È opportuno allevare la Frisona per fare il Parmigiano Reggiano?
Questa razza altamente produttiva, quando allevata per fare il Parmigiano, è sorprendentemente indipendente dalla concentrazione energetica della razione e riesce comunque ad avere un'elevata fertilità

La Frisona italiana sta evolvendo in maniera impressionante, permettendo agli allevatori dotati di sufficienti capacità gestionali di allevare bovine da latte geneticamente molto produttive. La selezione genetica, la nutrizione e la gestione non hanno però ancora pienamente trovato soluzioni per migliorare la fertilità “naturale” di questa razza, e quindi anche la sua longevità funzionale.
Il comprensorio di produzione del Parmigiano Reggiano comprende le province di Parma, Reggio–Emilia, Modena, Mantova (destra del fiume PO) e Bologna (sinistra del fiume Reno), e quindi si estende alla regione Emilia-Romagna e alla Lombardia. In Emilia-Romagna, su un totale di 2.548 allevamenti di bovini ad indirizzo produttivo latte (dati BDN 31/12/2024), circa 2.100 (compresa la Lombardia) producono latte per fare il Parmigiano Reggiano.
In questa regione ci sono 1.515 allevamenti di Frisona italiana soci di ANAFIBJ (2023). Il disciplinare di produzione di questo formaggio, che nel 2023 è stato la seconda DOP del cibo italiano sia come volumi (158.015 tonnellate) che come valore (~ 1.5 miliardi di euro), è molto rigido anche, e soprattutto, nella parte che regolamenta l’alimentazione delle bovine.
In un precedente articolo di Ruminantia dal titolo “Si possono eliminare (senza danni) gli insilati dalla dieta delle bovine da latte?” abbiamo fatto una riflessione argomentata chiedendoci se con le limitazioni imposte dal disciplinare si potessero allevare le bovine, soprattutto di razza Frisona, senza fare danni. E’ un pò come chiedersi se un’automobile concepita per transitare su strade veloci e perfettamente asfaltate si possa adattare agli sterrati di campagna o ai percorsi fuoristradistici più impegnativi.
Nel primo caso l’obiettivo è quello di percorrere il più rapidamente possibile una tratta stradale, in piena sicurezza e al minor consumo, mentre nel secondo caso si chiede al veicolo di durare il più possibile e avere un’elevata flessibilità di utilizzo.
I requisiti di alimentazione imposti dal disciplinare del Parmigiano Reggiano
Prima di addentrarci nei numeri è bene approfondire quelle che sono le principali limitazioni alimentari imposte dal disciplinare di produzione del formaggio Parmigiano Reggiano, che sono simili a quelle dell’STG Latte Fieno e che si possono trovare (per necessità) anche al di fuori delle regole dei formaggi a IG, come ad esempio nelle zone non irrigue del nostro Paese.
Nel comprensorio del Parmigiano Reggiano è ad esempio prescritto che la razione delle bovine debba avere un rapporto foraggi/concentrati non inferiore a 50/50, e che almeno il 75% dei foraggi venga prodotto all’interno del comprensorio e il 50% dalla stessa azienda. Questi dati sono espressi sulla sostanza secca. Per fare il Parmigiano Reggiano è vietato l’utilizzo e la detenzione in azienda di insilati, sia per ragioni organolettiche del formaggio che per impedire che spore clostridiche possano contaminare il latte e creare lesioni al formaggio durante la stagionatura.
Oltre agli insilati ci sono molti alimenti vietati, come i semi di cotone, i grassi rumino-protetti o elevate quantità di semi integrali di oleaginose che vengono utilizzati nelle bovine come fonte energetica ma che possono alterare il profilo acidico del latte.
Queste e altre limitazioni alimentari mettono in difficoltà i nutrizionisti e gli alimentaristi nel poter soddisfare i fabbisogni di energia e proteina metabolizzabile delle bovine nei primi mesi di lattazione e non ancora gravide. Tale fase fisiologica è molto impegnativa perché si è costretti a far coincidere il momento di maggiore produzione di latte con quello di inizio di una nuova gravidanza senza penalizzare la salute degli animali e la qualità del latte.
