Bruno Silvano Fabio e p.a. Matteo s.s.”.

Paolo Di Francesco

Agronomo libero professionista; socio di Sata Studio Agronomico Società Benefit; Presidente de La Buona Terra – associazione degli agricoltori biologici e biodinamici.

Sujen Santini

Medico Veterinario, Dottore di Ricerca in Endocrinologia degli Animali Domestici, Diplomata SIOV in Medicina Veterinaria Omeopatica. Dall’inizio della sua professione si dedica alle specie animali destinate all’allevamento promuovendo il benessere animale, secondo la libera espressione dell’etogramma di specie e la salutogenesi secondo un approccio olistico di “One Healt-One Welfare” fondato sull’intima connessione dell’ecosistema unico e indivisibile “terra-animali-uomo”. Collabora con FederBio in qualità di veterinario esperto in sistemi di allevamento secondo il metodo biologico; è consulente e docente in corsi di formazione rivolti ad allevatori ed operatori di settore. Ha partecipato alla messa a punto dello Standard High Welfare FederBio.