Tenendo in considerazione non solo l’apporto di proteine ma anche la loro qualità, l’impatto ambientale della carne bovina e del latte è quasi dimezzato. 

Le azioni per mitigare gli impatti ambientali causati dalle attività umane, compresi i cambiamenti climatici, l’esaurimento delle acque dolci e l’esaurimento dei combustibili fossili, dovrebbero essere sostenute da una stima solida e quantitativa dei vari fattori che vi contribuiscono. Un metodo comunemente utilizzato per valutare questi impatti è la valutazione del ciclo di vita (LCA), che in numerosi recenti studi ha evidenziato che gli alimenti di origine animale dovrebbero essere limitati, o addirittura evitati, nella dieta umana a causa del loro effetto sull’ambiente relativamente elevato (in particolare quelli provenienti dai ruminanti) rispetto ad altri alimenti ricchi di proteine (principalmente di origine vegetale).

Prima di formulare tali raccomandazioni alla popolazione globale sarebbe necessario, però, tenere conto dell’aspetto nutrizionale degli alimenti, analizzando questioni come l’ampia biodisponibilità dei nutrienti, l’equilibrio degli aminoacidi, la digeribilità e persino la densità dei nutrienti non proteici (ad esempio, i micronutrienti). Pertanto dall’inizio del ventunesimo secolo in poi, l’LCA si è evoluto in uno strumento più complesso ed i ricercatori hanno iniziato a incorporare la scienza nutrizionale nella valutazione dell’impatto ambientale dei prodotti agroalimentari, dando origine ad una analisi nota come LCA nutrizionale (nLCA).

Con questo passaggio si è presentato, però, un nuovo problema ovvero l’utilizzo di “unità funzionali nutrizionali” (nFU) semplificate. Le nFU forniscono un’unità di analisi comune per standardizzare l’nLCA nella comparazione di prodotti alimentari alternativi. Uno dei modi più comuni per includere la funzionalità nutrizionale (ovvero la quantità di cibo necessaria per ottenere una certa quantità di un determinato nutriente o nutrienti) nell’LCA è utilizzare un nFU di proteine, che però difficilmente prende in considerazione la composizione amminoacidica nella sua interezza, non rendendo distinguibile la qualità delle proteine che vengono quantificate. In generale, quindi, le (n)FU hanno un profondo effetto sull’interpretazione dei risultati di un LCA.

A tal proposito secondo un nuovo studio condotto da un team di scienziati della Rothamsted Research, centro di ricerca nel settore agricolo con sede nell’Hertfordshire, in Inghilterra, l’impatto ambientale di alcuni prodotti alimentari calcolato per unità di proteine prodotte, rischia di creare solo disinformazione. Secondo gli autori, infatti, nel calcolo dell’impatto ambientale della produzione degli alimenti deve essere considerato anche il valore nutrizionale dei prodotti.

Lo studio ha preso una misura della qualità delle proteine chiamata Digestible Indispensable Amino Acid Score (DIAAS) e la ha utilizzata per creare nuove metriche per misurare l’impronta ambientale per una varietà di alimenti. Utilizzando questo metodo, l’impatto ambientale di molti prodotti di origine animale è stato quasi dimezzato (ad esempio quello della carne bovina e del latte) mentre gli impatti associati alla produzione di pane integrale, ad esempio, sono aumentati di quasi il 60%. Questo perché un essere umano sano dovrebbe consumare molti più prodotti a basso DIAAS per ottenere lo stesso beneficio in termini di proteine rispetto ai prodotti ad alto punteggio DIAAS, portando così a una maggiore produzione e quindi impatto ambientale per raggiungere lo stesso livello di assunzione raccomandato.

Il Dott. Graham McAuliffe di Rothamsted, autore principale dello studio, ha dichiarato: “Questo studio evidenzia la necessità di prendere in considerazione sia le scienze nutrizionali che quelle ambientali per comprendere a pieno l’impatto che la produzione alimentare ha sulla salute umana e ambientale“.

Le proteine sono un nutriente molto complesso complesso costituito da aminoacidi, di cui nove sono noti come aminoacidi essenziali e non possono essere prodotti direttamente dall’uomo ma devono provenire da fonti alimentari. Inoltre, la digeribilità dei diversi amminoacidi all’interno dell’intestino umano è molto variabile. In altre parole, la quantità di proteine in un prodotto non riflette necessariamente la sua qualità, che è influenzata da numerosi fattori, tra cui il fatto che alcuni alimenti (tipicamente prodotti di origine vegetale) contengono altri fattori che possono inibire o limitare l’assorbimento dei nutrienti.Il team ha utilizzato il punteggio DIAAS per calcolare quanto siano digeribili gli amminoacidi di un alimento. In particolare, sono stati analizzati con questo metodo quattro alimenti di origine animale (latticini, carne bovina, uova e maiale) e quattro fonti proteiche di origine vegetale (noci, piselli, tofu e grano).Come risultato, tutti i prodotti di origine animale hanno ottenuto un punteggio DIAAS superiore al 100% a causa della loro struttura altamente digeribile e della mancanza di composti inibitori; il tofu ha avuto un DIAAS del 105%, mentre le altre tre fonti proteiche di origine vegetale hanno ottenuto un punteggio inferiore al 100%. Il grano che ha ottenuto un punteggio particolarmente basso (43%).

Il semplice confronto della sostenibilità dei prodotti alimentari basato sul contenuto di nutrienti piuttosto che sulla loro qualità non è sufficiente per fornire ai responsabili politici e alle parti interessate informazioni trasparenti e utili su come ridurre l’impatte ambientale nelle filiere agroalimentari“, ha affermato Dott. MacAuliffe.

Inoltre, per i ricercatori i futuri studi dovrebbero considerare la complementarità degli equilibri di aminoacidi a livello di pasto, come minimo, piuttosto che a livello di prodotto quando si valutano le risposte metaboliche proteiche dei consumatori. “Gli alimenti sono raramente consumati in modo isolato, e quindi invitiamo i futuri valutatori della sostenibilità focalizzati sulla nutrizione a prendere in considerazione la complementarità del cibo, ad esempio, a livello di pasto o a livello di più pasti“.

Secondo McAuliffe, questo è un fattore di fondamentale importanza da considerare, in quanto bassi valori DIAAS in un alimento possono essere compensati da punteggi più alti in altri alimenti, consentendo in tal modo valutazioni mirate dell’apporto proteico per diverse regioni, nazioni o popolazioni che potrebbero essere carenti per alcuni amminoacidi essenziali.

Il team avverte inoltre che gli impatti ambientali dovrebbero costituire solo una parte del quadro della sostenibilità. Il lavoro futuro dovrebbe incorporare fattori socioeconomici (ad esempio, economie rurali, benessere degli animali, commercio equo e così via) per valutare veramente la sostenibilità della produzione alimentare, soprattutto se si considera il commercio alimentare internazionale e i potenziali shock di mercato come la guerra e i crolli economici che possono influire sulla sicurezza dell’approvvigionamento alimentare.

Protein quality as a complementary functional unit in life cycle assessment (LCA), di G. A. McAuliffe, T. Takahashi, T. Beal, T. Huppertz, F. Leroy, J. Buttriss, A. L. Collins, A. Drewnowski, S. J. McLaren, F. Ortenzi, J. C. van der Pols, S. van Vliet & M. R. F. Lee. The International Journal of Life Cycle Assessment volume 28, pages146–155 (2023).