La scelta della famiglia Cauzzi può lasciare un po’ attoniti se si considera il contesto produttivo in cui ci si trova.

Siamo, infatti, in Pianura Padana, più precisamente a Cavriana, in provincia di Mantova, e ci troviamo nell’azienda agricola Motella Bassa, nata negli anni ’60 dai fratelli Bruno e Silvano Cauzzi, attualmente coadiuvati nella gestione dai rispettivi figli Fabio e Matteo. Qui, su circa 100 ettari completamente pianeggianti, si coltivano seminativi (circa l’80% della SAU) e prati permanenti, e si allevano circa 120 bovine in lattazione, più la rimonta e la linea carne, per potenziare la quale si stanno effettuando incroci mirati. E bene, proprio qui, ormai otto anni fa, è stato deciso di cambiare radicalmente la modalità di fare agricoltura e zootecnia.

Delle motivazioni che hanno spinto l’azienda ad intraprendere questa nuova strada, abbiamo parlato con uno dei titolari, Matteo Cauzzi, che ci ha raccontato come è cominciato tutto e dove, questa scelta, li sta portando.

«Nel dicembre 2015 abbiamo fatto questa “folle” scelta di passare al biologico. Folle perché, trovandoci in una zona delle cinque zone più produttive al mondo dal punto di vista zootecnico ed agronomico, il metodo BIO è visto un po’ come una pratica fuori dalle righe. Abbiamo fatto questa scelta spinti sostanzialmente da un cambio culturale e da una consapevolezza acquisita negli anni, e quindi non improvvisata, ma radicata nella convinzione di voler cambiare direzione. Nei 18 mesi previsti per la conversione ci siamo mossi per capire meglio il mercato del latte biologico, ed abbiamo iniziato a conferire il prodotto attraverso una filiera, fondata assieme ad un mangimificio, due caseifici ed altri allevatori, denominata “FILBIO”, che si era organizzata per la produzione di Grana Padano Biologico, dato che in quel momento c’era una buona richiesta. Abbiamo iniziato a conferire latte certificato ad aprile 2017, attraverso appunto questa filiera, e siamo andati avanti fino a giugno 2020. In questi tre anni abbondanti ci siamo immersi completamente in questo nuovo sistema produttivo, affrontando un cambiamento grande sul fronte alimentare, in quanto abbiamo dovuto eliminare gli insilati dalla razione. Essendo, infatti, il latte destinato ad un formaggio biologico a lunga stagionatura, e non essendo consentito l’uso del lisozima nel processo produttivo di Grana Padano BIO, siamo dovuti passare ad un’alimentazione a secco».

Un salto piuttosto importante questo dell’alimentazione, come lo avete gestito?

«Questo è stato sicuramente il cambiamento più forte che abbiamo affrontato, perché noi usavamo tantissimo gli insilati ed i pastoni, e a distanza di quattro anni ci chiediamo ancora il motivo per cui non ci abbiamo pensato prima a farlo!!! Ovviamente c’è stato un calo di produzione, e la necessità di investire in macchinari differenti per somministrare la razione, però il tutto è stato controbilanciato sicuramente da un maggiore prezzo litro latte, accompagnato da netto miglioramento dello stato di salute degli animali, risparmio di farmaci e dei relativi costi collegati. Tutti aspetti fondamentali nella gestione della mandria, che, oltretutto, oggi vengono monitorati attraverso lo strumento “Classyfarm”, il che ci ha portato a pensare che, probabilmente, intraprendere questa strada ci ha permesso di precorrere un po’ i tempi!»

Dunque, consiglieresti ai tuoi colleghi allevatori di passare al biologico?

«Diciamo che ai miei colleghi che me lo chiedono rispondo domandandogli a mia volta se si sentono di cambiare mentalità, ancor prima che metodo produttivo. Perché passare al biologico non significa solo attenersi ai requisiti del Regolamento UE 2018/848, ma significa soprattutto avere un nuovo approccio di fronte problemi, trovare delle soluzioni differenti e circondarsi di professionisti con visuali e metodi diversi. Servono conoscenza, osservazione e anche un po’ di fantasia, non si può procedere esclusivamente per protocolli».

Tornando al vostro latte, dopo i primi tre anni abbondanti in cui l’avete destinato alla trasformazione, cosa è successo?

«È successo che l’acquirente, con congruo anticipo, ad un certo ci ha comunicato di trovarsi in difficoltà per una riduzione nella richiesta da parte del mercato. Ricordiamo tutti che giugno 2020 è stato un momento di grandissima difficoltà per il settore, in cui il latte spot è arrivato a toccare i 20 centesimi. Potete facilmente immaginare che momenti di tensione che abbiamo vissuto. Dopo circa un mese, però, mi ha contattato un veterinario per dirmi che un piccolo caseificio cercava latte biologico, ma c’erano due problemi: il primo è che poteva passare a ritirare il latte solo ogni due giorni, e quindi avevamo bisogno di un frigo in più per lo stoccaggio, e il secondo che chiedeva la certificazione per il Latte Fieno STG».

Conoscevate questa specialità tradizionale garantita?

«Non conoscevamo dettagliatamente il disciplinare, ma documentandoci abbiamo appreso che i requisiti previsti erano praticamente già ottemperati nella nostra azienda, in quanto le nostre bovine già venivano alimentate esclusivamente da erba, legumi, cereali e fieno, senza l’utilizzo di alimenti fermentati e la somministrazione di mangimi OGM».

Guardando indietro, quali sono state le principali criticità che avete incontrato in questo percorso intrapreso?

«Superato lo step culturale che prevede lo studio della normativa e l’approccio completamente diverso ai problemi, sicuramente il periodo di maggior criticità è secondo me quello della conversione. In questa fase, infatti, le aziende sono tenute a rispettare tutti i vincoli stabiliti, ad affrontare tutti i maggiori costi che questi comportano, vedendo il loro prodotto pagato come convenzionale. Questo non incoraggia e non aiuta nel passaggio. La parte zootecnica è ritenuta conforme quando la razione è conforme, il che significa che se ho la possibilità di acquistare tutti i prodotti in sei mesi riesco a certificarmi. Se invece utilizzo i miei prodotti, i mesi diventano almeno 18 considerando le preparazioni dei terreni, i cicli produttivi vegetali e così via».

Secondo te, si potrebbe fare qualcosa di più per il settore Biologico?

«Sicuramente va potenziata la comunicazione, bisogna far capire meglio ai consumatori cosa c’è dietro a questo processo produttivo, perché nel momento in cui chi compra è informato adeguatamente, il mercato si sposta. Un esempio è proprio quello che sta avvenendo nel latte biologico prodotto con insilati o meno. Negli ultimi mesi, oltre al differenziale tra latte convenzionale e bio, si è creato un ulteriore margine, non contrattualizzato ma remunerato, tra latte biologico prodotto usando insilati e latte fieno. E se questo fenomeno si sta manifestando, è solo perché il consumatore informato percepisce delle differenze nel prodotto e gli attribuisce quel valore aggiunto, che giustifica il maggior prezzo alla vendita».

Autore

Silvia Fiorani