L’acido nicotinico, termine che deriva dal latino acido nicotinicum, è spesso chiamato anche niacina o vitamina PP. Quest’ultimo nome in particolare deriva dal fatto che “PP” è l’acronimo di Pellagra Preventis, malattia tipica delle popolazioni che si alimentavano solo con mais e sorgo che sono carenti di vitamina PP, abbondantemente presente invece nelle verdure, nel latte e nei cereali. L’acido nicotinico può inoltre essere denominato vitamina B3. Per brevità, in questo articolo utilizzeremo il termine niacina.

Questa molecola è classificata, anche se impropriamente, nel gruppo delle vitamine B. La niacina è presente negli organismi sotto forma di un ammide, la nicotinammide. La niacina è fondamentale per la sintesi della nicotinammide adenina dinucleotide (NAD) e della nicotinammide dinucleotide fosfato (NADP (H)), due importanti coenzimi coinvolti nelle reazioni di ossido riduzione e in oltre 100 enzimi. La niacina, sintetizzata a partire dal triptofano, può derivare dagli alimenti, dalla sintesi endogena e dalla sintesi microbica ruminale.

Come per tutte le vitamine del gruppo B, anche per la niacina rimane lo stesso dilemma: se sia necessario aggiungerle nelle diete dei ruminanti, specialmente nella bovina da latte, e cioè se la sintesi ruminale sia sufficiente oppure no. Ci si chiede se siano utili come fattori di crescita del microbiota ruminale e se, somministrate nella forma non rumino-protetta, siano in grado di raggiungere l’intestino tenue per essere assorbite. Per la biotina e la vitamina B12 è stato dimostrato con sufficiente, ma non completa, “robustezza” che anche il rumine, oltre alla bovina, ne ha un fabbisogno.

L’interesse verso la niacina è elevato in quanto potrebbe ridurre l’utilizzazione del grasso corporeo (lipolisi) soprattutto nelle fase di bilancio energetico negativo (NEBAL) che nella bovina da latte, ma anche nella capra, nella bufala e nella pecora, tipicamente insorge sia negli ultimi giorni di gravidanza che nelle prime settimane di lattazione. Quest’azione di controllo si traduce in una ridotta presenza nel sangue di acidi grassi non esterificati (NEFA) provenienti dal tessuto adiposo e di β-idrossibutirrato (BHBA), e quindi in un minor rischio chetosi, con benefici per la produzione quali-quantitativa di latte e, più in generale, per la salute degli animali. L’aggiunta di niacina in forma non rumino-protetta alle diete delle bovine da latte potrebbe favorire la crescita dei protozoi e dei batteri ruminali con un conseguente aumento della proteina del latte.

Tutti questi presupposti teorici furono valutati qualche anno fa in una review e in una metanalisi.

Nel 2003, i danesi N. Nielsen e K.L. Ingvartsen pubblicarono su “Acta Veterinaria Scandinavica” un articolo dal titolo (tradotto) “Una review sugli effetti della somministrazione di niacina nelle diete di bovine da latte ad inizio lattazione”. Gli autori conclusero il lavoro affermando:

“La niacina supplementare non riduce la mobilizzazione del tessuto adiposo o il contenuto di lipidi nel fegato. È quindi improbabile che la niacina possa prevenire lipidosi epatica e chetosi. Inoltre, la niacina non influenza l’assunzione di mangime, la resa del latte o la composizione del latte nelle vacche da latte nelle prime settimane di lattazione”.

Gli statunitensi E.C. Schwab, D.Z. Caraviello e R.D. Shaver pubblicarono nel 2005 su “The Professional Animal Scientist” (21:239-247) un lavoro dal titolo (tradotto): “Una meta-analisi sulle risposte delle bovine in lattazione alla niacina”. Gli autori analizzarono 27 lavori pubblicati dal 1980 al 1998 relativi alle risposte produttive delle bovine alla supplementazione con niacina. La conclusione della loro analisi dei dati fu che la somministrazione di 6 g/capo/giorno di niacina non influenzava in alcun modo l’ingestione, l’efficienza alimentare, la produzione di latte e la sua composizione, il BHBA, i NEFA e la glicemia. Un dosaggio di 12 g/capo/giorno migliorava invece la produzione di latte (FCM 4%) e l’efficienza alimentare. Gli autori concludono il lavoro raccomandando ai loro colleghi di effettuare ricerche sull’interferenza della niacina con il metabolismo, specialmente durante la fase di transizione.

Conclusione

In questi due lavori presentati nel 2003 e nel 2005 si conclude di fatto che inserire come supplemento la niacina in forma libera nelle diete per bovine da latte durante la lattazione ha una scarsa efficacia a meno che non si raggiunga un dosaggio di 12 g/capo/giorno.

Pochi sono stati i lavori antecedenti a queste date dove si verificano gli effetti dell’uso per via orale di niacina libera nella prevenzione di malattie metaboliche, come la chetosi clinica e sub-clinica, e dell’immunodepressione del periparto, di cui la chetosi rappresenta il più importante fattore di rischio. Non è stata verificata neanche l’azione preventiva di protezione del fegato nei confronti della lipidosi epatica visto che la niacina è in grado di ridurre, a parità di NEBAL, la lipolisi del tessuto adiposo.

Inoltre nel dataset utilizzato sia per la meta-analisi di Schwab ed altri che per la review di Nielsen e Ingvartsen erano presenti ricerche effettuate con niacina non rumino-protetta che, come ora è noto e non più in discussione, dà pochissimi se non nulli benefici alla bovina in lattazione se non indirettamente per il miglioramento, seppur molto lieve, dell’attività del microbiota ruminale.

Rubrica a cura di Vetagro


 

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