Il latte è un alimento liquido estremamente ricco di nutrienti, composto da acqua, grassi, proteine, carboidrati, minerali e vitamine, che viene secreto dalle ghiandole mammarie dei mammiferi per nutrire la prole, e che rappresenta la soluzione evolutiva che assicura la sopravvivenza di migliaia di specie animali.

Nel genoma umano sono stati evidenziati segnali di pressione selettiva positiva sulla mutazione che mantiene attiva la lattasi anche in età adulta. Tali segnali evolutivi, che sono strettamente connessi con la domesticazione del bestiame e con la pratica della mungitura, sottolineano il vantaggio evolutivo insito nella capacità di digerire il latte durante l’intero arco della vita (e non solo durante l’infanzia, come avviene nelle altre specie animali). Dopo la domesticazione, le specie animali allevate per la produzione di latte sono state selezionate ed allevate in modo da incentivarne le caratteristiche produttive, anche in funzione della destinazione del latte che producevano. L’attitudine delle vacche a produrre grandi quantità di latte e adattarsi a condizioni ambientali disparate ne hanno permesso l’esponenziale sviluppo in quasi tutti i sistemi zootecnici del pianeta, fino al punto di divenire la specie di riferimento per la produzione di latte e derivati a livello mondiale. Per questa ragione, il termine “latte” si applica prioritariamente a quello di matrice bovina, mentre un aggettivo che ne specifichi l’origine deve sempre essere utilizzato per quello ottenuto da altre specie animali.

Oggi, il consumo di latte e derivati è divenuto normale nella maggior parte delle società moderne. Nell’odierno sistema lattiero-caseario, la qualità del latte è attestata prevalentemente a livello delle aziende conferenti ad opera delle latterie che ritirano il prodotto. I requisiti minimi da rispettare per qualsiasi azienda conferente sono quelli relativi alla qualità igienico sanitaria del prodotto ed all’assenza di composti indesiderati, in grado di influenzare negativamente le proprietà tecnologiche del latte (es. composti tossici, residui di antibiotici, batteri dannosi, acqua). Soddisfatti tali requisiti, il pagamento del latte alla stalla viene poi aggiustato in base a sistemi di bonus e penalità calcolati in funzione del contenuto di alcune componenti specifiche, che hanno un ruolo centrale nell’influenzare le caratteristiche del latte (es. resa casearia, caratteristiche reologiche, gusto e aroma). Accanto ai componenti considerati dai tradizionali sistemi di pagamento, il latte contiene minerali, vitamine ed una moltitudine di altri composti, per i quali è stato ampiamente riconosciuto un ruolo nell’influenzare la salute umana e le caratteristiche tecnologiche del latte. Inoltre, l’attenzione dell’opinione pubblica alle problematiche relative al benessere animale ed all’impatto ambientale delle produzioni zootecniche è cresciuta enormemente negli ultimi anni, imponendo una revisione del concetto di qualità latte che vada al di là dei parametri relativi alla composizione. Ciononostante, tali parametri emergenti di qualità del latte non vengono attualmente considerati dai sistemi di pagamento vigenti.

Promuovere questi nuovi aspetti di qualità del latte significa incentivare l’applicazione di un approccio altamente dinamico da parte delle aziende agricole produttrici, che abbracci scelte gestionali, relative al razionamento degli animali ed alle scelte genetiche. Tuttavia, lo sforzo degli allevatori di allineare le strategie produttive ai nuovi parametri di qualità imposti dal mercato può trovare giustificazione solo se adeguatamente remunerato da parte delle ditte trasformatrici. Questa review ha preso in esame i principali aspetti di qualità attribuiti al latte bovino, considerando articoli pubblicati su riviste peer-reviewed, ed esplorando le ragioni alla base della revisione del concetto di qualità latte. Sono stati presi in esame solo gli aspetti implementabili con interventi a livello della stalla produttrice, mentre quelli relativi ai trattamenti tecnologici del latte attuati dal momento del ritiro a quello del consumo finale non sono stati considerati. Lo scopo del lavoro è di incoraggiare gli stakeholders del sistema lattiero-caseario a sviluppare sistemi di pagamento che tengano conto dei parametri emergenti di qualità, in modo da incentivare la diffusione delle strategie gestionali atte a perseguirli nelle aziende produttrici.

