Introduzione

Ogni anno, in questo periodo, si comincia a pensare che a breve ritornerà l’estate e con essa i problemi in stalla se lo stress da caldo non è stato accuratamente prevenuto. Quando ormai tanti anni fa si è cominciato ad affrontare seriamente il problema negli allevamenti di bovine da latte, ci si è focalizzati su come aiutare gli animali a difendersi dal caldo in modo che la produzione non calasse così tanto in estate. Erano gli anni dell’iniziale diffondersi dei ventilatori nelle stalle e, per gli allevamenti più evoluti, d’impianti che imitavano il funzionamento dei condizionatori, nebulizzando acqua nell’ambiente.

Da allora, tante cose sono cambiate. La prima è che si è visto che a mettere in difficoltà le bovine nel mantenere costante la loro temperatura corporea non è solo la temperatura esterna ma anche l’umidità relativa. Nel 1976 il NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) ha sviluppato un’equazione di elaborazione del THI (Temperature Umidity Index) che legava questi due parametri per quantificare il rischio di stress da caldo.

THI=(1.8xT+32)-((0.55-0.55x(RH/100))x(1.8xT-26))

dove T = Temperatura dell’aria (°C) e RH = Umidità Relativa (%)

Secondo le indicazioni maggiormente utilizzate, quando il THI è ≥ 72, nella bovina da latte aumenta proporzionalmente il rischio di stress da caldo. A titolo d’esempio, si può avere un THI di 72 quando la temperatura ambientale è solo di 23°C e l’umidità relativa dell’85%. Il secondo cambiamento riguarda il clima ed è causato principalmente delle attività umane. Si stanno infatti innalzando negli anni sia le temperature massime diurne che quelle minime notturne.

A peggiorare la situazione (terzo cambiamento) c’è l’aumento di produttività delle bovine da latte, soprattutto di razza frisona, che è quella maggiormente allevata in Italia. L’aumento della media pro-capite, principalmente dovuto al miglioramento genetico, è conseguenza soprattutto di una maggiore capacità d’ingestione, e quindi dell’entità della fermentazione ruminale. Si sa che questo processo è fortemente esotermico, ossia tende a produrre grandi quantità di calore che l’animale deve disperdere dalla superficie corporea e dall’apparato respiratorio. Alla luce di tutto questo, si tende ora a diminuire la soglia di rischio dello stress da caldo da un THI di 72 a uno di 68.

Tenere costante la temperatura corporea è una prerogativa degli animali a “sangue caldo” ed è fondamentale per mantenere inalterati gli equilibri metabolici dell’organismo. Per fare questo, la bovina cercherà in estate di mangiare e muoversi meno per ridurre la produzione endogena di calore, e di disperderne il più possibile cercando zone d’ombra e aumentando la frequenza respiratoria. In altre specie, come quella umana, è la sudorazione ad avere un ruolo molto importante, ma i bovini hanno numero molto ridotto di ghiandole sudoripare. Quando lo stress da caldo è compensato con successo, si osserverà una riduzione della produzione di latte e dei suoi principali costituenti, ed un calo della fertilità; la temperatura corporea rimarrà invece pressochè normale e la frequenza respiratoria aumenterà, pur non superando gli 80 atti respiratori al minuto. Se invece la temperatura corporea aumenta anche di solo mezzo grado e la frequenza respiratoria supera quanto indicato, si può emettere la diagnosi di stress da caldo patologico. Se tale sintomatologia si riscontra in più del 15% delle bovine, significa che siamo di fronte ad un problema non solo dei singoli individui ma di tutto l’allevamento. Un altro fatto relativamente nuovo, che ha ulteriormente richiamato l’attenzione della comunità scientifica, dei professionisti e degli allevatori, è che in autunno (cioè nei mesi di Ottobre, Novembre e Dicembre), a parità di giorni di lattazione e THI, le produzioni di latte e la fertilità sono inferiori rispetto ai mesi primaverili. Abbiamo classificato allora (2015) questa situazione come “Sindrome della Bassa Produzione di Latte in Autunno” (SBPLA), proprio in virtù della sua plurifattorialità, proponendola all’attenzione dei tecnici e degli allevatori tramite un articolo divulgativo pubblicato il 27 Maggio 2015 sulla rivista dell’AIA “L’allevatore”. Interessante è anche la lettura dell’articolo di Chiara Spelta e Massimo Amadori pubblicato recentemente su Ruminantia dal titolo “La sindrome della bassa produzione di latte in autunno: il possibile ruolo di una risposta immunitaria innata disregolata“.

