I formaggi rappresentano una categoria di alimenti estremamente variegata che comprende una moltitudine di prodotti anche molto diversi tra loro per aspetto e caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche.
Le fasi essenziali per la produzione di un formaggio sono simili per tutte le tipologie di tale alimento; il latte precedentemente raccolto subisce infatti un processo di coagulazione acida o presamica con la formazione della cagliata che poi va incontro alle successive fasi di fermentazione e maturazione. Tuttavia, ogni prodotto acquisisce caratteristiche uniche in relazione al suo peculiare processo di produzione. In base al risultato finale desiderato dal produttore, il processo di lavorazione può infatti contemplare delle fasi aggiuntive che riguardano la lavorazione del latte e della cagliata (ad esempio l’aggiunta di innesti microbici o filatura della cagliata), e si diversifica in relazione agli specifici parametri di processo adottati dal casaro che incidono in maniera determinante sulle caratteristiche del prodotto (ad esempio i tempi e le temperature applicate durante le fasi di maturazione e di stagionatura).
L’Italia rappresenta uno dei paesi di spicco in ambito internazionale riguardo l’offerta di prodotti lattiero-caseari, vantando un elevatissimo numero di prodotti riconosciuti a livello europeo attraverso le denominazioni di tutela (56 DOP e 3 IGP, fonte Masaf – DOP e IGP – Formaggi (politicheagricole.it)) e centinaia di formaggi registrati nelle liste regionali come “tradizionali” (i PAT Prodotti Agroalimentari Tradizionali). In molti casi, tali prodotti vengono ottenuti attraverso disciplinari di produzione che prevedono la lavorazione del latte crudo, ovvero latte che non ha subito trattamenti termici quali la pastorizzazione, al fine di eliminare eventuali microrganismi indesiderati.
Perchè il latte crudo
L’utilizzo del latte crudo nella pratica casearia origina da diverse motivazioni.
Uno degli scopi principali è quello di garantire una maggiore tipicità del prodotto. La flora microbica autoctona del latte, la cui composizione è strettamente legata ad una specifica tipologia di produzione e territorio, non viene infatti eliminata attraverso un trattamento termico, contrariamente a quanto avviene per i formaggi a latte pastorizzato. Mentre per questi ultimi è necessaria l’aggiunta di fermenti microbici esterni per consentire una corretta acidificazione, e quindi successiva caseificazione del latte, i formaggi al latte crudo contengono flore batteriche tipiche che si sono selezionate nel corso del tempo in un certo ambiente di produzione. In questo modo il prodotto acquisisce caratteristiche di aroma e sapore uniche che lo distinguono dai prodotti a latte pastorizzato e che sono molto ricercate dal consumatore.
È importante ricordare anche che molte tipologie di formaggio a latte crudo derivano principalmente da piccole realtà produttive locali e sono ottenute attraverso l’adozione di metodiche consolidate nel tempo, a volte tramandate da generazioni in ambito familiare, e che quindi non prevedevano originariamente l’utilizzo di pastorizzatori. In alcuni casi è quindi molto forte la volontà, da parte del produttore, di modificare il meno possibile tali modalità di lavorazione tipiche, al fine di preservare le caratteristiche peculiari di prodotti che, al di là degli aspetti gastronomici, hanno un forte valore identitario in virtù della loro una lunga tradizione, rappresentando un’eredità sociale e storica del territorio.
Per alcuni piccoli produttori, l’utilizzo di latte crudo rappresenta invece una scelta obbligata ovvero dovuta all’impossibilità di acquisire apparecchi di pastorizzazione, che necessitano di investimenti economici non trascurabili per l’acquisto, la manutenzione, la formazione per il corretto utilizzo, etc., specialmente in considerazione di introiti limitati dalla lavorazione di bassi volumi di latte. In altri casi, l’utilizzo di un pastorizzatore è precluso a priori a causa di difficoltà logistiche/pratiche. Basti pensare a quei micro-caseifici aziendali spesso collocati in territori marginali, che, oltre ad essere collocati in situazioni svantaggiate per approvvigionamento idrico ed elettrico, producono piccolissime quantità di prodotto e solo stagionalmente.
I rischi dei formaggi a latte crudo
La letteratura scientifica e i dati di sorveglianza sanitaria ci sottolineano che, qualora non vengano adottate le necessarie precauzioni, l’utilizzo a latte crudo per la produzione di formaggio può implicare un maggiore rischio igienico-sanitario per il consumatore. Esistono infatti molteplici agenti microbici che possono contaminare il latte durante la mungitura dei capi e che, in adeguate condizioni, possono sopravvivere ai diversi trattamenti propri della caseificazione ed essere rinvenuti quindi anche nel prodotto finito. La mungitura in particolare rappresenta una fase cruciale in questo senso: i microrganismi patogeni sono presenti nel tratto gastro-enterico o sulla cute degli animali da reddito, nell’ambiente di allevamento, sulle mani degli operatori etc., e potrebbero accidentalmente disperdersi nel latte contaminandolo, qualora non vengano rispettate le buone pratiche di lavorazione.