Sicurezza

La sicurezza è il primo cardine del concetto di qualità del latte. Fornire un prodotto che sia sicuro e salutare per il consumatore finale e che non contenga sostanze dannose per i processi tecnologici che avvengono lungo la filiera lattiero-casearia è il requisito primario per ogni azienda zootecnica. Effetti negativi sulla salute umana sono stati riportati per diversi inquinanti del latte, classificabili come biotici (carica batterica) ed abiotici. La carica di contaminanti abiotici del latte è il risultato di precedenti contaminazioni della ghiandola mammaria, dell’ambiente oppure degli alimenti offerti alle bovine. Monitorare il rischio di una contaminazione del latte ad opera di questi agenti è rimandato alle autorità internazionali sulla sicurezza alimentare. Il monitoraggio di altre classi di contaminanti è demandato alle industrie lattiero-casearie, in quanto le sostanze hanno effetti meno dannosi sulla salute umana oppure hanno effetti negativi legati prevalentemente alla fase di conservazione e lavorazione del latte.

Il rischio di contaminazione è controllato indirettamente attraverso il monitoraggio della conta delle cellule somatiche del latte (SCC), che riflettono l’attività dei leucociti nella ghiandola mammaria, fungendo da indicatore per le mastiti. Oltre agli effetti negativi legati alla produzione di tossine batteriche, anche i metaboliti prodotti dai leucociti attivati hanno effetti negativi sulle caratteristiche del latte. Le proteasi e lipasi termostabili (plasmina e lipoproteina lipasi) rilasciate dai leucociti attivati hanno deprimono la coagulazione del latte, causano degradazione delle caseine e del grasso durante la fase di stoccaggio e producono sapori sgraditi nel prodotto finito. Inoltre, le attività dei leucociti che avvengono in mammella aumentano la permeabilità dell’epitelio mammario, determinando un aumento degli scambi di metaboliti tra sangue e lume mammario secondo il gradiente di concentrazione. Questo determina un aumento degli elettroliti ed una diminuzione della concentrazione di lattosio nel latte, e queste alterazioni possono influenzare la resa casearia. Quindi, soglie di SCC sono comunemente incluse in tutti i sistemi di pagamento basati sulla qualità adottati nel mondo.

Altri contaminanti sono le micotossine, prodotte dai funghi durante il ciclo vegetativo delle piante. Questi composti si accumulano negli alimenti, influenzando negativamente la salute animale ed alterando diverse funzioni metaboliche quando incluse nelle razioni zootecniche ad alte concentrazioni. Gran parte delle micotossine rappresentano un fattore di rischio marginale per gli aspetti relativi alla qualità del latte, poiché inattivate dai batteri ruminali. L’eccezione principale è rappresentata dall’aflatossina B1, una micotossina prodotta da Aspergillus flavus in diversi cereali. Nel rumine, l’aflatossina B1 è convertita ad aflatossina M1 da parte dei batteri, e quest’ultima è in grado di accumularsi nel latte. Diversi effetti negativi sulla salute umana sono attribuiti ai metaboliti dell’aflatossina, e soglie di sicurezza variabili tra 0.05 a 0.5 ppb sono impiegate in tutto il mondo per la loro concentrazione nel latte.

Altri contaminanti che sono monitorati routinariamente dall’ industria lattiero casearia sono i residui di farmaci (in prima battuta antibiotici). Questi costituiscono un rischio per la salute umana per la potenziale selezione di ceppi batterici resistenti, anche se la principale ragione del controllo operato dall’ industria lattiero-casearia è l’effetto inibitorio sui ceppi batterici impiegati durante il processo di caseificazione (soprattutto i Lattobacilli) ad opera di questi residui. Nella percezione del consumatore, termini come “naturale” e “ottenuto senza l’uso di antibiotici” stanno assumendo un’importanza fondamentale, ed il latte prodotto secondo il metodo biologico viene spesso percepito come quello in grado di offrire le maggiori garanzie sotto questi punti di vista. Questa percezione è supportata dalle rigide restrizioni sull’uso degli antibiotici che sono imposte dal disciplinare biologico. Tuttavia, tali limitazioni operate in regime biologico non si traducono in differenze apprezzabili nella concentrazione di residui di antibiotici rispetto al latte ottenuto in regime convenzionale. Infatti, la legislazione che regola l’uso responsabile dei medicinali veterinari in Europa (Regolamento EU 2019/6), così come gli analoghi regolamenti in vigore in molti altri paesi del mondo, regolano la prescrizione e le modalità di impiego dei prodotti, ivi inclusa l’osservazione di adeguati periodi di sospensione per scongiurare residualità. La corretta applicazione di queste pratiche nei sistemi convenzionali fa sì che la certificazione biologica non fornisca alcuna garanzia aggiuntiva della salubrità del latte relativamente al rischio di contaminazione con antibiotici.

