Conosco i formaggi di Gianni Chiodetti da molto tempo. Non c’è stata una sola volta in cui, nell’assaggiare qualcosa di nuovo, non abbia pensato: “Diamine, questo caseificio non ne sbaglia una!”. Anche quando ero ancora studentessa universitaria, in una visita al caseificio, non ho potuto fare a meno di un po’ di “spese pazze” nel negozio aziendale. I formaggi di Gianni Chiodetti si possono riassumere in tre parole chiave: cura, ricerca, creatività, ed è per questo motivo che ho deciso di tornare alla carica dopo aver notato il lancio sui social di una promozione per una linea “edizione limitata” di pecorini extra stagionati. Quanto stagionati? Tanto. Parliamo di 24, 32 e 36 mesi suonati di stagionatura, un po’ come succede per le nostre amiche forme di Parmigiano Reggiano DOP. Non potevamo dunque escludere queste chicche dalle degustazioni in abbinamento di Domus Casei. Ma prima, è doveroso spendere qualche parola per presentare l’azienda.

Formaggi Chiodetti è un caseificio situato a Civita Castellana, in provincia di Viterbo, che ogni giorno trasforma 6 mila litri di latte, di pecora e di vacca, raccolto dagli allevamenti della Tuscia Viterbese. È importante la selezione qualitativa della materia prima, che avviene puntualmente. Il titolare, Gianni Chiodetti, sperimenta continuamente nuove soluzioni produttive, lavorando con tecnici esperti e facendo una ricerca approfondita di enzimi, fermenti e ogni fattore che possa dare valore aggiunto ai suoi formaggi. L’obiettivo è permettere ai suoi clienti, ristoratori e privati, di portare a tavola la tradizione della Tuscia e la sperimentazione nascoste dietro ai formaggi e ai latticini che produce. D’altronde, la vena casearia è ben legata ai Chiodetti, discendenti di pastori abruzzesi che portavano le pecore in transumanza proprio in Tuscia, dove alla fine si stabilirono dedicandosi all’allevamento, all’agricoltura e all’attività di un piccolo caseificio, sostenendo la vendita del prodotto in azienda, o nei mercatini settimanali della zona. Alla fine degli anni ’90 Gianni prende la guida della produzione, ed è in quel momento che la sperimentazione, la ricerca e la trasformazione prendono forma… o dovremmo dire forme?

Torniamo all’abbinamento. I formaggi a disposizione erano tre pecorini di stagionature molto lunghe. In sequenza, abbiamo assaggiato un Pecorino Falisco di 24 mesi di stagionatura, un Pecorino Fiore della Tuscia di 32 mesi e la versione di 36 mesi del Pecorino Falisco. Per quanto riguarda il processo produttivo, vi sono alcuni piccoli interessanti accorgimenti adottati: per il Falisco, la rottura della cagliata è avvenuta per ottenere pezzi della dimensione di un chicco di mais. La cagliata è stata sottoposta a una leggera cottura della pasta, che contribuirà ancor più alla formazione di quei cristalli (bellissimi) nella forma stagionata. La coagulazione avviene mediante caglio d’agnello, usato anche per il Pecorino Fiore della Tuscia. Per quest’ultimo, si procede a un taglio della cagliata a chicco di riso, il che comporta, rispetto a quanto succede per il Falisco, un diverso spurgo del siero anche nelle fasi successive, e non è prevista la cottura della pasta. Infine, il Falisco è inserito in forme apposite che ne danno la caratteristica increspatura da canestrato. Entrambe le tipologie portano il marchio collettivo Tuscia Viterbese.

Queste differenze nella gestione del processo produttivo si possono percepire nei formaggi finiti. Sicuramente, un aspetto comune a entrambe le tipologie è l’importante concentrazione di sapori dovuta alla stagionatura, che assume note più piccanti nella tipologia Pecorino Falisco, accompagnata dalla nota di cotto dovuta alla cottura della cagliata, e note più dolci nel Fiore della Tuscia. La concentrazione è comunque chiara anche al naso: l’impronta tipica del formaggio da latte ovino è evidente ma piacevolmente smussata in tutte e tre le stagionature. Si percepiscono profumi di frutta secca tostata, nocciole in particolare, nei due Falisco, mentre il profumo del Fiore della Tuscia è leggermente ammandorlato. Ormai non ci sono più sorprese, dovremmo poter trovare qualcosa di incredibile anche al gusto: una struttura sostenuta, una piacevole granulosità in tutte e tre le forme. Sul Falisco 24 mesi abbiamo ancora un po’ di grassezza, evoluta in maggiore spinta piccante nel 36 mesi. Anche il Fiore della Tuscia di 32 mesi ci regala ancora un po’ di grasso, ma si porta dietro anche un tono minimamente astringente. Gli indizi per l’abbinamento con i vini sono quindi questi: ci servono tre rossi, di struttura e complessità crescenti per accompagnare la stagionatura che concentra i sapori, di morbidezza ed eleganza per contrastare il piccante, l’astrigente e la sapidità progressiva. Anche al naso dovremmo avere qualcosa che sia ricco, che non sovrasti l’importanza aromatica dei tre pecorini, ma che sia persistente, tanto al naso quanto in bocca. Questa volta abbiamo tentato una “fuga dalla regione“, per vedere se vini che reggono bene di fronte ai formaggi stagionati del nord, come i vini tipici della Valtellina, potevano adattarsi anche ai pecorini di Chiodetti. Per il 36 mesi, invece, abbiamo scelto un vino da vitigno autoctono umbro, il sagrantino, nella versione passito dolce. Ed ecco i tre prodigi enologici, in ordine di abbinamento con i pecorini 24 mesi, 32 mesi e 36 mesi:

