Terreni agricoli, espropri e indennizzi: come funziona?

Dalla notifica ufficiale all'indennità definitiva: una guida pratica per comprendere il funzionamento degli espropri per pubblica utilità e conoscere tutti gli strumenti disponibili per ottenere un giusto indennizzo

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29 Aprile, 2025

Ci sono zone del nostro Paese dove l’agricoltura si sta drasticamente riducendo a favore della diffusione di parchi eolici e fotovoltaici. Pur condividendo la volontà di incentivare la transizione energetica, risulta difficile non interrogarsi sulle modalità di attuazione di molti di questi interventi. Gli scenari più frequenti a cui generalmente assistiamo, sono essenzialmente di due tipi: da una parte la scelta manageriale di destinare il proprio terreno ad un’attività differente da quella agricola, mentre dall’altra quella di trovarsi in un luogo prescelto da terzi per lo sviluppo di nuovi progetti.

Nel primo caso, dal punto di vista imprenditoriale, la scelta di vendere o ancor più spesso affittare il proprio terreno a società che producono energie rinnovabili, può risultare decisamente interessante se si analizzano le proposte che circolano attualmente sul mercato. I canoni offerti, infatti, non sono neanche lontanamente paragonabili, in molti casi, ai guadagni previsti per ettaro delle più comuni colture presenti nei nostri territori, e neanche l’estensione degli appezzamenti risulta così vincolante. Infatti, se in alcuni siti web si propone “per ogni ettaro di superficie i prezzi di affitto variano da 2.500 fino a un massimo di 8.000 euro l’anno, a seconda del rendimento dell’impianto” con la messa a disposizione di minimo 10 ettari, in altri si legge: “siamo interessati a reperire terreni agricoli o produttivi della dimensione minima di 1,5 ettari” per stipulare un contratto di affitto di minimo 25 anni ad un canone che parte da almeno 3.000 euro per ettaro per anno.

Nel secondo caso, invece, il proprietario di un terreno si può trovare coinvolto in un progetto di transizione ecologica, proposto da società leader nel settore delle rinnovabili, che presentano le loro iniziative direttamente agli enti territoriali di competenza. A tal proposito esiste una pagina del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, denominata “Valutazione Impatto Ambientale” dove questi progetti, e tutte le valutazioni e relazioni tecniche ad essi connesse, sono caricati e disponibili per la visione a tutti i cittadini, ma immaginare di  essere finiti con i propri terreni nel bel mezzo di una simile trattativa è decisamente difficile! Ed è proprio per questo motivo che, in un giorno qualunque, un agricoltore o un allevatore potrebbe venirne a conoscenza di una simile notizia in modo formale e, soprattutto, definitivo, ricevendo una raccomandata che gli notifica un’ordinanza di esproprio per pubblica utilità. E quando succede ciò, cosa si può fare?

Diciamo che, fino a quando vengono pubblicati i progetti sul sito del Ministero dell’Ambiente c’è qualche piccolo margine di manovra per presentare un’opposizione ufficiale all’intervento proposto, che sia accompagnata da dati tecnici e relazioni di professionisti, meglio ancora se con il supporto di comitati cittadini e iniziative politiche, ma quando, invece, arriva la comunicazione di esproprio (conseguente all’emanazione del decreto) beh, indietro non si torna davvero più!

Per tale motivo, per comprendere meglio il funzionamento di certi meccanismi in cui ci si può ritrovare improvvisamente coinvolti, abbiamo chiesto alla collega Avv. Giulia Spadafora di illustrarci, in maniera semplice, il funzionamento delle procedure di esproprio, così come previste dalla normativa nazionale.

Le procedure di esproprio

Il tema dell’esproprio per pubblica utilità, pur essendo di rilevanza strategica per il settore agricolo e zootecnico, è spesso poco conosciuto nelle sue implicazioni economiche e giuridiche, per questo proviamo ad affrontare brevemente le principali criticità che ci si può trovare ad affrontare. Ma andiamo con ordine.

Espropriazioni per pubblica utilità: definizione, finalità e differenze con l’imposizione di servitù

Le espropriazioni per pubblica utilità sono un istituto giuridico di grande rilevanza nel bilanciamento tra interessi pubblici e privati. Attraverso il meccanismo espropriativo, infatti, la Pubblica Amministrazione acquista la proprietà o altri diritti reali su beni privati, qualora ciò sia necessario per la realizzazione di opere o servizi di rilevanza generale e di utilità pubblica (che deve essere formalmente dichiarata), come infrastrutture, edilizia pubblica, impianti energetici o altre iniziative di sviluppo strategico. Questo avviene indipendentemente dal consenso del proprietario, ma con il riconoscimento di un’indennità risarcitoria per compensare il sacrificio imposto al privato.

