Molte sono le ragioni per le quali non si utilizzano, o non si vorrebbero utilizzare, gli insilati nell’alimentazione delle bovine da latte. Quella principale è che alcuni disciplinari di prodotti del latte a denominazione li vietano; un esempio sono la STG Latte Fieno e la DOP Parmigiano Reggiano. Nel primo caso le motivazioni sono legate alla tradizione e alle caratteristiche organolettiche del latte, mentre nel caso del Parmigiano Reggiano si vuole evitare che spore di clostridi possano contaminare il formaggio e successivamente danneggiare le forme, oltre ovviamente a tutelare sapore, colore e odore caratteristici di questa DOP. 

La razza di bovine da latte maggiormente presente in Italia è la frisona italiana, perché associa un’elevata produzione di latte con altrettanto considerevoli concentrazioni di grasso e proteine ed efficienza alimentare. Basti pensare, a titolo d’esempio, che in Emilia-Romagna, su un totale di 2.548 allevamenti di bovine (BDN 31/12/2024), circa 2.300 producono latte per fare il Parmigiano Reggiano e che in questa regione ci sono 1.515 allevamenti di frisona italiana soci di ANAFIBJ (2023). 

La frisona è un animale molto performante ma molto esigente. I suoi fabbisogni nutritivi sono ormai chiari, soprattutto nella fase più delicata del suo ciclo produttivo, ossia la prima metà della lattazione e quando non è ancora gravida. La selezione genetica ha reso, in questa fase, la produzione di latte, grasso e caseine, prioritaria rispetto a molte altre funzioni metaboliche come la crescita e la riproduzione e, probabilmente, la piena efficienza del sistema immunitario. 

In parole povere ciò significa che se la razione non riesce a “restituire” alle bovine fresche e non gravide i nutrienti che queste impiegano per produrre latte, grasso e caseina, potrebbero venir compromesse funzioni essenziali come “riprodursi”, “crescere” ed “essere sane”. Tutto ciò condiziona sensibilmente la loro longevità funzionale

Gli insilati, soprattutto se di mais, in virtù del loro essere umidi e fermentati, hanno un’elevata digeribilità e apportano un amido ad elevata fermentescibilità ruminale, per cui sono molto interessanti per ridurre il bilancio energetico e amminoacidico negativo tipico della prima fase di lattazione. Sostituirli con i fieni inevitabilmente riduce anche drasticamente la concentrazione energetica della razione, e l’aumento dei concentrati ha un limite fisiologico legato al pH ruminale e alla produzione di endotossine.

Tutto questo è valido fino ad un certo punto perché non c’è una robusta correlazione tra concentrazione energetica della razione e fertilità in quanto la produzione epatica di glucosio segue nei ruminanti vie biochimiche profondamente diverse rispetto ai monogastrici. 

In ogni caso approfondiremo questo argomento con il supporto dei dati in un successivo articolo.  

La frisona italiana può fare a meno degli insilati?

Per capire se è possibile alimentare la frisona italiana senza utilizzare insilati è bene ricordare quali sono i suoi fabbisogni nutritivi nel momento in cui la produzione è più elevata, periodo che coincide anche con la necessità che si ingravidi di nuovo e rapidamente. Nella tabella 1 sono riportati i fabbisogni nutritivi delle bovine frisone in lattazione

Tabella 1 – Fabbisogni nutritivi della Frisona.

Come si può vedere nella tabella, la concentrazione energetica delle razioni, sia valutate come energia netta lattazione che come energia metabolizzabile, dovrebbe essere molto elevata, a livelli difficilmente raggiungibili anche quando si hanno a disposizione come foraggi gli insilati. 

Il disciplinare del Parmigiano Reggiano impone, come abbiamo già detto, il divieto d’uso degli insilati e un rapporto foraggi/concentrati 50:50.

Da quanto affermato fino ad ora, e volendo continuare ad allevare frisone anche di elevato potenziale genetico, è assolutamente necessario che la digeribilità dei fieni, intesa come degradabilità ruminale, sia molto elevata, come anche il loro valore nutritivo, perché alimenti molto energetici come il cotone integrale e i grassi rumino-protetti sono giustamente vietati in quanto possono alterare il profilo acidico del grasso del latte. 

In questo tipo di razioni, quando per infiniti motivi non si dispone di fieni ad alta digeribilità, a fronte di un eccessivo calo di condizione corporea e di insufficiente fertilità, oppure semplicemente di bassa produzione e ridotta concentrazione di caseina del latte, si è tentati di ridurre il rapporto foraggi/concentrati della razione aumentando i concentrati, soprattutto quelli amidacei. 

Oltre ad essere contro le indicazioni del disciplinare, un aumento eccessivo di amido causa una riduzione del pH ruminale che riduce ulteriormente la digeribilità della fibra e aumenta la quantità di endotossine prodotte dal rumine a causa della morte dei batteri gram-negativi. 

