Sulle pagine di Ruminantia abbiamo dato spesso spazio alle varie voci che partecipano al dibattito sul reale contributo dell’allevamento alle emissioni di gas serra e al cambiamento climatico. In questo contesto si inserisce l’opinione inviataci dal Dott. Israel Flamenbaum, esperto in Animal Science che da 40 anni si occupa di consulenze specialistiche negli allevamenti bovini di tutto il mondo, e che riportiamo integralmente di seguito.

 

La questione climatica è stata spesso in prima pagina negli ultimi tempi. Questo articolo è stato scritto nel corso della settimana della conferenza sul clima che si è svolta a Glasgow, in Scozia, con la partecipazione di molti leader mondiali e durante la quale è stata annunciata l’intenzione di eliminare completamente le emissioni di gas serra provenienti dalla combustione di combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) entro il 2050. Questo include l’industria lattiero-casearia globale. Nei titoli dei giornali non poche persone puntano il dito contro la produzione della carne e del latte in quanto le emissioni prodotte dai bovini, considerate gas ad effetto serra “violenti”, si uniscono ad altri gas serra (principalmente CO2), accumulandosi nell’atmosfera e riscaldando il pianeta in cui viviamo.

C’è un consenso tra gli scienziati che si occupano di ambiente di tutto il mondo sul fatto che il pianeta sia in una fase di riscaldamento. Ogni persona nel mondo è stata esposta tramite i media alla vista di crescenti estremi climatici, come inondazioni, siccità e ondate di caldo e freddo estremi. La questione principale su cui gli scienziati non sono d’accordo è se questo riscaldamento sia “prodotto dall’uomo” a seguito dell’aumento dell’uso di combustibili fossili nell’ambito della rivoluzione industriale avvenuta negli ultimi 150 anni, e, nel nostro caso, l’espansione dell’allevamento del bestiame e delle emissioni in atmosfera, o se sia parte di un ciclo di milioni di anni che si verifica in tutto il mondo, su cui l’uomo ha scarso effetto.

Vale la pena notare che la maggior parte degli scienziati mondiali ritiene che il riscaldamento globale sia correlato all’attività umana e questa posizione è stata adottata dalla maggior parte dei leader mondiali e da organizzazioni internazionali come l’ONU. Tuttavia, ci sono scienziati da Israele e da tutto il mondo che sostengono l’altra opinione, e supportano scientificamente questa posizione nelle loro conferenze e pubblicazioni. Recentemente ho partecipato ad una serie di conferenze tenute da scienziati appartenenti a quest’ultimo gruppo, principalmente membri del “Forum for Environmental Rationality” provenienti da Israele e scienziati di varie Università in tutto il mondo.

In questo articolo, vorrei esporre i lettori di questa rivista l'”altra opinione”, che per vari motivi non è portata all’attenzione dei media (che credo si siano già “schierati”). Questo perchè mi vedo ancora come parte di questo settore, ma soprattutto perché ritengo che siamo sotto attacco e dobbiamo adottare misure che potrebbero costare un sacco di soldi al settore e potrebbero persino essere dannose, mentre forse questi passaggi non sono necessari affatto.

Bene, iniziamo quindi ad affrontare l’argomento.

Innanzitutto alcuni fatti. Non c’è dibattito tra gli scienziati sul fatto che la terra si stia riscaldando. Le domande da porsi sono: quale livello raggiungerà questo riscaldamento nel prossimo futuro (un grado o cinque gradi)? Il riscaldamento è uniforme o diverso per tutte le regioni della terra? E soprattutto, cosa causa l’aumento? Sono le emissioni di gas ad effetto serra prodotte dall’uomo o è il risultato di cambiamenti ciclici della natura nel corso dei milioni di anni della sua esistenza? Le risposte a queste domande sono di fondamentale importanza per garantire l’esistenza degli esseri umani nel mondo e in questo, tra le altre cose, per il nostro settore.