Un altro importante fattore considerato dall’industria casearia in diversi paesi è la contaminazione del latte con sostanze potenzialmente dannose per il processo di maturazione e stagionatura dei formaggi. Tra queste sono incluse le spore batteriche, che derivano soprattutto da una contaminazione degli alimenti forniti alle bovine da parte di batteri sporigeni (i.e., Bacillus e Clostridium, legati agli alimenti insilati e responsabili del gonfiore tardivo delle forme).

Qualità e composizione del latte: aspetti classici e nuovi parametri

I parametri di composizione del latte considerati dai sistemi di pagamento convenzionali includono la concentrazione di grasso, proteine, lattosio e caseine. Grasso, proteine e lattosio determinano la concentrazione energetica del latte (attorno a 63 Kcal/100 g). Inoltre, il grasso e la caseina determinano la resa casearia del latte. Il formaggio è un reticolo di paracaseinato di calcio che intrappola al suo interno i globuli di grasso ed una parte della fase solubile del latte. La resa in formaggio dipende da titoli di grasso e proteine totali, ma anche dal rapporto tra i due. Cagliate ottenute da latte con alto rapporto proteine:grasso contengono meno grasso e maggiori concentrazioni di proteine, calcio e fosforo. Al contrario, un latte con basso rapporto proteine:grasso origina cagliate con bassi livelli di umidità a causa dell’alto contenuto di grasso. Quindi, le cagliate ottenute da latte con basso rapporto proteine:grasso vanno incontro ad una minore sineresi (siero che viene perso durante la fase di pressatura) rispetto a quelle ottenute da latte con alto rapporto proteine:grasso. Nonostante questi parametri “classici” rivestano una grande importanza nel definire il concetto di qualità, diversi altri composti hanno importanti implicazioni sulla salute del consumatore, sulle proprietà tecnologiche e sul gusto del latte, e sono per questo considerati parametri di qualità emergenti.