In ogni caso, osservando i grandi numeri si evidenzia facilmente come nell’UE la massima quantità di latte sia prodotta in primavera mentre il minimo si fa in autunno.

La situazione italiana non differisce sostanzialmente da quella degli altri paesi occidentali dell’emisfero australe.

Nella Figura 1, elaborata dall’Ufficio Studi dell’AIA, sono state rappresentate le produzioni medie pro capite delle bovine di razza frisona controllate da AIA nei 12 mesi dell’anno degli ultimi 7 anni. E’ possibile vedere molto chiaramente la differenza tra la produzione media di Aprile e di Maggio (azimut) e quella dei mesi di Ottobre e Novembre (nadir). Dalla tabella si può notare anche una certa “indipendenza” tra produzione media e giorni di lattazione. In primavera, nonostante aumentino i giorni medi di lattazione, aumenta anche la produzione di latte.

Figura 1 – Andamento della produzione media pro capite e dei giorni medi di lattazione delle bovine da latte di razza frisona controllate da AIA.

I dati europei ed italiani, e quelli statunitensi, relativi non tanto all’andamento della media pro capite quanto al latte consegnato, sono utilizzabili nella valutazione sia dello stress da caldo che della SBPLA, perché in genere in questi paesi non si programmano i parti dal momento che il latte serve tutti mesi e il suo prezzo è costante, o meglio adattato al rapporto domanda e offerta.

Pertanto, in piena estate, ossia quando il THI è persistentemente superiore a 68, e le temperature notturne non scendono mai al di sotto dei 15°C, a fare la differenza sul livello produttivo e sulla fertilità è la presenza di un buon sistema di raffrescamento delle bovine e la nutrizione clinica.

Per prevenire, invece, la SBPLA, alcuni interventi sono comuni a quelli messi in atto per lo stress da caldo mentre altri sono specifici per questa sindrome. In ogni caso, e per le ragioni prima esposte, si stanno adottando metodi di “comprovata efficacia” anche per aiutare sia le bovine in asciutta che quelle della rimonta.

In un interessante lavoro realizzato da Alessia Tondo dell’AIA, da Israel Flamenbaun della Cow Cooling Solution e da Dario Pasetti di Arienti & C., è stato presentato il “Summer to Winter Ratio (S/W Ratio)” o “Indice estate inverno“, che serve a valutare la differenza tra la produzione media dei mesi estivi (Luglio-Agosto-Settembre) e quella invernale (Gennaio- Febbraio- Marzo) in modo da verificare se le soluzioni messe in atto in allevamento siano state efficaci.

Sia lo stress da caldo che la SBLA altro non sono che fenotipi, ossia manifestazioni produttive, riproduttive, sanitarie ed economiche derivanti da un’interazione tra genetica, ambiente, sanità, nutrizione e management. Pertanto, nella seconda parte di questa revisione narrativa esamineremo nel dettaglio questi 5 ambiti che concorrono alla prevenzione delle due patologie.

Genetica

Sono ormai molti anni che si sta pensando di selezionare bovine da latte più resistenti al caldo, o addirittura di puntare su razze che già lo sono. Visto il rapido surriscaldamento del pianeta, questo desiderio dovrà diventare rapidamente operativo.

Prima di entrare nel merito della questione, sorprende che Israele, che è la nazione con la più alta produzione pro capite di latte, non abbia allo stato attuale adottato un indice che premi i riproduttori più resistenti allo stress da caldo.

Come è possibile vedere dalla formula riportata di seguito, nell’indice di selezione israeliano della Israeli Holstein non ci sono riferimenti di questo tipo.

PD16 = 8.48 (Fat Kg) + 21.2 (Protein Kg) — 300 (SCS) + 26 (Female fertility %) + 0.6 (Days herd life after first calving) + 10 (Persistency %) — 3 (Dystocia %) — 6 (Calf Mortality %).

La resistenza al caldo è dotata di una discreta ereditabilità, ma probabilmente i genetisti israeliani ritengono che lavorare sull’ambiente e la gestione sia più efficace. Interessante è l’esperienza australiana fatta con la valutazione genomica stimata di resistenza al caldo, denominata GEBV. Quello che è stato anche osservato è l’esistenza nella Holstein di una correlazione genetica favorevole (0.29-0.39) del GEBV con la fertilità.