Gli scienziati attribuiscono questo riscaldamento all’uomo, basandosi principalmente sul fatto che la concentrazione di CO2 nell’aria oggi raggiunge livelli che non sono mai stati misurati da decenni, e ritengono che questa continuerà a limitare l’emissione di calore dal globo nell’atmosfera. La tendenza al riscaldamento, quindi, continuerà e persino aumenterà. Gli scienziati appartenenti a questo gruppo non hanno prove scientifiche a supporto della loro affermazione, che si basa principalmente sulla negazione di tutte le altre possibilità. Negli scenari più pessimistici presentati dagli scienziati, la temperatura della Terra aumenterà di 6 gradi Celsius, rispetto al periodo precedente alla Rivoluzione Industriale (circa 150 anni fa), il che potrebbe portare a gravi minacce per l’umanità. Se questi scienziati hanno ragione e questo scenario regge, allora è necessario continuare, e implementare, i processi che il mondo sta intraprendendo già oggi, e investire tutto il necessario per sviluppare fonti di energia che non dipendano dalla combustione di combustibili fossili (in particolare solare ed eolico). Poiché queste fonti energetiche sono instabili, è necessario investire in una ricerca che consenta di conservarle per ore e giorni quando non sono disponibili. Dovrebbe essere chiaro che si tratta di un investimento enorme, denaro che i paesi dovrebbero prendere da altri obiettivi importanti. Per quanto riguarda il nostro settore (e il bestiame in generale), è possibile che ci sarà richiesto di ridurre, e forse fermare completamente, nel lungo periodo la crescita del numero di capi bovini e, nel breve, di investire ingenti somme di denaro per lo sviluppo di misure colturali e nutrizionali.

Tuttavia, se hanno ragione gli scienziati che attribuiscono il riscaldamento a un processo ciclico naturale, in cui l’uomo ha pochissima influenza, allora stiamo “puntando nella direzione sbagliata” e il prezioso denaro che il mondo intende investire nello sviluppo di fonti energetiche alternative può essere investito in welfare, salute e istruzione. Secondo gli scienziati che supportano questo punto di vista, il riscaldamento globale è parte di un ciclo che dipende dall’attività del sole e dalle sue interazioni con gli oceani, che costituiscono la maggior parte della superficie terrestre, portando a emissioni intermittenti di CO2 e all’adsorbimento tra loro e l’atmosfera. Nel corso di milioni di anni, il mondo si è riscaldato e raffreddato a causa di questa interazione. Siamo semplicemente in un periodo di riscaldamento dopo una lunga era glaciale, senza poterne prevedere l’intensità e la durata. Quello che sappiamo è che la flora e la fauna sulla terra sono sopravvissute a questi cambiamenti nel corso degli anni e si sono persino evolute in tutto il mondo. Il principale gas serra nell’atmosfera è l’acqua, mentre il resto dei gas serra e soprattutto la CO2 ne costituiscono meno del 5%! Sulla base delle analisi climatiche e geologiche raccolte dagli scienziati di questo gruppo utilizzando tecnologie di ricerca avanzate, si stima che la temperatura media sulla Terra salirà di 2,1 gradi Celsius entro il 2100, anche se si continua “come al solito”, e anche se la concentrazione di CO2 nell’atmosfera sarà il doppio di quella che era prima della rivoluzione industriale. Questa opinione è basata sul monitoraggio dei cambiamenti di temperatura avvenuti in tutto il mondo nel corso di migliaia di anni, in cui il globo ha subito ere glaciali e di riscaldamento ad intermittenza. Tutti gli scienziati di entrambi i gruppi concordano sul fatto che la maggior parte del riscaldamento nel prossimo futuro si verificherà nelle regioni polari e nelle aree vicine limitrofe in entrambi gli emisferi (nell’emisfero settentrionale questo comprende l’Europa settentrionale, la Scandinavia, gli Stati Uniti settentrionali, il Canada e la Siberia), e molto meno, se non per nulla, nei tropici. Un aumento di un grado o anche due della temperatura in queste aree non influirà affatto sullo stile di vita degli abitanti (e se è così, solo in meglio), che saranno in grado di adattarsi rapidamente, similmente a come gli esseri umani, animali e piante si sono adattati ai cambiamenti climatici.

E ora cerchiamo di capire quali sarebbero le conseguenze se gli scienziati di questo gruppo avessero ragione. Esamineremo questo aspetto prima relativamente al mondo intero e dopo, naturalmente, anche per il nostro settore.