Il grasso è il componente che gioca il ruolo più importante nel determinare il contenuto energetico del latte, oltre a veicolare diverse sostanze lipofile che influenzano, sia positivamente che negativamente, la salute umana (es. vitamine liposolubili ed alcuni contaminanti). Per queste ragioni, il grasso totale è già considerato dai principali sistemi di pagamento basati sulla qualità adottati in tutto il mondo. Nella dieta umana, il grasso del latte rappresenta una fonte di rilievo per diversi acidi grassi (FA), molti dei quali riconosciuti per le loro proprietà bioattive sulla salute umana, sulla shelf-life del prodotto e sulla risposta alla stagionatura dei formaggi. Inoltre, diversi FA hanno un ruolo primario nel determinare sapore e aroma dei prodotti caseari, essendo associati alla produzione di diversi composti aromatici che sono contenuti nel latte fresco, oppure generati a seguito di processi di ossidazione che hanno luogo durante i trattamenti tecnologici cui è soggetto il latte alimentare, oppure durante la stagionatura dei formaggi. Tra i FA saturi (SFA), quelli contenuti in maggiore quantità (C12:0, C14:0 e C16:0) hanno potenziali effetti aterogeni e trombogenici sulla salute umana. Al contrario, il C18:0 non sembra avere alcun effetto rilevante, mentre altri SFA a corta catena (es., C4:0) hanno un effetto positivo nella prevenzione del rischio coronarico. Pertanto, l’effetto degli SFA del latte sul rischio di malattie cardiovascolari è tutt’ora un argomento dibattuto, poiché le differenze nel profilo acidico possono determinare risposte differenti. Tra i FA insaturi (UFA), l’acido oleico (C18:1) rappresenta il principale monoinsaturo (MUFA), mentre tra i polinsaturi (PUFA) il linoleico (LA-C18:2) è il principale omega-6, e l’alfa linolenico (ALA-C18:3) il principale omega-3. Arricchire la frazione insatura del profilo acidico potrebbe attenuare gli effetti negativi attribuiti ai SFA. Oltre alle implicazioni per la salute del consumatore, ridurre il rapporto SFA/UFA nel latte ha il potenziale di modificare la consistenza del formaggio, abbassando il punto di fusione e favorendo la migrazione del grasso in prossimità della crosta durante la fase di pressatura. Nel latte bovino, questo dipende principalmente dal rapporto C18:1/C16:0, poiché questi rappresentano i principali SFA e UFA, a cui si deve un abbassamento o un aumento del punto di fusione in funzione dei rispettivi quantitativi. Tra gli UFA, aumentare il contenuto di PUFA è legato ai maggiori effetti positivi sulla salute umana. Tra i PUFA sono infatti annoverati gli isomeri dell’acido linoleico coniugato (CLA), un termine generico che racchiude diversi composti. Latte e derivati sono le principali fonti di CLA nella dieta umana, in particolare per il contenuto di acido rumenico (che rappresenta il 90% dei CLA del latte) e di trans 10, cis 12 C18:2. I CLA hanno effetti positivi sul sistema immunitario e sulla regolazione del peso corporeo, anche se l’effetto finale sul consumatore dipende dall’ abbondanza di ciascun isomero presente nel latte. Oltre ai CLA, altri PUFA con un ruolo fondamentale per la salute umana sono i FA essenziali di tipo omega 6 e omega 3. Nonostante le raccomandazioni vigenti per la prevenzione del rischio cardiovascolare suggeriscano di mantenere un rapporto omega-6/omega-3 della dieta tra 2.5 e 4:1, i valori medi si aggirano tra 15 e 16.7:1. Mediamente, il rapporto omega 6/omega 3 del latte è di 6:1, ed abbassare tale valore (e quindi il rapporto LA/ALA) può determinare effetti positivi per la salute del consumatore. Infatti, PUFA a lunga catena (es., acidi eicosapentaenoico – EPA – e docosaesanoico – DHA), che sono essenziali per la salute umana, possono essere sintetizzati nell’organismo umano a partire dall’ allungamento dell’ALA mediante Δ5 e Δ6 desaturasi, anche se questa via metabolica ha una bassa efficienza negli esseri umani adulti. Tratti individuali legati alla bovina di provenienza (es., stadio di lattazione, incidenza di problemi metabolici) e diverse strategie gestionali (es., scelte genetiche ed alimentazione) possono influenzare in maniera marcata il profilo acidico del grasso, suggerendo l’introduzione di questo indicatore tra gli indici emergenti di qualità del latte di cui tenere conto nei sistemi di pagamento.

Le proteine totali includono le caseine e le sieroproteine che, insieme, rivestono grande rilevanza per il valore nutrizionale del latte. Queste forniscono tutti gli amminoacidi essenziali per la dieta umana, eccetto la cisteina (anche se tale amminoacido è annoverato tra gli essenziali solo in alcune fasi pato-fisiologiche). La percentuale di caseine ha un ruolo primario nel determinare la resa durante la caseificazione. Quindi, proteina totale e contenuto in caseina sono considerate da tutti gli attuali sistemi di pagamento del latte in base alla qualità. Al contrario, la composizione della frazione caseinica e delle sieroproteine è scarsamente considerata tra gli indicatori di qualità del latte, nonostante abbia un ruolo riconosciuto nell’influenzare la salute umana, il sapore del latte e la sua affinità alla trasformazione. La composizione delle caseine influenza la resa in formaggio: in questo ambito, l’effetto positivo più marcato è giocato dal contenuto di β, κ, e αs1 caseine della caseina totale. La β-caseina migliora la formazione della cagliata, mentre κ e αs1-caseina aumentano l’affinità al caglio della matrice caseinica, migliorando l’inclusione dei componenti del latte nella cagliata e facilitandone il recupero dal siero. Diverse componenti delle sieroproteine hanno un effetto benefico sulla salute umana, dettato da proprietà immunitarie (i.e., lattoferrina, lisozima, lactoperossidasi, immunoglobuline, proteoso peptone) ed antiossidanti (i.e. sulfidril ossidasi e superossido dismutasi). Ad esse sono anche attribuiti effetti sulla resa casearia, benché marginali. Inoltre, la β-lattoglobulina può influenzare negativamente il sapore e l’aroma del latte durante la conservazione a causa degli elevati contenuti di amminoacidi solforati. Gli impatti negativi della β-lattoglobulina su resa casearia e conservazione del latte possono essere attenuati selezionando animali con una variante genetica di questa proteina (β-lattoglobulina B), poiché tale variante codifica per un ridotto contenuto di β-lattoglobulina nelle proteine del siero. L’abbondanza relativa delle componenti della frazione caseinica e delle sieroproteine dipende principalmente dalla razza allevata e criteri di selezione genetica adottati nella mandria, ma può essere influenzata marginalmente anche dallo stadio di lattazione degli animali. Pertanto, annoverare la composizione delle frazioni proteiche tra gli aspetti di qualità del latte potrebbe incoraggiare l’implementazione di questo aspetto tra quelli oggetto di seleziona genetica.