Essendo l’espropriazione, un’eccezione rilevante al principio di inviolabilità della proprietà privata, sancito dall’articolo 42 della Costituzione, essa si configura come uno strumento di diritto pubblico che deve essere giustificato da esigenze concrete e supportato da un rigoroso iter procedurale, volto a garantire la legittimità dell’operazione e la tutela dei diritti dei soggetti coinvolti.

Da non confondere con l’espropriazione per pubblica utilità, l’imposizione di servitù che non implica la perdita della proprietà, ma l’imposizione (appunto) di un vincolo che ne limita l’uso. Esempi tipici includono servitù di passaggio, di acquedotto o di elettrodotto. In questi casi, il proprietario subisce una compressione del proprio diritto dominicale, con una conseguente riduzione della piena disponibilità dell’immobile.

Una differenza sostanziale tra le due fattispecie risiede dunque nella loro proiezione temporale.

L’espropriazione per pubblica utilità ha effetti immediati e definitivi: il proprietario perde il bene e i relativi diritti, con conseguenze circoscritte al presente. Al contrario, l’imposizione di servitù incide anche sul futuro del bene, poiché il diritto di proprietà non viene perso ma compresso. Il proprietario e i successivi acquirenti (o eredi) continueranno a subire le limitazioni imposte dalla servitù, con effetti permanenti sulla fruibilità e sul valore dell’immobile, generando così il diritto ad un indennizzo parametrato al danno effettivo subito dal proprietario.

Procedura di espropriazione per pubblica utilità in breve

La procedura espropriativa è disciplinata dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 meglio noto come Testo Unico Espropri. Essa si articola in diverse fasi principali:

  1. Apposizione del vincolo preordinato all’esproprio: è il provvedimento con cui la PA individua i beni necessari alla realizzazione dell’opera pubblica, imponendo su di essi un vincolo che ne preclude utilizzi incompatibili con la futura destinazione. Questo vincolo ha una durata massima di cinque anni.
  2. Dichiarazione di pubblica utilità: è l’atto con cui l’autorità competente approva il progetto definitivo dell’opera, dichiarando la sua utilità pubblica e individuando specificamente i beni da espropriare. Anche questa dichiarazione ha una validità massima di cinque anni, entro i quali deve essere completata la procedura espropriativa.
  3. Determinazione dell’indennità provvisoria: l’ente espropriante calcola un’indennità da offrire al proprietario del bene, basandosi sul valore venale del bene stesso e su altri criteri stabiliti dalla legge, come si approfondirà più sotto nell’articolo.
  4. Emissione del decreto di esproprio: è l’atto finale che trasferisce la proprietà del bene dall’espropriando all’ente espropriante, subordinato al pagamento dell’indennità definitiva.
  5. Immissione in possesso: è l’atto con cui la PA acquisisce la disponibilità materiale del bene.

Dunque, si comprende chiaramente che l’unica possibilità concreta che possiede l’espropriando è quella di cercare di ottenere almeno un giusto indennizzo per il danno subito. Per riuscire in questo è sicuramente importante sapere a chi rivolgersi e poi a che tipo di procedura si va incontro.

Considerata la delicatezza della questione, anche su questo aspetto riteniamo utile fornire ai nostri lettori il parere di esperti che hanno al loro attivo esperienze decennali, e ci siamo per questo rivolti al prof. Vittorio Tellarini già docente di estimo ed economia agraria dell’Università di Pisa e al dott. Giovanni Benvenuti, Agronomo libero professionista.

Come prima cosa ci piacerebbe chiarire: di fronte alla ricezione di una comunicazione di esproprio, cosa deve fare l’agricoltore?

Innanzitutto, c’è subito una precisazione da fare, e cioè che la comunicazione arriva all’intestatario catastale che, a causa di mancate volture catastali, potrebbe non essere il proprietario effettivo (che, invece, risulta alla conservatoria dei registri immobiliari).