Per il mondo intero, quegli ingenti budget che attualmente sono destinati allo sviluppo e alla produzione di energie alternative, potrebbero essere diretti ad altri importanti obiettivi che l’umanità deve affrontare. Se potremo continuare a operare come di consueto, riscaldandoci ai livelli indicati in questo articolo, l’umanità potrà dirigere i budget stanziati per lo sviluppo delle energie alternative, lo sviluppo e l’attuazione di misure di mitigazione del riscaldamento globale (piantumazione estensiva di alberi nota per il sequestro del carbonio e il rilascio di ossigeno), per la protezione degli altri, nonché per la fornitura di mezzi di riscaldamento e cucina attraverso elettricità e gas, come sostituti del legno e del carbone per miliardi di persone nei paesi in via di sviluppo, che danneggiano gravemente la loro salute e l’ambiente.

Per quanto riguarda il nostro settore, ovvero la zootecnia, si tratta prima di tutto di rimuovere una minaccia “esistenziale” e deviare gli enormi budget che il mondo spende per sostituire le fonti energetiche “inquinanti” verso lo sviluppo di strumenti che consentiranno l’allevamento degli animali in condizioni più calde e il miglioramento delle condizioni di stabulazione delle bovine (la maggior parte di questi animali nel mondo non ha abbastanza ombra e accesso libero all’acqua), sviluppando e sovvenzionando l’installazione e il funzionamento di sistemi di raffreddamento delle vacche nelle stalle che gli consentiranno di affrontare meglio l’aumento della temperatura ambientale.

Nelle lezioni che ho ascoltato sull’argomento e nei confronti tra gli scienziati di entrambe le parti, uno di loro ha detto una cosa che mi è rimasta impressa nella memoria, ovvero che questa criticità relativa alla scienza pura è diventata recentemente uno strumento utilizzato da personalità politiche e mediatiche in tutto il mondo per promuovere i loro ristretti interessi. Dobbiamo trovare un modo per riportare la questione agli scienziati e consentire una discussione sostanziale, perché nelle nostre menti lo è, per il nostro futuro e quello delle prossime generazioni.

L’allevamento del bestiame non contribuisce al riscaldamento globale

In questa seconda parte dell’articolo intendo confutare l’opinione pubblica prevalente secondo la quale l’agricoltura, e in particolare l’allevamento del bestiame, sono tra i principali contributori al riscaldamento globale, principalmente a causa del gas metano che emettono nell’atmosfera.

I gas che contribuiscono all’effetto serra si dividono in gas serra diretti, la cui presenza nell’atmosfera influisce direttamente sull’aumento della temperatura terrestre, e gas serra indiretti, che contribuiscono all’effetto serra a seguito di reazioni chimiche atmosferiche. L’impatto di ciascuno di questi gas è stimato in base a due caratteristiche: il potenziale di riscaldamento (GWP: Global Warming Potential) e la durata della loro permanenza nell’atmosfera (vita atmosferica). Il valore GWP rappresenta il coefficiente per convertire le emissioni in valori di CO2 (CO2 equivalente). Le emissioni del settore agricolo sono costituite da gas diretti (anidride carbonica CO2, metano CH4 e protossido di azoto N2O) e gas indiretti (ammoniaca NH3, anidride carbonica CO2 e anidride solforosa SO2). In questo articolo mi riferirò solo agli effetti dei gas diretti, il cui potenziale di riscaldamento è riportato nella Tabella 1.

Tabella 1 – Potenziale di riscaldamento e durata della permanenza in atmosfera dei gas serra emessi direttamente dal settore agricolo e dall’allevamento bovino e ovino.

Potenziale di riscaldamento in relazione alla CO2Permanenza in atmosfera (anni)
1100Anidride carbonica (CO2)
2110Metano (CH4)
310120Protossido di azoto (N2O) Nitrose oxide

Il metano costituisce circa il 10% di tutti i gas serra emessi nell’atmosfera, di cui il 45% proviene dall’agricoltura. In altre parole, il gas metano contribuisce per circa il 5% alle emissioni totali di gas serra nell’atmosfera, con una quota dell’allevamento del bestiame che non supera il 3%. Quel che più conta è il fatto che circa il 95% del carbonio del metano emesso dai bovini nell’atmosfera viene restituito al suolo e sequestrato dalle piante, e solo il 5% rimane “intrappolato” nell’atmosfera.

