La filatura della pasta rientra in quelle tecniche particolari di lavorazione dei formaggi che hanno la capacità di modificare profondamente la struttura fisica della caseina e di conseguenza tutti gli aspetti sensoriali, sia visivi che tattili. In particolare, questa tecnologia è caratterizzata da modalità operative che portano a specifiche acidificazione e demineralizzazione del latte o della cagliata, alle quali si aggiungono le tecniche di filatura e di conservazione del governo, quando necessarie, peraltro interventi determinanti nel definire la qualità del formaggio e le sue caratteristiche microbiologiche.

Prima di addentrarci negli aspetti prettamente tecnologici, vediamo qualche tipologia di formaggi a pasta filata offerti dal panorama caseario del nostro Paese, stivale e isole comprese.

La mozzarella

Si tratta di un formaggio a pasta filata fresco, le cui origini si perdono nei secoli nell’Italia meridionale, ora prodotto lungo tutto lo stivale e in molti paesi al mondo. Viene preparata principalmente con latte di vacca e di bufala. Il nostro mondo delle indicazioni di qualità (DOP, IGP, STG) vanta ben tre denominazioni: Mozzarella di Bufala Campana DOP, Mozzarella di Gioia del Colle DOP (attualmente, in denominazione transitoria a livello nazionale) e il Fior di latte STG. Una precisazione va fatta sull’uso del termine “mozzarella”: contrariamente a quanto molti pensano, tale termine deriva dall’operazione di “mozzatura” della pasta filata per produrre i singoli pezzi durante la lavorazione artigianale.

Sul nome, il 2018 ha visto concludersi un dibattito riguardo all’utilizzo del termine “mozzarella” per il prodotto con denominazione Gioia del Colle DOP, per un contrasto con la Mozzarella di Bufala Campana DOP: il TAR Lazio ha dato ragione alla mozzarella pugliese.

La burrata e la stracciatella

Questo prodotto a pasta filata fresco ha origini pugliesi. Il mondo delle indicazioni d’origine annovera nel suo vasto repertorio l’indicazione Burrata di Andria IGP. La burrata nacque durante una forte nevicata nei primi decenni del secolo scorso, durante durante la quale fu impossibile portare il latte in città dalle masserie. Così, per non sprecarlo, il latte venne trasformato. In quell’occasione, il casaro andriese Lorenzo Bianchino ebbe l’idea di creare un “sacchetto” di pasta filata in cui racchiudere degli sfilacci fatti della stessa pasta, immersi nella panna che affiorava dal latte (la cosiddetta stracciatella); richiuse il tutto e modellò con cura l’imboccatura donandole la caratteristica forma apicale. Nacque così la prima Burrata di Andria, uno dei più pregiati e particolari prodotti caseari della Puglia (Fonte: Consorzio Tutela Burrata d’Andria I.G.P.). Il prodotto è ottenuto lavorando parte della cagliata, filata con acqua bollente e salata, in modo da sfilacciarla in fettucce che, miscelate con panna, costituiranno il ripieno (stracciatella) della burrata. Il resto della cagliata è formato in sacchetti, che verranno successivamente riempiti con stracciatella e sigillati all’imboccatura. Le forme verranno poi freddate in acqua, per un tempo variabile in funzione della pezzatura.

La stracciata

Stracciata e stracciatella sono due cose tra loro differenti. Infatti, la stracciata, peraltro PAT del Molise, è tradizionalmente formata a strisce larghe e sottili, ma si presenta simile alla mozzarella, dalla quale si differenzia per il contenuto inferiore in acqua.

La scamorza

Questo formaggio è tipico della regione Campania, e deve probabilmente il suo nome alla forma di “capa mozza” (cioè testa mozzata). E’ prodotto tutto l’anno, con latte di vacca la cui pasta viene semicotta e filata. Esistono parecchie variazioni sul tema della scamorza, sia per quel che riguarda l’aspetto (il colore della crosta può variare dal paglierino al bruno, la forma più o meno sferoidale può avere una testina appena accennata o molto pronunciata) che per quanto riguarda il sapore (può infatti, essere affumicata o no e farcita con diversi ingredienti). Nelle aree di produzione della mozzarella di bufala (Napoli, Salerno, Caserta) si produce anche la pregiatissima scamorza con latte di bufala.