Tra i principali pericoli microbiologici associati al consumo di “formaggi a latte crudo” sono compresi Salmonella spp, Campylobacter jejuni, E. coli produttori di shigatossine (STEC), Staphylococcus aureus tossigeni, Listeria monocytogenes e, sebbene fortunatamente, più raramente, Brucella spp e micobatterio tubercolare.
La maggior parte dei patogeni di questa lista sono in grado di causare sindromi gastro-enteriche che si risolvono nell’arco di alcuni giorni qualora siano coinvolte persone in buona salute, ma potrebbero causare conseguenze più gravi in caso di persone fragili (es. anziani o persone debilitate). Altri patogeni invece possono essere responsabili di sintomatologie sistemiche di notevole gravità che possono anche condurre a danni permanenti o anche al decesso.
Il ruolo della pastorizzazione
La somministrazione di un trattamento termico come la pastorizzazione (72°C per 15 secondi o trattamenti tempo/temperatura equivalenti) riesce a mitigare significativamente il rischio, poiché in grado di inattivare eventuali patogeni presenti nel latte, anche se presenti in concentrazioni rilevanti, sebbene permanga la possibilità di ricontaminazioni del prodotto lungo tutta la filiera produttiva. Nel caso dei formaggi a latte crudo questo strumento di prevenzione non viene attuato e di conseguenza diverse sono le misure e precauzioni specifiche che vengono messe in pratica da enti di controllo e produttori sia per ridurre la probabilità di contaminazione, sia per limitare la sopravvivenza di microrganismi indesiderati qualora presenti.
Requisiti igienico-sanitari negli allevamenti e nella trasformazione
E’ necessario ricordare che tutti gli allevamenti da latte e le aziende di trasformazione casearia, presenti sul territorio italiano ed europeo, sono considerati Operatori del Settore Alimentare (O.S.A.) e quindi devono essere registrati e/o riconosciuti sulla base della normativa europea vigente. Questo implica che la loro capacità di produrre è vincolata al rispetto dei requisiti igienico-sanitari che derivano a loro volta dall’utilizzo di ambienti e strumentazioni adeguate, all’adozione di buone pratiche igieniche di lavorazione, alla formazione del personale e all’adozione di sistemi di controllo aziendali in grado di identificare e limitare i pericoli (es. HACCP). Le Autorità Sanitarie hanno il compito di verificare il rispetto di tali requisiti attraverso la periodica attività di sorveglianza degli O.S.A. e vincolare la produzione a necessarie azioni correttive.
In allevamento, ad esempio, il personale addetto alla gestione degli animali, deve seguire i dettami dei manuali di buona prassi igienica per scongiurare possibili contaminazioni del latte che contemplano la pulizia degli animali prima della mungitura, il monitoraggio dello stato sanitario della mammella e del latte munto, l’uso e il mantenimento adeguato dei dispositivi di mungitura. Ai fini della qualità sanitaria del prodotto, è infatti di primaria importanza, che l’allevatore garantisca adeguati standard di igiene in allevamento e nei luoghi deputati alla raccolta del latte, in quanto ha un forte impatto sul livello di contaminazione dell’alimento.
La fase della mungitura rappresenta un momento cruciale essendo potenzialmente il primo step per l’introduzione di patogeni in questa filiera alimentare; i contaminanti presenti nell’ambiente circostante, sulla cute degli animali o nel tratto enterico possono venire accidentalmente dispersi nel latte durante le operazioni di mungitura. Proprio al il fine di garantire una buona qualità igienico-sanitaria del latte ed indurre gli O.S.A. ad applicare correttamente le buone pratiche di mungitura, la normativa ha definito dei requisiti minimi che il latte destinato al consumo umano deve possedere, in relazione alle diverse specie lattifere. Il latte crudo di vacca deve avere ad esempio un tenore di germi a 30 °C inferiore alle 100.000 ufc/ml ed un tenore di cellule somatiche inferiore a 400.000 cellule/ml (calcolati in termini di media geometrica mobile). Il latte di altre specie (bufala, pecora, capra) deve avere invece un tenore di germi a 30 °C non superiore di 1.500.000 ufc/ml (calcolati in termini di media geometrica mobile). Il tenore in germi a 30 °C, definito come “carica batterica totale”, rappresenta un indice per verificare lo stato igienico del latte dopo la sua raccolta e la conservazione. Inoltre, il legislatore, stabilisce che, in caso di produzione di prodotti “al latte crudo”, che come già detto, non comporta alcun trattamento termico, il latte deve contenere una carica batterica totale inferiore a 500.000 ufc/ml (calcolati in termini di media geometrica mobile).