Come probabile fattore di rischio della SBPLA, c’è il sospetto di un intervento del fotoperiodo. Al di là dell’andamento del THI, sappiamo che il passaggio dal solstizio d’inverno (20-21 Dicembre) al solstizio d’estate (21-22 Giugno), e viceversa, fa cambiare molte cose negli allevamenti, specialmente di frisone. E’ in primavera che si ha la massima produzione di latte, grasso e proteine, e la migliore fertilità, nonostante i giorni medi di lattazione siano in crescita. Nel solstizio d’inverno il giorno dura 8 ore e 45 minuti mentre nel solstizio d’estate questo dura 15 ore e 38 minuti. Nella fase di passaggio tra il solstizio d’estate e quello d’inverno, oltre ad accorciarsi il giorno, si supera spesso per molte settimane il valore 68 del THI, e quindi si ha un rischio di stress da caldo. Anche nelle stalle dotate dei giusti dispositivi di raffrescamento e dove le bovine durante i periodi dove il THI è ≥ 68 non hanno aumenti di temperatura corporea e di frequenza respiratoria, e neppure significativi cali di produzione e fertilità, si osserva la SBPLA. Al di là dei documentati effetti negativi che lo stress da caldo ha sulle bovine in asciutta, si è visto come il fotoperiodo incida negativamente sulle future performance produttive. Le bovine che trascorrono le ultime settimane di gravidanza nel periodo in cui le giornate sono più lunghe faranno meno latte nella successiva lattazione rispetto alle bovine che fanno il periodo d’asciutta quando le giornate sono più corte. Ad ulteriormente supportare la constatazione che le bovine che ora sono presenti negli allevamenti sono ancora condizionate dal fotoperiodo, c’è la diffusione nelle stalle dei sistemi di manipolazione del fotoperiodo che utilizzano lampade e sensori per normalizzare a 16-18 ore la lunghezza delle ore di luce. Sarebbe molto importante che la comunità scientifica approfondisse dal punto di vista genetico se sia aumentata nella popolazione delle principali razze da latte la sensibilità al fotoperiodo, carattere da millenni “scoraggiato” nella popolazione delle bovine per avere una fertilità ed una produzione costanti per tutto l’anno.

Ambiente

L’ambiente, inteso come stalla e, più in generale, come il luogo dove le bovine da latte vivono, ha un ruolo fondamentale sia nell’eziologia che nella prevenzione dello stress da caldo e della SBPLA. Con l’evoluzione delle conoscenze, le stalle di nuova costruzione sono tutte dotate di sistemi di raffrescamento delle bovine e di climatizzazione. Non dotarsi oggi di questi impianti e non controllarne costantemente l’efficacia è considerabile una grave leggerezza. Negli anni, si è anche affermato il concetto che i soli ventilatori non bastano e che i sistemi di raffrescamento vanno montati in tutto l’allevamento, e non solo dove sono le bovine in lattazione. I risultati si vedono chiaramente nella Figura 1, dove si può osservare che la flessione della produzione non parte più dai mesi estivi ma si localizza soprattutto in autunno. L’offerta di impianti di raffrescamento è ormai abbondante per cui scegliere è difficile. Possono essere d’aiuto nella verifica dell’efficacia del sistema di raffrescamento presente nel gruppo delle bovine in lattazione i seguenti rilievi:

  • Misurazione a random della temperatura rettale o vaginale e della frequenza respiratoria in un campione rappresentativo di bovine in lattazione (almeno 15) nelle ore dove il THI di stalla è più elevato. Se la temperatura è > 0.5°C rispetto ai normali 38.5°C, e se la frequenza respiratoria supera gli 80 atti al minuto nel 15% degli animali scelti significa che l’impianto di raffrescamento utilizzato necessita di un controllo.
  • Confronto della produzione media pro-capite, normalizzata per i giorni di lattazione, nei mesi di Ottobre e Novembre con quella di Aprile e Maggio (indice SBPLA).
  • Utilizzo del summer/winter ratio o summer/winter index (S:W Index), che come abbiamo visto confronta la produzione pro-capite media dei mesi di Luglio-Agosto-Settembre con quelli di Gennaio-Febbraio-Marzo.
  • Confronto, o meglio benchmark, degli indici SBLA e S:W Index con quelli di allevamenti simili della stessa area geografica.