Dalla tabella sottostante, che abbiamo già pubblicato nel precedente articolo, si vede come i fabbisogni nutritivi delle primipare e delle pluripare siano molto elevati e come, con i vincoli imposti dal disciplinare del Consorzio, sia difficile riuscire a soddisfarli in pieno.
Anche se si fa largo uso d’insilati, come quello di mais, supplementi di grassi rumino-protetti e grandi quantità di concentrati, quasi mai si possono restituire appieno i nutrienti che la bovina impiega nella prima fase della lattazione.
Il paradigma vacilla
Il bilancio energetico e amminoacidico è per definizione negativo nelle bovine “fresche”. Solo nella parte inziale del puerperio la bovina può usufruire di sufficienti scorte di glucosio e amminoacidi (proteine labili), a patto che la gestione dell’asciutta sia stata ottimale. Razioni basate solo su foraggi naturalmente essiccati hanno un’intrinseca, e per certi versi inevitabile, variabilità, e il loro contributo ad aumentare la produzione ruminale di microbioma, e quindi di acidi grassi volatili, è limitato.
Un nutrizionista inesperto o abituato a formulare razioni al di fuori del comprensorio del Parmigiano Reggiano potrebbe trovarsi in difficoltà nel definire un piano alimentare adeguato per vacche Frisone adulte, non ancora nuovamente gravide ma con alto potenziale genetico. Il rispetto del disciplinare di produzione impone infatti restrizioni che possono rendere difficile raggiungere una concentrazione energetica (ENl 3x Mcal/kg di sostanza secca) superiore a 1.60. Tuttavia, secondo le linee guida NASEM 2021, nelle primipare non bisognerebbe scendere sotto 1.72, mentre nelle pluripare a 100 giorni medi di lattazione il valore raccomandato è di almeno 1.80.
Dal punto di vista della concentrazione di proteina metabolizzabile le cose sono diverse, perché una razione ben formulata, nonostante i vincoli del disciplinare, può garantire una concentrazione di proteina metabolizzabile di circa il 10% sulla sostanza secca, sempre che si possa contare sul contributo di oltre il 50% di quella prodotta dal microbiota ruminale.
E’ esperienza empirica quella di notare un differente BCS, a parità di giorni di lattazione, delle bovine “fresche” del Parmigiano Reggiano rispetto al resto delle Frisone italiane allevate nella Pianura Padana. Questo è abbondantemente giustificato dal minore livello energetico delle razioni che le Frisone del comprensorio hanno imparato a controbilanciare con una capacità d’ingestione piuttosto elevata e un’evidente capacità di ricorrere alle riserve di grasso corporeo, dimagrendo.
L’evidente minore concentrazione energetica di queste razioni viene spesso utilizzata come spiegazione di una ridotta fertilità in allevamento. È granitica convinzione di molti che ci sia una profonda correlazione positiva tra il livello energetico della razione e il successo riproduttivo. Se questo paradigma fosse vero sempre e comunque, la fertilità media degli allevamenti di Frisone del comprensorio del Parmigiano Reggiano dovrebbe essere nettamente inferiore a quella di altri allevamenti a parità di area geografica, giorni medi di lattazione e potenziale genetico (PFT).
Sappiamo inoltre che esiste una correlazione positiva tra fertilità e concentrazione proteica del latte, per cui le diete del Parmigiano Reggiano dovrebbero penalizzare oltre alla fertilità anche il tenore proteico del latte. Se questa impalcatura teorica che ha alimentato non pochi pregiudizi fosse dimostrata dai dati sarebbe ampiamente giustificato sollevare qualche perplessità sul regolamento di alimentazione incluso nel disciplinare.
A livello di aneddoto, un allevatore che in realtà era un docente universitario di scienze umanistiche, mi fece notare che le popolazioni di aree del mondo dove imperversa cronicamente la fame spesso e volentieri hanno una natalità molto superiore ai più ricchi e satolli paesi occidentali.
L’evidenza dei dati
Per provare a fare chiarezza su questo argomento abbiamo chiesto di nuovo aiuto ad ANAFIBJ.