Tecniche di produzione e ulteriori precauzioni
Oltre ad una buona qualità della materia prima, diverse precauzioni possono essere adottate dal produttore per limitare la crescita o, ancora meglio, indurre la morte di eventuali patogeni alimentari. L’acidificazione della cagliata, ad esempio, rappresenta una fase importante in questo senso. I batteri lattici presenti prima nel latte e poi nel coagulo caseoso, svolgono la loro azione di acidificazione, riducendo significativamente il pH e creando condizioni ideali per lo sviluppo della popolazione microbica prevalente. In questo modo entrano in competizione i patogeni alimentari, che generalmente preferiscono un pH più elevato (tendente alla neutralità), e di conseguenza limitano la loro capacità di crescita e/o sopravvivenza. Tali condizioni inadatte ai più comuni patogeni alimentari persistono o addirittura si acuiscono durante il processo di stagionatura in molte tipologie di formaggio; oltre alla competizione con le popolazioni batteriche lattiche e il basso pH, si aggiunge poi una diminuzione dell’acqua libera (l’acqua del prodotto disponibile per le funzioni vegetative dei microrganismi) che contribuisce a diminuire ancora di più la concentrazione di contaminanti microbici, ovviamente la salatura aiuta a realizzare queste condizioni. In genere, maggiore è la durata della stagionatura, più elevato sarà il tasso di inattivazione atteso del patogeno nel prodotto finito. Proprio per questi motivi, il legislatore ha stabilito che in caso di produzione di formaggi freschi a latte crudo (breve stagionatura) e qualora siano rilevate contaminazioni microbiche indesiderate nel latte o nella cagliata (riscontrata in eventuali analisi di autocontrollo), il produttore dovrà stagionare il prodotto per almeno 60 giorni prima di commercializzarlo.
Esistono infine ulteriori fasi di lavorazione, non presenti in tutti i disciplinari di produzione del formaggio, perché propri di una certa tipologia di prodotto, che possono mitigare ulteriormente il rischio. La filatura, ad esempio, è un trattamento necessario per la produzione di una vasta gamma di formaggi, tra i quali la mozzarella e il caciocavallo, che consiste nel mettere a contatto la cagliata con acqua molto calda (es. 90 °C) in modo da renderla di consistenza elastica per dare la successiva forma al prodotto finale. Sebbene il trattamento non sia paragonabile alla pastorizzazione perché potrebbe avvenire in maniera non omogena, diversi studi hanno dimostrato che le combinazioni tempo/temperatura comunemente adottate per la filatura consentono di abbattere significativamente la concentrazione di eventuali patogeni presenti.
Per altre tipologie di formaggio invece, al fine di ottenere una maggiore consistenza della pasta, il casaro può provvedere alla cosiddetta “cottura della cagliata“, ovvero la cagliata viene ulteriormente scaldata per favorire un ulteriore spurgo del siero. Sebbene questo possa avvenire in modalità diverse a seconda del formaggio che si vuole produrre, in molti casi si ha un ulteriore effetto di selezione sulla flora microbica presente favorendo la sopravvivenza dei microrganismi non pericolosi.
I controlli delle Autorità Sanitarie
Oltre alle misure di base, messe in atto dagli O.S.A., ulteriori garanzie vengono date dalle attività di sorveglianza e controllo delle Autorità Sanitarie.
Sulla base del maggior grado di rischio rappresentato dai formaggi a latte crudo per molti pericoli alimentari, la frequenza dei controlli di tali produttori è solitamente maggiore e include “audit” ed “ispezioni periodiche” finalizzate al controllo delle apparecchiature, delle materie prime e del prodotto finito, degli ambienti di lavorazione, del rispetto delle buone pratiche igieniche di lavorazione e dei sistemi di autocontrollo del produttore.
I diversi enti di controllo provvedono anche al prelievo di campioni, sia in allevamento che in fase di trasformazione, al fine di verificare il rispetto dei requisiti di legge. I campioni di latte e formaggio vengono quindi conferiti alla rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, e dei laboratori del Sistema Sanitario Nazionale accreditati secondo gli standard internazionali che, attraverso le analisi, certificano il profilo del rischio microbiologico, chimico e fisico derivanti dalla eventuale presenza di sostanze indesiderate fra cui micotossine, contaminanti ambientali e residui di farmaci. A tali dinamiche si affiancano il Sistema Europeo di allerta rapido per gli alimenti (RASFF) e i diversi sistemi di sorveglianza degli altri paesi europei permettendo di scambiare informazioni tra gli “stakeholder” (portatori di interesse) qualora sia stata identificata la presenza di alimenti contaminati sul mercato o a seguito di focolai di tossinfezione alimentare. Tali sistemi permettono quindi l’eventuale attivazione di misure di emergenza atte a limitare la diffusione di alimenti pericolosi e quindi prevenire ulteriori rischi per il consumatore.
In conclusione, il consumatore che decide di acquistare un formaggio può orientare la scelta verso prodotti ottenuti da latte trattato termicamente o a latte crudo: in entrambi i casi è presente un efficace sistema integrato che gestisce gli eventuali rischi microbiologici, chimici e fisici dei prodotti. I formaggi a latte crudo, sono molto spesso l’espressione delle tradizioni, dei luoghi e delle tecniche di produzione, del nostro paese e rappresentano un valore della nostra cultura gastronomica.
Autori
Carlo Boselli, Giovanni Brajon, Roberto Condoleo – Istituto zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana “M. Aleandri”