Management

Il management, o meglio la gestione, che altro non è che il rapporto degli animali con il personale che opera in stalla, è uno degli aspetti più complessi da affrontare. Procederemo pertanto con degli esempi:

  • La gestione della fertilità. Sappiamo che l’intervallo tra il parto e il concepimento (days open) medio della stalla condiziona molto i giorni medi di lattazione, e quindi la produzione di latte. Durante i mesi estivi le bovine, per prevenire lo stress da caldo, oltre a ridurre l’ingestione diminuiscono l’attività motoria e quindi anche il comportamento estrale, fino a sospenderlo. Se in allevamento si utilizzano la fecondazione a tempo determinato (TAI), utilizzando Ovsynch e sue varianti, oppure il dosaggio in-line e real-time del progesterone (Herd Navigator), e lo stress da caldo è compensato (e quindi non c’è un incremento della temperatura corporea), il tasso di concepimento non subisce variazioni. Nelle stalle che per ragioni etiche o di filiera non utilizzano le sincronizzazioni ormonali, la rilevazione del calore può diventare problematica in estate.
  • La gestione dei gruppi. A causa dell’infertilità estiva e del fotoperiodo, i giorni medi lattazione tendono ad aumentare progressivamente da Gennaio, fino ad avere un picco in piena estate. Normalmente, gli allevamenti delle bovine da latte, specialmente quelli in cui si produce il latte commodity, hanno tutti i posti in cuccetta e in mangiatoia sempre occupati, e spesso in overbooking. Questo significa in pratica che in estate c’è il serio rischio di sovraffollamento dei gruppi d’asciutta e di preparazione al parto, e ciò aumenta il rischio delle malattie metaboliche della fase di transizione.

Sanità

Nei mesi in cui il THI in stalla è ≥ 68, cambia, rispetto all’inverno e alla primavera, la prevalenza di alcune malattie metaboliche, come ad esempio l’acidosi ruminale e la chetosi metabolica. Osservando i dati raccolti ed elaborati dall’AIA, si può notare come il fattore di rischio individuale “acidosi” (rapporto nel latte individuale grasso/proteine < 1.1) aumenti in estate. Durante la fine dell’estate ad aumentare nelle vacche, nei primi due mesi di lattazione, è anche il rischio individuale “chetosi” (rapporto nel latte individuale grasso/proteine > 1.4). In alcune regioni italiane si misura, durante i controlli funzionali eseguiti dalle ARA, la concentrazione del corpo chetonico BHBA nel latte individuale. Nei mesi di Agosto-Settembre e Ottobre la percentuale di bovine “fresche” aventi un valore > 15 mmol/dl aumenta sensibilmente. La chetosi, anche in forma subclinica, contratta nelle primissime settimane dopo il parto, è in grado di ridurre del 7% il picco produttivo. Per ogni kg in meno di latte al picco ci si può aspettare una riduzione di circa 250 kg di latte nell’intera lattazione. Non essendoci in Italia una raccolta sistematica dei dati delle altre malattie metaboliche, non c’è certezza nell’affermare che durante i mesi estivi e d’inizio autunno ci sia una picco di prevalenza tale da spigare la SBPLA. In estate, poi, a prescindere dallo stress da caldo non compensato, aumenta anche il rischio delle malattie podali conseguenti all’acidosi ruminale, allo stare meno ore sdraiate (laminiti) o per ragioni infettive (dermatiti).

Nutrizione

Per prevenire i danni derivanti dallo stress da caldo e la SBPLA, più che di nutrizione di base si deve parlare di nutrizione clinica. Senza entrare eccessivamente nel dettaglio, la nutrizione clinica deve intervenire per ridurre al minimo il calo d’ingestione e le gravi conseguenze che ciò può avere sul bilancio energetico e amminoacidico sia delle bovine in fase di transizione che nelle prime settimane di lattazione. Questo approccio riguarda anche il bilanciamento minerale.

Conclusioni

Grazie all’adozione di sistemi razionali di raffrescamento delle bovine, e di qualche accortezza gestionale e nutrizionale, il calo estivo della produzione delle bovine da latte si è notevolmente ridotto rispetto al passato; lo stesso si può dire per la concentrazione proteica e lipidica del latte, anche se in questo caso concorrono ragioni genetiche. Si è risolto invece solo parzialmente il contenimento estivo dell’incremento delle cellule somatiche del latte di massa e ci sarà da fare ancora molta strada per ridurre le perdite economiche derivanti dalla Sindrome della Bassa Produzione di Latte in Autunno, di cui lo stress da caldo rappresenta un sicuro fattore di rischio. Per arrivare ad una soluzione è necessario comprendere e condividere le ragioni che portano a questa situazione e studiare caso per caso, allevamento per allevamento, la soluzione più giusta.