  • Sciur 2013 Valtellina Superiore DOCG di Nino Negri: dal colore rosso rubino intenso con riflessi sul granato, un vino pulito e ancora fresco. Al naso, regala note di rosa appassita, viola e lamponi, con di cacao e l’eucalipto che arrivano con più calma al naso. Ha una struttura importante ma ben contenuta, ed ha un’acidità ideale per la leggera grassezza percepita nel Pecorino Falisco di 24 mesi. La morbidezza del vino, il tannino vellutato e l’alcol sostenuto ma mai esagerato (13,5% v/v) nel complesso si amalgamano bene con le sfaccettature del formaggio. Qualche informazione su come è ottenuto questo vino: fa una fermentazione con macerazione di 12 giorni, affinamento di 16 mesi in legno (botticelle da 750 L). Il periodo di affinamento minimo previsto da disciplinare è 24 mesi, di cui 12 almeno in legno. Il vitigno utilizzato è nebbiolo, nella sua declinazione valtellinese.
  • Sforzato di Valtellina DOCG 2012 Sforzato dell’Orco di Rivetti & Lauro: rimaniamo in Valtellina per l’abbinamento con Fiore della Tuscia 32 mesi. Cresce la stagionatura, la complessità di profumi, la concentrazione di sapori del pecorino: ci serve un vino che, per esigenze di produzione, come da disciplinare, vada a “concentrare” la potenza del vitigno. Abbiamo optato per uno Sforzato di Valtellina DOCG, che prevede l’appassimento delle uve per dare un vino secco. La scelta ricade su quello della cantina Rivetti & Lauro, frutto di una selezione di uve Nebbiolo (90%) e altri vitigni idonei alla coltivazione in Regione Lombardia le cui uve, subito dopo la vendemmia, vengono poste per circa tre mesi su graticci in locali asciutti e ben ventilati (fruttai), per arrivare ad una perdita in peso del 40%, con una concentrazione in succhi ed uno sviluppo do fragranza aromatica intrigante. Seguono 20 mesi di invecchiamento ed affinamento in legno e bottiglia e solo a quel punto questo rosso con grado alcolico minimo 14% è pronto per la degustazione. L’abbinamento con il Fiore della Tuscia 32 mesi è stato quello più soddisfacente sotto tutti i punti di vista, senza sovrapposizioni di profumi e di sapori. L’acidità del vino, ancora vivida e ben equilibrata, è ideale per dare supporto alla pulizia della bocca dal grasso. La struttura del vino è ugualmente importante a quella del formaggio. Ma quello che entusiasma è che non c’è un ritorno drammatico dell’impronta di latte di pecora in bocca dopo aver bevuto il vino: chapeau!, tanto al Casaro quando al produttore di vino.
  • Montefalco Sagrantino DOCG Passito 2011 Il Gheppio: per il pecorino Falisco stagionato 36 mesi, abbiamo scelto un Sagrantino di Montefalco DOCG Passito, cantina il Gheppio, annata 2011. Perché? Perché con la versione 36 mesi note piccanti, leggera astringenza, sapidità sono arrivate a livelli tali da chiedere un po’ di dolcezza, oltre alla morbidezza, per contrastare l’imponenza con cui si insinua il formaggio sulle papille gustative. Un problema potrebbe essere rappresentato dal tannino, che tipicamente nel Montefalco DOCG risulta abbastanza ruvido: in questo passito è morbido e dà man forte per contenere la grassezza. Vediamo qualche informazione in più sul vino: 100% Sagrantino, vendemmiato a fine settembre con raccolta manuale e selezione delle uve, poste in appassimento per 10 settimane circa. Fermentazione con macerazione delle bucce per 20 giorni, e, dopo aver condotto la fermentazione malolattica, sosta 12 mesi in barriques di rovere. L’annata 2011 è finita in bottiglia a settembre 2014, dopo 30 mesi di affinamento. Al naso ha regalato note di frutta matura, marmellata di visciole e di frutti rossi, con aromi di vaniglia molto delicati. Al palato, abbiamo percepito un vino vellutato ed avvolgente, con un tannino perfettamente ammorbidito. La dolcezza contenuta ha bilanciato bene le parti “imponenti” del pecorino Falisco 36 mesi, donandoci una grande chiusura di sessione d’abbinamento.

 

 

Non possiamo che consigliarvi l’assaggio dei tre pecorini di Chiodetti. Ciò che vorremmo anche ricordarvi è che, oltre a questa edizione limitata, nata come una prova (e, senza ombra di dubbio, un successo), i pecorini Falisco e Fiore della Tuscia sono disponibili anche in stagionature meno prolungate. Quello che dovete fare è passare nella “gioielleria” Chiodetti, a Civita Castellana, dove trovate Gianni, perfetto manager delle relazioni con il pubblico oltre che impeccabile casaro, in compagnia dei suoi dipendenti. Ad una di loro va il “copyright” sul suggerimento del titolo: mentre recuperavamo i formaggi, ha esordito con le “50 sfumature di pecorino”. Noi abbiamo voluto porre l’accento sulle stagionature… che dire, tempo al tempo, farà del suo meglio soprattutto sui formaggi (e sul vino).

 

Foto e GIF a cura di Adriano Fantini.