Metabolismo e immunità nel periparto bovino: un delicato equilibrio da comprendere e gestire – Prima parte

La prima parte di un approfondimento scientifico dedicato alla fase di transizione, per analizzare i meccanismi fisiopatologici a questa collegati ed individuare indicatori affidabili a garanzia di un periparto di successo

11 Giugno, 2025

Le bovine da latte, durante il loro adattamento al periparto, vanno incontro a disfunzioni immunitarie e condizioni infiammatorie sistemiche di diversa gravità, tempistica e durata. Una più approfondita comprensione dei meccanismi fisiopatologici e l’individuazione di indicatori affidabili associati a un periparto di successo rappresentano elementi strategici per la gestione ottimale di questa fase delicata.

In questa prima parte ci addentreremo nella fase di transizione della bovina da latte, esplorando i meccanismi fisiologici coinvolti e le cause delle problematiche tipiche di questa fase, concentrandoci sulla definizione del periodo di transizione e sull’analisi dei principali processi fisiologici che lo caratterizzano. La seconda parte, di prossima pubblicazione, sarà invece dedicata all’approfondimento delle complesse interazioni tra metabolismo e funzionalità del sistema immunitario in questo periodo.

La complessità del periparto nella bovina da latte è riconosciuta da tempo. In questo periodo critico, che si estende dalla tarda gestazione all’inizio della lattazione, le bovine affrontano numerose sfide: alcune, legate all’ambiente, sono difficilmente prevedibili; altre invece derivano direttamente dall’adattamento fisiologico necessario per attraversare con successo questa fase. Alcuni dei principali processi coinvolti comprendono la regolazione endocrina coordinata della crescita del feto, il rinnovamento dell’epitelio mammario e la preparazione al parto. Questi eventi fisiologici modificano profondamente la ripartizione dei nutrienti tra i diversi compartimenti funzionali dell’organismo.

Dal punto di vista fisiologico, si possono identificare tre fasi gestionali particolarmente delicate: la messa in asciutta, con la cessazione della mungitura e l’avvio del processo di involuzione della ghiandola mammaria; l’ultimo mese di gravidanza, caratterizzato dalla rapida crescita del feto e dall’aumento dei fabbisogni energetici; il parto, che segna la ripresa dell’attività galattopoietica. In questo arco temporale, possono essere necessari fino a quattro variazioni della dieta al fine di soddisfare in modo mirato le progressive esigenze metaboliche e fisiologiche della bovina.

Ogni variazione di dieta richiede un adattamento a livello del tratto gastrointestinale, con conseguenze sulla composizione del microbiota, sull’efficienza digestiva e sul rimodellamento degli epiteli e degli organi coinvolti nella digestione e assorbimento. A questi complessi adattamenti fisiologici si affiancano quelli di natura gestionale: le transizioni alimentari, infatti, sono spesso accompagnate da spostamenti delle bovine tra diversi gruppi produttivi, con l’inserimento in nuove dinamiche sociali e gerarchiche. Questo cambiamento rappresenta una ulteriore fonte di stress legato alla necessità di ristabilire nuovi equilibri sociali, con potenziali ripercussioni negative sul benessere animale.

Periparto e chetosi: oltre il deficit energetico, verso una visione multifattoriale

Il primo fenomeno critico che ha attirato l’interesse della comunità scientifica in merito alla salute della bovina nel periparto è stato il disallineamento tra l’energia e i nutrienti forniti dall’ingestione alimentare e quelli richiesti per soddisfare i fabbisogni, in primis quelli determinati dall’attività della ghiandola mammaria (Shaw, 1956). Dagli studi è emerso chiaramente come, in questa fase, la carenza di energia e nutrienti fosse associata ad una intensa mobilizzazione delle riserve corporee, principalmente a carico dei tessuti adiposo e muscolare, al fine di soddisfare la richiesta energetica mammaria e sostenere la gluconeogenesi epatica (Drackley, 1999). Questa condizione metabolica predispone la bovina allo sviluppo della chetosi primaria (Bell, 1995), caratterizzata da un’insufficiente disponibilità di precursori glucogenetici a livello epatico, un’ossidazione incompleta degli acidi grassi non esterificati (NEFA) e il conseguente rilascio di corpi chetonici, tra cui il β-idrossibutirrato (BHB).