Oltre agli effetti ben documentati relativi alla composizione delle frazioni proteiche, un altro aspetto emergente che coinvolge sia caseine che sieroproteine è relativo alla generazione di peptidi bioattivi. Questi sono generati dalle proteine durante la digestione enzimatica che avviene nel tratto gastrointestinale, oppure a seguito della trasformazione metabolica operata dai batteri lattici (sia nel latte che nell’intestino umano). Molti peptidi hanno effetto positivo sulla salute umana: regolano la biodisponibilità di microelementi fungendo da carrier o chelanti, hanno proprietà antitrombotiche e antipertensive, effetti positivi sul sistema nervoso (peptidi oppioidi agonisti ed antagonisti) e sul sistema immunitario. Altri sono potenziali allergeni ed antigeni, generando reazioni immunitarie nei consumatori sensibili. L’esempio più rappresentativo è il peptide che si origina dalla digestione della β-caseina. Questa esiste in due varianti genetiche che differiscono per un AA presente in posizione 67 della catena peptidica: la variante A1 ha un AA istidina, mentre la variante A2 ha un AA prolina. Mentre, la prolina della variante A2 non è soggetta al distaccamento durante la digestione, l’istidina della variante A1 lo è, permettendo la formazione di corti frammenti oppioidi chiamati β-casomorfine (BCM), tra cui BCM-7. Questo peptide è stato associato a reazioni immunitarie avverse, aumentato rischio tumorale e peggiorata digestione del lattosio nei consumatori, nonostante questi temi restino oggetto di un acceso dibattito all’interno della comunità scientifica. Infatti, gli effetti attribuiti a molti peptidi bioattivi sono stati documentati a seguito di studi su modelli animali, e studi più approfonditi che ne documentino il mantenimento anche in soggetti umani sono richiesti per poter giustificare l’introduzione del pattern di peptidi bioattivi generati dalle frazioni proteiche tra gli aspetti di qualità del latte. Inoltre, modificare il pattern di peptidi agendo sulla composizione delle proteine del latte è un arduo compito da perseguire a causa della grande variabilità genetica che caratterizza le frazioni proteiche del latte e dei meccanismi legati alla produzione dei peptidi, che risentono di una forte componente individuale e scarsamente prevedibile.

La concentrazione di lattosio è correntemente monitorata dall’industria casearia, benché non venga inclusa in nessuno dei sistemi di pagamento basati sulla qualità. Il lattosio contribuisce nel determinare il contenuto energetico e nel conferire il sapore dolce al latte. Anche se rappresenta un’importante fonte energetica per l’uomo, può determinare effetti dannosi nei soggetti affetti da deficit dell’enzima lattasi. Nessuna pratica di allevamento può influire sul contenuto in lattosio, poiché la concentrazione di questo zucchero è abbastanza stabile nel latte di animali sani (4.4–5.6 g/100 g). Infatti, il lattosio è il principale componente che determina il volume di latte prodotto, grazie al suo potere osmotico. Per questo motivo, per fare fronte all’intolleranza al lattosio dei consumatori, l’unica soluzione rimane l’impiego di processi tecnologici atti all’ottenimento di latte delattosato. Il contenuto di lattosio, combinato con la concentrazione di altri componenti del latte, può essere utilizzato come indice di adulterazione (es., per riconoscere pratiche fraudolente come l’annacquamento) e, combinato con SCC e concentrazione di elettroliti, può servire come promettente indicatore per la salute mammaria della mandria.