L’emissione di metano in atmosfera da parte del bestiame è al centro delle critiche nel mondo, che considera questo settore il principale responsabile dell'”effetto serra” e del riscaldamento globale, e di tutti i danni che ne derivano. Questo atteggiamento può avere un impatto estremamente negativo sul settore agricolo, e in particolare sui settori della carne e del latte bovini. La maggior parte del gas metano che raggiunge l’atmosfera subisce un processo di decomposizione chimica per ossidazione, rimane nell’atmosfera per un tempo relativamente breve ed entra in un “ciclo biogenico” che prevede il legame del carbonio alle piante e il sequestro nel suolo, rendendone l’effetto di “riscaldamento” minimo. Pertanto, questo metano può essere considerato un gas “sostenibile”. Il carbonio proveniente dal metano si lega alle piante, che vengono poi utilizzate come alimento per il bestiame, la cui digestione è la fonte del gas metano emesso nell’atmosfera. C’è così una chiusura del cerchio, e tutto questo sta accadendo con scarsi effetti sulla concentrazione di gas serra nell’atmosfera. In generale, c’è quasi eguaglianza nel rapporto tra la quantità di metano emessa in atmosfera dai bovini e quella che viene riassorbita dalla vegetazione, il che significa che il contributo del gas metano di origine bovina all’effetto serra è molto basso. Oggi ci è chiaro che, quando si tratta di discutere del contributo dell’allevamento del bestiame al riscaldamento globale, il termine CO2 equivalente è fuorviante e irrilevante.

La questione sollevata in questo lavoro è di fondamentale importanza quando si tratta dell’apparato digerente dei ruminanti, per la sua capacità unica di digerire la cellulosa vegetale, che è il principale “legante del carbonio” in natura e la principale fonte di cibo di tutti i ruminanti. Circa due terzi dei terreni dedicati a qualsiasi attività agricola sono definiti “terreni marginali” e, per motivi legati alla qualità del suolo o per vincoli topografici, non sono idonei alla coltivazione agricola intensiva e possono essere utilizzati solo per il pascolo. È stato riscontrato che la capacità di “legare il carbonio” dei pascoli, così come dei campi in cui vengono coltivati, consumati o raccolti frequentemente foraggi, non è inferiore a quella delle foreste e addirittura la supera (la capacità di legame il carbonio è direttamente proporzionale crescita delle piante e alla frequenza del pascolo o della raccolta). Recenti studi negli Stati Uniti e in Italia sulle emissioni di gas serra nell’allevamento del bestiame hanno rilevato che la quantità di anidride carbonica generata dalla decomposizione del metano emesso dal bestiame in atmosfera non solo non aumenta le concentrazioni di gas serra, ma le riduce. Le emissioni di carbonio dei bovini nei processi di produzione sono inferiori di circa il 30% rispetto alla quantità di carbonio fissata nel processo di pascolo e coltivazione di foraggi; quindi i bovini non aumentano la concentrazione di gas serra nell’atmosfera ma la riducono.

Un altro punto che vorrei sollevare in questo articolo è il crescente passaggio delle persone al veganismo, rinunciando al consumo di prodotti animali. Parte di queste persone prende questa decisione a causa del contributo dell’allevamento di animali al riscaldamento globale. In molti casi, queste persone agiscono (consapevolmente e forse inconsciamente) contro “l’ordine della loro coscienza” e vorrei qui chiarire questo punto. La transizione umana verso il veganismo e il completo evitamento del consumo di prodotti animali ridurrà le emissioni di gas serra di 0,8 tonnellate di CO2 all’anno, la metà della quantità di CO2 emessa nell’atmosfera in un volo transatlantico all’anno. Possedere un’auto privata, o accendere un condizionatore in estate e una stufa in inverno, rilascerà nell’atmosfera una quantità di anidride carbonica una decina di volte maggiore rispetto al mangiare carne e bere latte. L’anidride carbonica emessa in questo caso proverrà dalla combustione di combustibili fossili e potrebbe rimanere nell’atmosfera per molti anni e contribuire davvero al riscaldamento globale. Vediamo quali vegani si fermeranno per primi con queste attività!

In conclusione, l’agricoltura in generale, e l’allevamento del bestiame in particolare, non solo non contribuiscono al riscaldamento globale, ma addirittura aiutano a ridurlo. È auspicabile che tutti coloro che vivono di agricoltura, e in particolare gli allevatori di bovini da carne e da latte, abbiano familiarità con questi dati e si preoccupino di trasmetterli al loro ambiente circostante.