Tradizionalmente, la patogenesi della chetosi è stata interpretata attraverso il paradigma secondo cui, in particolare nelle bovine ad alta produzione, l’apporto di nutrienti risulta insufficiente a supportare adeguatamente le principali vie metaboliche attive nel periparto. Il bilancio energetico negativo (NEB) al momento del parto è stato così attribuito quasi esclusivamente alla riduzione dell’ingestione alimentare, e la chetosi è stata interpretata come la conseguenza diretta di un profondo squilibrio del metabolismo energetico e proteico, incapace di soddisfare le elevate richieste nutrizionali.

Considerando che tale squilibrio inizia pochi giorni prima del parto e raggiunge il picco nelle prime settimane di lattazione, le strategie gestionali si sono concentrate sull’aumento dell’ingestione di energia (promuovendo il consumo volontario o aumentando la densità energetica della dieta), con l’obiettivo di minimizzare la mobilizzazione lipidica, il rischio di accumulo epatico di NEFA e la produzione di corpi chetonici. Tuttavia, l’insorgenza della chetosi si è dimostrata spesso legata a fattori individuali, mostrando una correlazione debole con la gestione dell’allevamento o la composizione della razione, e suggerendo cause non legate esclusivamente alla quantità di energia fornita. Già Shaw (1956) aveva ipotizzato un coinvolgimento epatico nella progressione della chetosi, osservando un “ingrossamento del fegato e una degenerazione grassa” dell’organo.

Oggi è ampiamente riconosciuto che, quando l’assorbimento epatico di NEFA eccede la capacità di ossidazione e secrezione del fegato, i lipidi in eccesso si accumulano sotto forma di triacilglicerolo, determinando la comparsa di steatosi epatica (Drackley, 1999). Nonostante quasi tutte le vacche ad alta produzione vadano incontro a un marcato bilancio energetico negativo (NEB) nelle prime settimane di lattazione, solo una parte di esse — fino al 50% — sviluppa una forma di steatosi epatica clinicamente rilevante, a conferma dell’esistenza di una variabilità individuale nella risposta metabolica a questa condizione. Successivamente, Baird (1982) intuì che, oltre al fegato, anche altri organi come il sistema nervoso centrale e l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene fossero coinvolti nell’eziopatogenesi della chetosi, suggerendo di concentrare le ricerche sui meccanismi che conferiscono priorità alla produzione lattea e regolano l’appetito.

Questa idea ha trovato conferma solo negli ultimi due decenni, grazie alla consapevolezza che la ripartizione dei nutrienti nei diversi percorsi metabolici della vacca nel periparto non è determinata solo dalla disponibilità di nutrienti, ma anche da alterazioni programmate delle attività enzimatiche a livello di diversi organi, giocando un ruolo chiave nella gravità del NEB. Fegato, tessuto adiposo e muscolare, infatti, vanno incontro a rilevanti rimodellamenti endocrini e funzionali durante il periodo di transizione. Questi adattamenti confermano che l’insorgenza delle malattie metaboliche nella fase post-parto è il risultato di uno squilibrio complesso e multifattoriale nei principali assi metabolici, e non semplicemente di una carenza energetica.

Metabolismo e immunità nel periparto: verso una visione integrata

Le interazioni tra metabolismo e sistema immunitario (immunometabolismo) sono studiate da decenni nella biologia della bovina nel periparto, e studi recenti continuano ad affinare la comprensione di questi processi complessi. In questo contesto, l’infiammazione rappresenta la risposta immunitaria maggiormente indagata per valutare il livello di immunocompetenza dell’organismo. Si tratta di una difesa generalizzata mediata dal sistema immunitario innato e attivata in presenza di stimoli eterogenei di natura sia biotica (come agenti patogeni) sia abiotica (traumi, stress metabolico o ambientale).