I minerali non sono inclusi tra i parametri normalmente monitorati dall’industria lattiero-casearia, e la loro concentrazione non viene considerata in nessun sistema di pagamento per la qualità del latte. I minerali del latte hanno effetto sulla salute umana e condizionano la coagulazione del latte e la consistenza dei formaggi, oltre a determinare il retrogusto salato del latte. Latte e derivati sono fonti importanti per calcio e fosforo. L’assunzione costante ed equilibrata di questi minerali ha un ruolo centrale nello sviluppo osseo: durante la fase di crescita è correlata alla densità delle ossa e rappresenta il fattore limitante per il raggiungimento di una massa ossea ottimale, mentre negli individui adulti previene le fratture osteoporotiche. Sfortunatamente, nessuna pratica di allevamento può essere implementata per aumentare la concentrazione di questi minerali nel latte. Gli elettroliti (Na, K, Cl) possono essere utilizzati come indicatori della salute mammaria e migliorare la diagnosi precoce di mastiti subcliniche, prevenendo l’alterazione di altri parametri a seguito dell’instaurarsi del fenomeno clinico. Inoltre, diversi microelementi presenti nel latte (i.e., Zn e Se) hanno ruoli benefici sulla salute del consumatore a causa della loro attività di cofattori enzimatici in diversi processi biochimici. Nell’uomo, apporti adeguati di questi oligoelementi riducono il rischio di cancro, problemi cardiovascolari ed alterazioni a carico del sistema nervoso. Benché il latte contribuisca in maniera limitata alla dose giornaliera consigliata per la maggior parte di questi minerali nella dieta umana, la concentrazione di oligoelementi rappresenta un importante parametro da includere nel concetto di qualità del latte. Nel caso del Se, la concentrazione di questo oligoelemento nel latte dipende fortemente dalle strategie alimentari adottate negli allevamenti, mentre Zn e I sono influenzati da diverse pratiche di allevamento: dieta, andamento stagionale, sistema di allevamento e, per lo I, anche le pratiche di igienizzazione dei capezzoli adottate durante le operazioni di mungitura. Pertanto, includere la concentrazione di questi minerali tra i parametri di qualità riconosciuti potrebbe promuovere lo sviluppo di pratiche virtuose che ne migliorino il contenuto nel latte.

La concentrazione di vitamine del latte è stata scarsamente considerata tra i fattori di qualità fino ad oggi, nonostante questi composti rivestano un ruolo benefico sulla salute umana. Il latte processato contiene bassi quantitativi di vitamine E, K, C e D, che si degradano durante i processi tecnologici, e la loro concentrazione non può essere aumentata da nessuna pratica zootecnica. Viceversa, latte e derivati sono una fonte importante della vitamina liposolubile A e, tra le vitamine idrosolubili, di tutte le vitamine del complesso B. Le vitamine del complesso B sono sintetizzate soprattutto dai batteri ruminali, e pertanto il latte ottenuto da ruminanti è una fonte essenziale di queste vitamine per l’uomo. Diverse pratiche zootecniche (soprattutto nutrizionali), ma anche fattori esterni, come la stagione ed i processi fermentativi ruminali individualmente legati a ciascun animale, possono influire pesantemente sul contenuto di vitamina A e del complesso B nel latte, suggerendo questi parametri come importanti aspetti da considerare in un concetto di qualità del latte.

Il gusto è definito come la risultante di sapore e fragranza di un alimento. Il gusto del latte percepito dal consumatore dipende da composti che contribuiscono direttamente (lattosio, minerali) o che veicolano sapore e fragranza (grasso, albumina). Inoltre, un grande contributo al gusto è dato da diverse sostanze aromatiche volatili, la cui concentrazione dipende principalmente dal regime alimentare degli animali (essenze erbacee foraggere e componenti il pascolo). Le aldeidi sono le principali responsabili della fragranza del latte: da 10 a 40 ppb di questi composti forniscono note erbacee, ma a concentrazioni maggiori possono determinare aromi sgraditi e penetranti. Gli esteri conferiscono fragranze fruttate al latte fresco, anche se vengono distrutti dai processi termici ed hanno importanza secondaria nel latte pastorizzato e nei derivati. Infine, un importante composto solforato che rappresenta il 25% della frazione volatile del latte bovino è il dimetil sulfone, che conferisce una gradevole fragranza calda e dolciastra che richiama l’aroma del cuoio. Altre sostanze volatili (alcol, chetoni) hanno un ruolo secondario nel determinare la fragranza del latte fresco in condizioni normali, ma possono divenire importanti nel latte processato e nei derivati. Altri composti, importanti soprattutto per latte ottenuto da bovine allevate al pascolo, sono quelli che originano dai metabolismi secondari delle piante (terpeni). Nonostante il profilo aromatico del latte dipenda prevalentemente dalle pratiche alimentari adottate dall’azienda conferente, questo non è mai stato incluso tra i parametri di qualità monitorati dall’industria lattiero-casearia.