I dati riportati sono stati prelevati suddividendo:
- Le aziende emiliane e lombarde che fanno parte del consorzio Parmigiano Reggiano (PR)
- Le aziende emiliane e lombarde che non fanno parte del consorzio Parmigiano Reggiano (no PR)
Per confrontare le performance degli allevamenti nelle due aree selezionate abbiamo voluto verificare la presenza e l’entità dell’eventuale differenza del potenziale genetico espresso come PFT, ossia l’indice principale con il quale si seleziona la Frisona italiana.
Nella figura 1 vengono riportati valori di PFT medio dal primo semestre 2020 al secondo semestre 2023. Si può notare che il livello medio di PFT è addirittura leggermente superiore negli allevamenti di Frisone italiana che producono latte per il Parmigiano Reggiano rispetto alla popolazione di confronto.
Nella figura 2 viene riportato l’andamento di alcuni dati produttivi e sanitari dei due insiemi esaminati negli ultimi cinque anni, ed in particolare la produzione media di latte, la concentrazione di grasso e proteine e le cellule somatiche. In ordinata troviamo la produzione media mentre sull’asse secondario sono riportati sia i giorni medi di lattazione che il livello di cellule somatiche.

Figura 2 – Andamento di alcuni dati produttivi e sanitari dei due insiemi esaminati negli ultimi cinque anni.
Dall’elaborazione dei dati possiamo trarre alcune conclusioni per i diversi parametri considerati:
- Produzione media di latte. Tra noPR e PR c’è un crescente scarto produttivo a favore del noPR, negli anni compresi tra il 2020 e il 2024, che oscilla da 1.83 a 2.4 chilogrammi di latte.
- Percentuale di grasso e proteine. Nel raggruppamento noPR la superiorità della percentuale di grasso nel latte va da un minimo nel 2020 di +0.16% per arrivare a +0.24 nel 2024. Diversa è invece la situazione della percentuale di proteina del latte che è piuttosto simile.
- Giorni medi lattazione. I giorni medi lattazione sono sorprendentemente simili e hanno un’oscillazione nell’ambito dei cinque anni considerati tra noPR e PR di uno/due giorni consentendo quindi un confronto molto affidabile, perché sappiamo bene che l’andamento di questo fenotipo condiziona molto sensibilmente ogni altro parametro.
- Cellule somatiche (SCC). Unico fenotipo sanitario utilizzabile in questa elaborazione è quello del tenore medio di cellule somatiche nel latte. Come si può vedere nella figura 2, le differenze sono minime anche se il PR ha una performance migliore.
Intervallo parto-concepimento e numero di fecondazioni per gravidanza
Nelle figure 3 e 4 sono riportati due fenotipi riproduttivi raccolti da AIA nel corso dei controlli funzionali e utilizzati dagli Enti selezionatori per fini selettivi.
Il dato parto-concepimento fa un confronto tra la data del parto e quella dell’ultima fecondazione avvenuta prima di una nuova gravidanza. E’ stata fatta, quindi, una sottrazione tra queste due date.
L’intervallo tra il parto e il concepimento calcolato in questo modo attenua l’imprecisione insita nella raccolta di qualsiasi dato riproduttivo. A rafforzare la qualità di questo confronto, fondamentale per “stressare” il paradigma che recita che “esiste una correlazione positiva tra livello energetico della razione e fertilità”, c’è che con lo stesso metodo è stata valutata la fertilità tra noPR e PR.
Risulta piuttosto evidente che tra questi due insiemi non c’è una grande differenza; anzi, seppur di poco, sono migliori i dati del PR.
Conclusioni
Il presente articolo è classificabile come “revisione narrativa”, e quindi non è un lavoro scientifico ma solo un articolo tecnico che ha l’obiettivo di dare agli allevatori e ai professionisti informazioni necessarie e oggettive per fare le scelte migliori al netto di pregiudizi e stereotipi.
Inoltre, articoli di questo tipo, quando supportati da un’elevata mole di dati, hanno anche la funzione di stimolare i ricercatori a sottoporre le conclusioni che si possono trarre al severo giudizio del metodo scientifico.
Si ringraziano in particolare Gloria Manighetti e Maurizio Marusi di ANAFIBJ per i dati forniti.