Puntare sulla qualità dei foraggi è l’unica via percorribile

Volendo rispettare il disciplinare, e non volendo cambiare razza, l’unica cosa da fare è concentrarsi sulla qualità dei foraggi partendo però da quello che è realmente disponibile, ossia dalla realtà dei fatti. Per la produzione di Parmigiano Reggiano, del Latte Fieno e nelle aree aride o quelle interne italiane, i fieni disponibili sono principalmente i vari tagli di medica, i prati stabili, il loietto, l’avena, il frumento e vari tipi di polifiti. 

Il Laboratorio Analisi Zootecniche (LAZ) dei fratelli Mancinelli, tramite il “Libro delle analisi”, ha messo a disposizione degli allevatori, dei nutrizionisti e degli alimentaristi, le analisi medie delle migliaia di foraggi da loro analizzati per vedere i valori medi di ogni nutriente per ogni singola essenza foraggere e apprezzarne la variabilità (deviazione standard). 

Questo lavoro permette il benchmark, ossia il confronto, che è lo strumento più prezioso per ogni processo produttivo consentendo di identificare un criterio di normalità statistica. Si può dire, cioè, se il fieno prodotto da un agricoltore sia scadente, normale, buono o ottimo solo confrontando le sue analisi con quelle di altri a lui simili. 

Il 31 maggio 2019 Ruminantia ha pubblicato la seconda edizione del “Libro delle analisi”. Nel cercare il supporto dei dati per raggiungere gli obiettivi di questo articolo condivideremo con voi lettori le elaborazioni preliminari della terza edizione di questa opera, al fine di evidenziare la grande variabilità che c’è nell’ambito dei singoli nutrienti delle medesime essenze e tagli. 

Quando c’è variabilità analitica significa che, affinando le scelte delle migliori cultivar, e migliorando la coltivazione, la raccolta e la conservazione dei foraggi affienati, ci sono ampi margini di miglioramento per arrivare a coprire i fabbisogni nutritivi

Parliamo di fieno di medica…

A titolo d’esempio, partiamo dal fieno di medica che, insieme alla pianta del mais, sono rispettivamente il re e la regina dei foraggi. Nelle razioni per le bovine che producono Parmigiano Reggiano possiamo trovare grandi quantità di foraggio di medica come primi tagli, che spesso ricadono nella categoria dei polifiti, e di tagli successivi sia essiccati al sole o negli essiccatoi aziendali che disidratati.

Le mediche di tagli successivi al primo sono presenti in queste diete in quantità variabile dai 4 ai 10 chilogrammi/capo/giorno per cui, per introdurre l’argomento, possiamo partire da questo foraggio prezioso ma dotato di una grande variabilità qualitativa.

Nelle analisi medie del LAZ, oltre al nome del foraggio, è esplicitamente indicato il numero del taglio nella documentazione d’invio.

Come detto in precedenza, ci limiteremo a commentare solo alcuni nutrienti ed in particolar modo quelli che possono condizionare i fabbisogni energetici e amminoacidici delle razioni. 

Per tutti i nutrienti analizzati le analisi sono espresse sulla sostanza secca. I fieni utilizzati nelle razioni senza insilati, come nella DOP Parmigiano Reggiano, devono essere prodotti nel Comprensorio ma è consentito anche introdurli in quantità limitate (max 25%) anche da altre regioni, spesso lontane. 

Partiamo con la concentrazione proteica. Possiamo notare che la percentuale di proteina media del 3° taglio di medica è del 18.4% con una deviazione standard di ± 2.3, ossia abbiamo dei terzi tagli che oscillano tra il 16.2 e il 20.7% di proteina. Molto variabile è anche la solubilità della proteina che per i nutrizionisti è un parametro di grande interesse perché questa frazione proteica condiziona molto sensibilmente il tasso di crescita del microbioma ruminale e quindi di quella parte più nobile, dal punto di vista amminoacidico, della proteina metabolizzabile (MP). 

Il suo fabbisogno, come abbiamo visto nella tabella 1, è piuttosto elevato. Dal rapporto del LAZ, la solubilità media della proteina grezza di questo taglio risulta essere del 37.6%, ma con un’ampia oscillazione che va dal 34.1 al 41.1%. 

Nelle aree diverse dal comprensorio di produzione del Parmigiano, ma anche di altre DOP come il Grana Padano, qualora il livello di proteina solubile delle razioni sia troppo bassa si utilizza l’urea zootecnica, che è per antonomasia la fonte ideale di proteina solubile e comunque degradabile. 

L’urea ha una paradossale concentrazione proteica equivalente del 281%, tutta solubile. Dove non è vietato vengono normalmente aggiunti nelle razioni delle bovine da latte 40 gr di urea zootecnica, che corrispondono ad un apporto nella razione di 112,4 grammi di proteina grezza interamente solubile. Non potendo seguire questa strada, si includono nelle formule dei mangimi “da Parmigiano Reggiano” concentrati ricchi di proteine solubili.   