Aspetti di qualità indipendenti dalla composizione del latte

Recentemente, i consumatori e gli stakeholders dell’industria lattiero-casearia hanno focalizzato l’attenzione su aspetti della qualità del latte che vanno al di là dei tratti relativi alla composizione. Questi aspetti sono guidati dalla percezione dell’opinione pubblica sull’impatto ambientale e sugli aspetti etici correlati all’allevamento animale ed ai sistemi di produzione del latte (benessere animale).

La preoccupazione sull’impatto ambientale causato dalla catena di produzione del latte è cresciuta enormemente negli ultimi anni. Le fermentazioni ruminali che accompagnano la vita produttiva delle bovine da latte sono legate alla produzione di diversi composti con potenziale climalterante una volta rilasciati in atmosfera (metano ed anidride carbonica). Altri fattori derivanti dal processo produttivo del latte che hanno un potenziale effetto negativo sull’ambiente sono i reflui zootecnici. Diversi interventi possono essere implementati dalle aziende zootecniche per mitigare la produzione di gas climalteranti durante le fermentazioni ruminali, e per mitigare i rischi ambientali relativi alla gestione dei reflui.

Accanto a questi aspetti legati essenzialmente alla fisiologia degli animali allevati ed alle strategie di gestione dei reflui, l’impronta ecologica della catena di produzione del latte è influenzata anche da aspetti agronomici e logistici relativi alla coltivazione, alla movimentazione ed al trasporto degli alimenti zootecnici. Il latte prodotto nei sistemi estensivi a regime biologico è generalmente percepito dai consumatori come quello a più basso impatto ambientale, mentre quello ottenuto in condizioni intensive è spesso demonizzato a causa della maggior richiesta di input esterni al processo produttivo. Questo non è da intendersi come una verità assoluta, e l’impatto ambientale di sistemi di allevamento tradizionali e biologici non può essere generalizzato, poiché dipende da diversi aspetti (i.e., posizione delle aziende, ambiente, razze allevate, disponibilità di alimenti, capacità imprenditoriali degli allevatori, etc.). Per considerare tutti questi aspetti, lo standard di riferimento per la quantificazione dell’impatto ambientale di una realtà produttiva è l’approccio del life cycle assessment (LCA) applicato all’intero processo con riferimento ad una precisa variabile (consumo di acqua, emissioni di gas, consumo di suolo, etc.). Attuare un approccio LCA standardizzato a livello delle singole aziende produttrici ed includerne il risultato tra gli aspetti di qualità del latte prodotto porrebbe le basi per incentivare l’adozione di pratiche di mitigazione da parte degli allevatori, finalizzate ad abbattere l’impatto ambientale del processo produttivo. Sfortunatamente, ad oggi non esistono approcci LCA che accorpino tutti gli aspetti relativi alla sostenibilità ambientale del processo produttivo, ed “oggettivizzare” la percezione del consumatore dei vari sistemi di allevamento resta una visione utopistica. Inoltre, l’approccio LCA non considera il ruolo unico rivestito dai ruminanti come fonte di proteine ad alto valore biologico per la dieta umana. I ruminanti sono simbioticamente legati ad un ecosistema batterico che abita i loro prestomaci, e che è capace di trasformare carboidrati indigeribili per l’uomo in acidi grassi volatili, che vengono utilizzati dal ruminante come fonte energetica. Le vie biosintetiche ed i processi di transaminazione mediati dall’ecosistema ruminale migliorano il valore biologico delle proteine vegetali ingerite dal ruminante, arricchendole con AA essenziali per l’uomo. L’immenso valore di questa peculiare caratteristica dei ruminanti non può essere colto dall’approccio LCA classico, e continua a dipendere dalla percezione individuale del consumatore. A tale riguardo, l’aumentato consumo di bevande sostitutive del latte ottenute da fonti vegetali (i.e., riso o soia) è spesso motivata dalla percezione di alcuni consumatori che utilizzando queste essenze (correntemente impiegate come alimenti zootecnici) come alimenti per uso umano, possa ridurre l’impronta ecologica della produzione del latte. Una strategia recentemente proposta dalla FAO che consente una valutazione oggettiva dell’impronta ambientale di due prodotti così diversi (latte vs. bevande di origine vegetale) è quella basata sull’approccio LCA applicato ai nutrienti (nLCA), la quale mette in relazione l’impatto del processo al valore nutrizionale del prodotto. Pertanto, includere LCA e nLCA tra i parametri di qualità del latte potrebbe permettere una valutazione obiettiva dell’impronta ecologica del processo produttivo, dotando il consumatore di una visione più trasparente su questi temi.