Una volta instaurata, l’infiammazione determina una riallocazione funzionale dei nutrienti che vengono concentrati verso il supporto delle cellule immunitarie, modificando profondamente il metabolismo sistemico. Nelle bovine nel periparto, molteplici fattori contribuiscono all’innesco di condizioni infiammatorie localizzate in diversi organi e, in modo quasi fisiologica, anche a livello sistemico. Ciò è dovuto al fatto che l’infiammazione svolge un ruolo fisiologicamente necessario in diversi processi chiave del periparto, tra cui l’espulsione della placenta, l’involuzione dell’utero e il rimodellamento del tessuto mammario. Tuttavia, quando l’infiammazione eccede i limiti della fisiologia adattativa può compromettere numerose funzioni metaboliche. Nelle bovine in periparto l’entità e la durata dello stato infiammatorio risultano strettamente correlate alla salute generale, alle performance produttive e alla funzionalità di organi chiave come fegato utero e ghiandola mammaria (Trevisi e Minuti, 2018). Inoltre, la risposta infiammatoria è spesso accompagnata da un aumento della produzione di specie reattive dell’ossigeno e dell’azoto, generate sia dai leucociti attivati sia da cellule di organi a elevata richiesta energetica, come la ghiandola mammaria e il muscolo scheletrico. L’accumulo di queste molecole ossidanti può contribuire all’instaurarsi di uno stato di stress ossidativo, con effetti deleteri sulle strutture cellulari e sulla comunicazione intercellulare, aggravando ulteriormente le disfunzioni metaboliche nel periparto. Non sorprende quindi che il sistema immunitario sia oggi riconosciuto come un fattore chiave nell’eziologia di numerose malattie metaboliche, tra cui la chetosi, un’ipotesi già avanzata diversi decenni fa e oggi supportata da evidenze sperimentali sempre più solide. Già negli anni ’50, Shaw (1956) osservava che “la chetosi è frequentemente accompagnata da varie complicazioni, come metrite, ritenzione di placenta, nefrite e altre anomalie.”

Grummer (1995) è stato il primo a identificare il periodo di transizione come una fase ad alto rischio per l’insorgenza di malattie metaboliche, delimitata dalle 3 settimane che precedono e seguono il parto. In tale contesto egli evidenziò come “l’ingestione alimentare si riduce generalmente del 30-35% nelle ultime 3 settimane pre-parto”, pur rilevando che segni clinici di carenze energetico-proteiche compaiono solo a inizio lattazione. Pertanto, risultava complesso stabilire se il deficit nutrizionale associato alla chetosi fosse una causa o una conseguenza della ridotta ingestione: la diminuzione dell’assunzione alimentare era da attribuire a una reale incapacità della vacca di soddisfare i propri fabbisogni, oppure rappresentava essa stessa l’esito di condizioni patologiche già in atto nel preparto? In una magistrale review, Drackley (1999) evidenziò come la comprensione della biologia della bovina da latte in transizione fosse ancora limitato da numerose lacune conoscitive. In particolare, sottolineò la necessità di ulteriori studi per chiarire le relazioni tra ridotta ingestione, eccessiva mobilizzazione lipidica e infiltrazione lipidica epatica.

Una rappresentazione schematica delle interazioni tra sistema immunitario e metabolismo nella vacca nel postparto è proposta nella figura seguente. Nella parte sinistra della figura è rappresentata, in verde, il caso di una bovina che mostrai un adattamento efficace alla nuova lattazione. In questo scenario, l’ingestione di sostanza secca è adeguata a garantire un apporto energetico sufficiente a sostenere la gluconeogenesi epatica e limitare la mobilizzazione dei grassi corporei. Il sistema immunitario si mantiene in uno stato di equilibrio funzionale senza interferire negativamente con i processi fisiologici. In tale condizione il fegato è in grado di sintetizzare prevalentemente proteine di fase acuta negative (APP), indicatrici di uno stato infiammatorio minimo o assente. Al contrario la bovina evidenziata in rosso rappresenta un caso di adattamento inefficace. L’ingestione di sostanza secca risulta insufficiente, amplificando il bilancio energetico negativo (NEB) e innescando un’intensa lipomobilizzazione. In queste condizioni l’elevato afflusso di NEFA al fegato promuove sia la sintesi di corpi chetonici come il Beta-butirrato (BHB) sia l’accumulo di lipidi negli epatociti (steatosi epatica).