Tornando alla comunicazione, bisogna sapere che questa deve essere sempre accompagnata dalla proposta di indennizzo (la cosiddetta indennità provvisoria), e che questo è l’unico aspetto su cui si può realmente intervenire. Ma vediamo i diversi casi:

  1. se l’indennità provvisoria riconosciuta si ritiene adeguata, l’espropriando è tenuto a comunicare formalmente la propria accettazione. Infatti, in caso di mancata risposta,  la stessa viene sottoposta alla valutazione della Commissione provinciale espropri, che potrebbe anche ridurne l’entità. A proposito dell’indennità provvisoria precisiamo che questa somma stabilita inizialmente viene depositata presso la “Cassa Depositi e Prestiti”; poi, se al momento dell’accettazione essa coincide con l’indennità definitiva, viene versata all’espropriando, se invece risulta inferiore dovrà essere integrata per indennizzare l’espropriando secondo quanto concordato.
  2. In caso di perplessità sull’accettazione o meno, l’agricoltore può rivolgersi a qualche persona competente in materia di valutazioni immobiliari, e sicuramente i professionisti più indicati sono: agronomi, agrotecnici, geometri, periti agrari, ingegneri, architetti. L’importante è che siano figure tecniche, preparate nel campo che si andrà ad affrontare per valutare la proposta ricevuta e capire se l’indennizzo sia o meno accettabile. Assai probabilmente, potrà essere utile però anche l’assistenza di un avvocato.

Da ricordare che la procedura di esproprio si conclude sempre con un atto pubblico – firmato dalle parti alla presenza di un notaio e del segretario comunale – di trasferimento della proprietà del bene.

Le stesse modalità si hanno nel caso di una servitù: atto firmato davanti a un notaio o al segretario comunale.

Se l’indennizzo proposto non è soddisfacente, su quali elementi si può trattare?

Ovviamente l’ente espropriante, non di rado, propone il valore minimo possibile di indennizzo, e in alcuni casi lo fa riferendosi a quelli che sono chiamati “Valori agricoli medi” (VAM). Giusto per chiarezza sappiate che i VAM sono dei valori che, dal 1971, con la legge 865, venivano utilizzati per la determinazione dell’indennità di esproprio. Per quantificarli venne istituita una Commissione Provinciale, costituita da un funzionario della Provincia, del Comune e della Regione, uno del catasto (ora un dipartimento dell’Agenzia delle Entrate) e rappresentanti delle Organizzazioni dei Produttori. A tutt’oggi ogni anno, con riferimento all’anno precedente, la Commissione si riunisce per stabilire il valore che hanno le varie qualità di colture (anche se la legge si parla di “tipi” di coltura), e quanto deciso viene pubblicato sul bollettino ufficiale di ogni singola Regione.

Il riferimento ai “VAM” per il calcolo degli indennizzi, però, era una prassi di legge fino al 2011, anno in cui è stata emessa una sentenza della Corte costituzionale (per l’esattezza, la n.181 del 10 giugno 2011) in cui è stato dichiarata incostituzionale la determinazione dell’indennizzo sulla base dei VAM e, quindi stabilito che l’esproprio deve essere effettuato sulla base del vero valore di mercato, cioè sul valore agricolo reale di mercato con riferimento all’effettiva qualità di coltura presente al momento dell’apposizione del vincolo di esproprio (e non alla qualità catastale).

Oggi i VAM vengono utilizzati solo per determinare l’indennità aggiuntiva che deve essere riconosciuta al proprietario espropriando quando egli sia coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale (IAP); o anche all’affittuario (da almeno due anni) del terreno che sia anch’egli una delle due figure sopra richiamate. In questi casi, infatti, non c’è solo il danno per la perdita del valore del terreno, ma c’è anche la perdita del reddito che l’attività svolta su di esso garantisce.

Tornando alla domanda, nella prima fase il professionista interpellato dovrà verificare il prezzo di mercato dell’effettiva qualità di coltura presente sul terreno oggetto di esproprio, documentandolo con dati ufficiali. Il riferimento principale, generalmente, sono i contratti di compravendita di terreni simili, soprattutto se abbastanza vicini nel tempo e nello spazio. Nel redigere una controproposta è utile anche ricordare che, in genere, l’ente espropriante otterrà da quell’opera delle entrate molto cospicue (si pensi ad esempio ai metanodotti che veicolano milioni di euro) e quindi, se si conduce una trattativa intelligente, si ha la reale possibilità di spuntare un indennizzo maggiore; naturalmente la motivazione e la documentazione alla base della richiesta sono elementi che fanno la reale differenza.

Quali sono le modalità di svolgimento e le tempistiche di una trattativa di indennizzo?

Nel momento in cui l’ente espropriante riceve la controproposta avanzata dal proprietario del terreno, si aprono due scenari.

