Un software di lavoro, normalmente, è un sistema informatico in cui vengono immessi dei dati di base che, una volta elaborati, vengono riproposti in modo utile a svolgere lavori operativi o a prendere decisioni. Pensiamo per esempio ai software di meteorologia; ai software di previsione matematica dei contagi (all’apice in questi giorni ed in base alle cui elaborazioni sono state prese decisioni così importanti nel nostro Paese); ai software di calcolo delle probabilità con cui le compagnie assicurative definiscono i premi sulle polizze.

Nel nostro mondo zootecnico, si sono diffusi nel corso degli anni diversi software. Nelle stalle si può dire che ne esista come minimo uno in ogni azienda. A volte anche più di uno. Sono però ancora poco diffusi software sulle attività di campagna e c’è molta strada da fare sulla diffusione dei software di contabilità aziendale.

Ritengo quest’ultima cosa paradossale per un settore che si definisce in modo permanente in crisi di risultati economici. Ma tant’è.

I  software sono costruiti attorno ad un’idea circa il loro utilizzo. Le elaborazioni di ciascun software, costituiscono, in fondo, una traccia di lavoro. I buoni software contengono, al proprio interno, un metodo di lavoro. Utilizzandoli, le aziende acquisiscono, quasi in automatico, il metodo di lavoro che soggiace allo sviluppo del software stesso. Un software che non contenga idee forti, che non non sia portatore di un metodo di lavoro, che non “conduca” chi lo utilizza è uno strumento scialbo, insipido.

Si può dunque affermare che ciascun software, se buono, porti con sé un metodo di lavoro. Tale metodo è certamente opinabile. Essenzialmente poiché ne possono esistere più d’uno – di metodi e dunque di software. I risultati potranno dire quale metodo e quale software è in grado di condurre meglio l’attività per cui è stato pensato e creato.

Dimmi che software usi  (e se lo usi!) e ti dirà chi sei.