Da come si può vedere dalle tabelle del LAZ, ampia è anche l’oscillazione della concentrazione dei principali amminoacidi essenziali come la lisina, la metionina, la leucina, la isoleucina e l’istidina. Un’alta disponibilità di questi amminoacidi alle bovine da latte consente la massima espressione del loro potenziale genetico a produrre caseina, oltre ad avere un comprovato effetto positivo sulla fertilità e l’immunità. 

Osservazioni sulla fibra

Molto interessante, per gli obiettivi che ci siamo dati, è approfondire la conoscenza della qualità della fibra. In un passato ormai remoto si utilizzavano solo l’NDF, l’ADF e l’ADL per quantificare quanta e di quale tipo fosse la fibra della razione. Per chi non è un nutrizionista, è bene ricordare che l’NDF misura lo “spessore” della parete cellulare ed è pertanto la somma di emicellulosa, cellulosa e lignina. Un alimento fibroso è tanto più digeribile tanto più alta sarà la sua concentrazione di emicellulosa, che si ottiene sottraendo all’NDF l’ADF.

Interessante è avere comunque anche tanta cellulosa e poca lignina, e ciò si può quantificare sottraendo all’ADF la lignina, ossia l’ADL. Ancora più precisa è la valutazione analitica della digeribilità dell’NDF (NDFD). Ai fini pratici, potrebbe essere sufficiente concentrare le valutazioni sulla digeribilità dell‘NDF a 30 e 120 ore, anche se sono disponibili informazioni ancora più dettagliate e specifiche. 

In generale si utilizza NDFD a 30 ore per avere una stima della velocità di fermentazione della fibra nel rumine, mentre NDFD a 120 ore serve per conoscere la digeribilità potenziale massima della fibra. 

Dai dati messi a disposizione dal LAZ risulta quindi piuttosto ampia sia la digeribilità dell’NDF a 30 che quella a 120 ore. Il fatto che si possa arrivare rispettivamente al 39,6 e al 45,8% rispetto ad una media del 35.5% e 41.2% dà la speranza che un elevato margine di miglioramento genetico e colturale esiste. Interessanti, ma poco pratici, sono i dati relativi all’iNDF, ossia all’NDF indigeribile, per cercare spiegazioni quando l’ingestione di sostanza secca di un allevamento è al di sotto delle aspettative. 

Anche se i foraggi essiccati al sole o artificialmente (essiccatoi o disidratazione) hanno una minore digeribilità degli insilati, a fare la differenza in termini energetici è la loro concentrazione di zuccheri. In una tipica razione invernale destinata a bovine da latte che fanno latte per il Parmigiano Reggiano, l’ingestione di sostanza secca media può raggiungere la soglia dei 27,5 kg di sostanza secca per capo e anche superarla. 

Rispettando il rapporto foraggi concentrati del 50%, le bovine ingeriranno giornalmente 13-14 kg di sostanza secca da fieno, che corrisponde ad un tal quale di oltre 15 kg. La concentrazione di zuccheri dei fieni è molto più elevata di quella dei foraggi insilati perché questa tecnica di conservazione si basa sulla produzione di acido lattico a partire dagli zuccheri normalmente presenti nelle piante fresche, per cui negli insilati di qualità ce ne sarà una quantità molto bassa. 

Secondo le analisi del LAZ, una medica di 3°taglio ne ha mediamente l’8,5%, un polifita il 7%, un fieno di frumento il 9,6% e il fieno di loietto il 9,2%. Una tipica razione da Parmigiano Reggiano con circa 8 kg di fieni di medica di diversi tagli superiori al primo e 7 kg di graminacee di diverso tipo può apportare almeno 1200 grammi di zuccheri al giorno

Questa quota ha un effetto molto positivo per le fermentazioni ruminali, e quindi per la produzione di proteina metabolizzabile di origine microbica, specialmente se associata ad una corretta concentrazione di proteina solubile. Se la concentrazione di zuccheri (WSC) dei fieni è bassa il disciplinare ne consente, con limitazioni, l’aggiunta.

Conclusioni

La produzione di formaggi a denominazione d’origine come il Parmigiano Reggiano ha dimostrato inequivocabilmente di essere una scelta vincente perché ha garantito un armonico e profittevole sviluppo dell’allevamento della bovina da latte del Comprensorio di produzione. 

La rigidità e le limitazioni nella nutrizione di queste bovine hanno dato un contributo sostanziale nel conferire al latte quelle caratteristiche organolettiche e sanitarie che poi ritroviamo nel formaggio. 

Accanto a tutto ciò, la selezione genetica e le mutate condizioni climatiche hanno da un lato aumentato e reso complessi i fabbisogni delle bovine da latte e dall’altro messo in difficoltà la produzione di fieni di elevata qualità

Affinché questo delicato equilibrio possa essere duraturo nel tempo, è necessario che la coltivazione dei fieni o il loro acquisto segua criteri di razionalità. Il costante confronto con i tenori analitici del fieno aziendale o di quello acquistato con quello degli altri allevamenti è uno strumento essenziale perché oggettivo e razionale.