Il primo è che l’indennizzo richiesto dal proprietario venga accettato. In tal caso, prima dell’atto finale (davanti al notaio o al segretario comunale) viene firmato un accordo tra le parti.
Nel caso si tratti dell’imposizione di una servitù, può essere utile/opportuna l’assistenza di un avvocato, il quale valuti attentamente le clausole che possano condizionare l’utilizzo futuro del bene sul quale viene imposta la servitù. Più semplice il caso dell’esproprio: in caso di accordo, la proprietà del bene viene puramente e semplicemente trasferita, senza altri pregiudizi sul futuro.

Se invece non si raggiunge l’accordo si apre un secondo scenario in cui la trattativa prosegue attraverso la richiesta di parere a una Commissione di esperti (comunemente detta “Terna”) o alla Commissione Espropri.


1) Commissione di esperti o “Terna” 

L’espropriando che non si ritiene soddisfatto della trattativa intercorsa, può scegliere di proseguire l’iter. In tal caso deve essere supportato da un suo tecnico, necessariamente iscritto ad un ordine professionale, che provvede a predisporre tutta la documentazione a giustificazione del maggior importo richiesto. Contestualmente, l’ente espropriante incarica un suo tecnico (di solito, ma non necessariamente, un tecnico dipendente dell’Ente espropriante) con competenze specifiche nel settore; quindi il presidente del Tribunale locale indica un terzo perito super partes. I tre tecnici andranno a comporre la commissione di esperti, comunemente chiamata “Terna”, ed avranno tutti lo stesso diritto di parola e di voto. La relazione finale, generalmente (ma non necessariamente) preparata dal perito indicato dal Tribunale, verrà votata e quindi, nel caso in cui non ci fosse l’unanimità, vincerà la maggioranza. La somma stabilita dalla terna diventa l’indennità definitiva che viene depositata presso la “Cassa Depositi e Prestiti”.

I costi della terna (e, quindi, di tutti e tre i periti) saranno così attribuiti:

  • se la somma stabilita è inferiore all’indennità proposta, pagherà l’espropriando;
  • se la somma stabilita è superiore al 110% dell’indennità proposta, pagherà l’ente espropriante;
  • negli altri casi si paga a metà.

Se le due parti accettano l’indennizzo stabilito dalla terna si procede con l’accettazione ufficiale e l’iter si conclude così, in una durata che può essere stimata in 4-6 mesi. Anche in questo caso può essere utile/opportuno che l’atto di accettazione sia esaminato da un avvocato del proprietario.

In caso contrario, se una delle due parti non accetta, inizia una vera e propria causa di fronte alla Corte d’Appello: sarà, quindi, necessario coinvolgere obbligatoriamente un avvocato e le spese inevitabilmente aumenteranno così come i tempi di risoluzione della vicenda. Potrebbe essere nominato dal giudice incaricato un CTU, Consulente Tecnico d’Ufficio che, in contraddittorio tra le parti, esaminerà la situazione e presenterà al Giudice la sua perizia.


2) Commissione Espropri

E’ una commissione provinciale che viene interpellata nella procedura in due casi:

  1. se l’espropriando – per un qualunque motivo – non ha formalizzato la sua accettazione;
  2. se l’espropriando richiede direttamente il parere di questa Commissione: senza, cioè, voler passare attraverso la valutazione della Terna;

In ogni caso, la Commissione Espropri non interpella in alcun modo l’espropriando, ma analizza il caso e, se lo ritiene, può chiedere all’espropriante chiarimenti in merito ai lavori che egli intende fare. Detto ciò, fornisce la sua valutazione che può essere accettata o meno dalle parti. Nel primo caso si procede con l’accettazione ufficiale e l’iter si conclude così, mentre nel secondo,  inizia una vera e propria causa di fronte alla Corte d’Appello.


Considerazioni finali 

In un’epoca in cui la transizione ecologica è diventata un obiettivo imprescindibile, è fondamentale che essa non si traduca in una sottrazione indiscriminata di risorse e diritti per chi custodisce e coltiva e alleva il territorio. Comprendere a fondo le dinamiche e le implicazioni delle procedure di esproprio significa non solo difendere il proprio patrimonio, ma anche partecipare consapevolmente a un cambiamento che deve essere equo, trasparente e condiviso. Per questo, conoscere i propri diritti, informarsi e affidarsi a professionisti competenti rappresenta il primo, concreto atto di tutela del mondo agricolo, che non può essere spettatore passivo, ma parte attiva nelle sfide del futuro.

 

Da leggere - Giugno 2025

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