Il caciocavallo

Si tratta di un prodotto stagionato a pasta filata tipico dell’Italia meridionale, con una caratteristica forma tondeggiante e prodotto con latte di vacca. Di questo prodotto abbiamo parlato nelle interviste ai casari, in particolare abbiamo trattato il Caciocavallo di Agnone PAT nell’articolo che racconta la storia della famiglia Di Nucci, ed il Caciocavallo Podolico del Gargano prodotto da Giuseppe Gaggiano e da Carmelina Colantuono. Non vanno dimenticati il Caciocavallo Silano DOP, specialità prodotta in Calabria, Campania, Basilicata, Molise e Puglia, ed il Ragusano DOP, storicamente noto come Caciocavallo Ragusano DOP.

Tra i formaggi a pasta filata che si fregiano del marchio DOP, citiamo il Provolone del Monaco DOP e il Provolone Valpadana DOP. Vale la pena ricordare anche la manteca, che è un prodotto assai peculiare in quanto nacque come forma di conservazione del burro: si tratta di un prodotto caseario del sud, costituito da un “guscio” esterno fatto di pasta filata, ed un interno costituito da un cuore di burro. Dunque, la pasta filata nel mondo caseario è piuttosto versatile ed utilizzata in modi più disparati, lavorando latte di tipologie diverse (oltre a quello di vacca e di bufala, ricordiamo l’uso del latte di pecora nella Vastedda della Valle del Belice DOP) e producendo tipicità un po’ ovunque (basti pensare al casizolu sardo prodotto con latte di vacche modicane o bruno-sarde, e al Provolone Valpadana DOP prodotto dall’altra parte rispetto alle aree di origine dei prodotti a pasta filata), da utilizzare anche come “packaging” di conservazione, come succede per la manteca.

I formaggi a pasta filata non conservati in liquido di governo (quindi, escluse le mozzarelle) e quelli stagionati hanno alcuni aspetti in comune ed altri che li differenziano. Per quanto riguarda le caratteristiche comuni, citiamo l’utilizzo di acqua o scotta derivante dalla produzione di ricotta nella fase di filatura, presenza di crosta quando stagionati al naturale oppure presenza di materiale di rivestimento (edibile o meno) e maturazione per tempi variabili in funzione del tipo di formaggio e della pezzatura. Le differenze risiedono: nell’utilizzo di latte di origine diversa (per esempio, per il Caciocavallo Podolico del Gargano va espressamente usato il latte di vacca podolica, oppure latte di pecora nella Vastedda della Valle del Belice DOP), nell’impiego di latte crudo o trattato termicamente (termizzazione o pastorizzazione), nel tipo di innesto (lattoinnesto, sieroiinesto, assenza di innesto) e di caglio (di vitello, di agnello o capretto in base agli obiettivi sensoriali da raggiungere – più o meno piccantezza), nella lunghezza del periodo di stagionatura e nella forma di presentazione al consumatore.

In conclusione, come ormai abbiamo imparato dal mondo lattiero-caseario, anche se gli ingredienti per la produzione del formaggio sono essenzialmente latte, caglio, fermenti e sale, le variabili in gioco sono moltissime, dall’alimentazione dell’animale alla tipologia di latte, ed oltre a queste vi sono anche le operazioni tecnologiche svolte nel processo produttivo, come la filatura della pasta, che possono contribuire a dare prodotti tra di loro qualitativamente molto differenti.

Nei prossimi appuntamenti, parleremo di ciò che succede a livello chimico e tecnologico della filatura, dell’acidificazione della pasta e della sicurezza associata alla gestione del liquido di governo.

 

Bibliografia

Germano Mucchetti, Erasmo Neviani, 2006. Microbiologia e tecnologia lattiero-casearia. Qualità e sicurezza. Tecniche nuove