Il benessere animale è un altro tema di forte dibattito nel panorama mondiale legato alle produzioni animali. Il crescente interesse su questo aspetto rende ineluttabile la definizione di un metodo validato per la valutazione del benessere animale negli allevamenti, e di includerne il risultato tra i parametri di qualità del latte. Nonostante questa necessità sia condivisa da allevatori, consumatori e da tutti gli stakeholders dell’industria lattiero-casearia, i metodi per la misurazione del benessere animale rimangono un tema di forte discussione nell’ambito della comunità scientifica. Un consenso crescente sta emergendo su due punti chiave: 1) il benessere animale comprende sia aspetti relativi alla sfera fisica che psicologica, e 2) una valutazione completa del benessere animale richiede un approccio che consideri aspetti relativi sia alla biologia che all’etologia. Benché una definizione universalmente riconosciuta di benessere animale resti un’utopia, le “Cinque libertà” coniate dal Farm Animal Welfare Council hanno incontrato un vasto consenso nell’ambito scientifico. Queste includono:

  1. la libertà da fame e sete,
  2. dal disconfort,
  3. dal dolore, dalle ferite e dalle malattie,
  4. dalla paura e dallo stress,
  5. la libertà di esprimere il comportamento naturale.

Successivamente sono stati introdotti altri aspetti, come la necessità di fornire agli animali allevati opportunità per fare esperienze positive, andando così oltre il concetto di mera eliminazione della sofferenza. Oggi, i metodi disponibili per la valutazione del benessere degli animali da allevamento si basano su punteggi attribuiti a diversi indicatori all’interno di un’azienda (i.e., condizioni ambientali, pratiche gestionali adottate, sistemi di allevamento) che sono stati associati allo stato di benessere degli animali. In genere, un punteggio complessivo per l’allevamento oggetto di valutazione si calcola in base al punteggio di ciascun indicatore, nonostante non ci sia consenso sul peso relativo di ciascun indicatore nel contribuire al punteggio finale. La più grande limitazione che affligge questi sistemi di valutazione è la mancanza di una relazione validata tra gli indicatori utilizzati ed il reale stato di benessere degli animali, poiché nessun indicatore diretto dello stato di benessere è stato ancora definito. Pertanto, questo rimane un tema aperto, e maggiori ricerche in questo ambito sono essenziali per poter includere lo stato di benessere animale tra i parametri di qualità del latte.

Conclusioni

Oggi, il concetto di qualità del latte abbraccia aspetti emergenti relativi alla composizione e si estende ad aspetti etici relativi alla sostenibilità dell’intero sistema produttivo.

La determinazione di diversi parametri presi in esame nell’ambito di questa review è ancora limitata da ragioni di carattere metodologico, poiché implicanti diverse analisi, molte delle quali basate su metodiche complesse. Pertanto, un approccio standardizzato per integrare tutti questi aspetti in una valutazione integrale di qualità del latte è ancora prematuro da ipotizzare. Ciononostante, solo quando questi aspetti verranno considerati come parametri di qualità condivisi da tutti gli stakeholders della filiera lattiero-casearia (produttori, trasformatori e consumatori) sarà possibile accelerarne l’implementazione nel processo produttivo, con tutti i benefici da essi derivanti per il settore caseario del futuro.

La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico pubblicato dalla rivista “Foods”: Mezzetti, M., M.M. Passamonti, M. Dall’Asta, G. Bertoni, E. Trevisi, and P. Ajmone Marsan. 2024. Emerging Parameters Justifying a Revised Quality Concept for Cow Milk. Foods 13:1650. doi:10.3390/foods13111650.

Autore

Matteo Mezzetti,

sotto la supervisione del Gruppo Editoriale ASPA:
Giuseppe Conte, Alberto Stanislao Atzori, Fabio Correddu, Luca Cattaneo, Gabriele Rocchetti, Antonio Natalello, Sara Pegolo, Manuel Scerra, Aristide Maggiolino