In molti indici di selezione della frisona sono ormai comparse da anni le cellule somatiche (CS) del latte che, come è noto a tutti, indicano il livello d’infiammazione della mammella come conseguenza di una infezione.

L’attenzione verso le cellule somatiche, o leucociti, è alta perché il loro livello condiziona il prezzo del latte alla stalla e la resa casearia. E’ quindi importante per un allevatore che siano al più basso livello possibile.

Un latte che contiene meno di 200.000 CS/ml proviene da una mammella sana e quindi priva di mastite, anche se sarebbe più opportuno che questo limite “sanitario” fosse di 100.000 CS/ml.

Le mastiti, siano esse cliniche, ossia visibili al mungitore, o sub-cliniche, ossia rilevabili dalla lettura delle somatiche ma non solo, sono anche la ragione della precoce fine della carriera produttiva di un ruminante da latte.

Selezionare bovine con cellule somatiche “basse” sarebbe quindi auspicabile se non fosse che qualche sospetto di fare una cosa sbagliata c’è. In realtà, le cellule somatiche sono importanti elementi del sistema immunitario, chiamati globuli bianchi nella medicina umana, i cui livelli s’innalzano quando nella mammella penetra un microrganismo patogeno. In medicina, un livello troppo basso di queste cellule è quindi un problema grave (leucopenie).

Tra alcuni scienziati, veterinari e allevatori si discute sul fatto che puntare ad avere bovine con cellule somatiche sempre più basse significa “premiare” quei soggetti che hanno meno difese immunitarie, perché la selezione genetica su questo fenotipo si fa a prescindere dalla presenza di un patogeno nella mammella e dal tipo di cellule somatiche.

Per farsi un’ opinione è bene ricordare come funzionano le principali difese immunitarie della mammella. I patogeni, per causare una mastite, sia essa clinica che sub-clinica, devono penetrare dall’esterno entrando in competizione con i vari sistemi difensivi del capezzolo e della mammella, tra cui i leucociti. Le cellule somatiche “residenti”, ossia sempre presenti a prescindere dalle infezioni, sono principalmente i macrofagi, per cui una mammella ideale dovrebbe averne sempre in grande quantità. Concetto analogo vale per i linfociti. E’ come uno Stato che abbia tanti soldati per la difesa anche quando non c’è nessuna guerra da fare. In condizioni normali, ossia in assenza di un’infezione mammaria, i macrofagi possono rappresentare oltre il 60% delle cellule somatiche.

I macrofagi non sono però molto efficienti nel distruggere gli “intrusi” penetrati in mammella per cui quando serve chiedono rinforzi richiamando, con segnali chimici, dal sangue i neutrofili che sono più efficaci nella distruzione dei microrganismi patogeni. In caso d’infezione mammaria, i neutrofili, che normalmente sono meno del 10% delle cellule somatiche, arrivano anche fino al 90%. Da studi in vitro si è evidenziato che, per avere un’azione importante verso i patogeni della mammella, è necessaria una concentrazione di 300.000-500.000 neutrofili/ml. La differenza tra un animale e l’altro è data dalla sua capacità di “reclutare” i neutrofili e la loro abilità ad accorrere in massa all’interno degli alveoli mammari e dei dotti.

E’ intuitivo, e confermato sperimentalmente, che una mammella infiammata, e quindi con cellule somatiche elevate, è meno soggetta alla mastite clinica, in quanto le difese immunitarie sono attive ed ai massimi livelli. In questi casi, la nutrizione e la selezione genetica finalizzate a favorire l’efficienza del sistema immunitario fanno la differenza. Dai dati sperimentali in nostro possesso non sembra però che ci sia una correlazione positiva tra bovine geneticamente selezionate per avere cellule somatiche basse e sensibilità alle mastiti.

Nonostante si conoscano molto bene sia i meccanismi difensivi della mammella che le potenzialità offerte dalla selezione genetica e genomica, la prudenza è forse la scelta migliore. L’adozione su vasta scala della conta differenziale delle cellule somatiche può offrire ai genetisti un’arma più preziosa e sofisticata per selezionare bovine naturalmente più resistenti alle mastiti che non necessariamente sono quelle che hanno le cellule somatiche del latte complessivamente più basse.