Parallelamente il sistema immunitario entra in attivazione, aumentando ulteriormente la richiesta energetica dell’organismo. L’attivazione immunitaria può essere indotta da molteplici stressori tra cui endotossine batteriche (LPS), infezioni batteriche o agenti abiotici provenienti da diversi distretti anatomiche come ad esempio i piedi, la ghiandola mammaria, il tratto gastrointestinale o l’utero. La risposta immunitaria è mediata dal rilascio di citochine pro-infiammatorie (PIC), che deprimono ulteriormente l’appetito, aggravano il bilancio energetico negativo e promuovono la sintesi di proteine di fase acuta positive (APP) nel fegato, biomarcatori di una risposta infiammatoria attiva.

Nonostante i significativi progressi compiuti nella comprensione della fisiologia della bovina in transizione, molti interrogativi rimangono ancora irrisolti. Anche nelle più recenti revisioni della letteratura, gli autori concordano nel ritenere che “i fattori predisponenti a disfunzioni metaboliche, fisiologiche e immunitarie possano precedere le manifestazioni cliniche comunemente attribuite alla chetosi” (Rico e Barrientos-Blanco, 2024). Alla luce di queste evidenze, emerge chiaramente che un’analisi limitata al solo periparto non è sufficiente per comprendere appieno i meccanismi di adattamento alla lattazione. È infatti necessario ampliare l’orizzonte temporale delle osservazioni ai periodi precedenti il parto, considerando le alterazioni precoci che coinvolgono il sistema immunitario e l’assetto endocrino-metabolico.

Rivalutare la definizione convenzionale del periodo di transizione

Diventa quindi necessario riconsiderare la definizione tradizionale del periodo di transizione, classicamente limitato alle tre settimane pre- e post-parto. Evidenze recenti indicano infatti che numerosi fattori predisponenti si originano molto prima delle tre settimane preparto influenzando la capacità della bovina di affrontare con successo questa fase. Allo stesso modo, le conseguenze di una transizione inadeguata possono protrarsi ben oltre il limite convenzionale delle tre settimane postpartum. Il momento ideale da cui far partire questa rivalutazione del periodo di transizione non è stato ancora definito in modo univoco poiché esso dipende principalmente dall’esordio dei processi infiammatori che agiscono come minacce potenziali per l’adattamento metabolico della vacca alla nuova lattazione.

Studi recenti hanno evidenziato il potenziale utilizzo di biomarcatori ematici come strumenti predittivi nel contesto della transizione, con particolare attenzione a quelli associati allo stato infiammatorio, che si sono dimostrati essere i più promettenti. Diversi studi hanno documentato l’andamento preparto di citochine pro-infiammatorie (PIC), misurate fino a 8 settimane prima del parto con l’obiettivo di fornire una chiave predittiva sull’efficacia dell’adattamento delle bovine al periodo di transizione (Dervishi et al., 2016; Zhang et al., 2016). Anche modelli predittivi basati sulle concentrazioni di BHB, NEFA e calcio hanno mostrato il potenziale di identificare le bovine a maggior rischio di sviluppare malattie legate alla transizione (Wisnieski et al., 2019). Questo risultato è coerente con le osservazioni di Horst et al. (2021), che sfidano il dogma della chetosi come esclusivo disturbo metabolico. Gli autori propongono infatti che, nelle bovine sane, le variazioni nei livelli circolanti di NEFA, corpi chetonici e calcio rappresentano segnali indiretti di attivazione immunitaria piuttosto che semplici adattamenti metabolici fisiologici all’inizio della lattazione.

Un ulteriore studio del nostro gruppo ha evidenziato che la condizione di chetosi subclinica nella prima lattazione era preceduto da alterazioni significative nei parametri infiammatori, rilevabili già fino a 48 giorni prima del parto (Mezzetti et al., 2019). Più recentemente, abbiamo mostrato come indicatori associati ad alterazioni nella funzionalità del sistema immunitario, misurati già prima della messa in asciutta, possano predire l’adattamento della bovina al periparto (Cattaneo et al., 2021). Nello studio, le vacche sono state classificate in base alla intensità della risposta di fase acuta del fegato, valutata attraverso il rapporto albumine/globuline calcolato sette giorni prima della messa in asciutta. Gli animali con i valori più bassi hanno mostrato le peggiori performance sia durante la fine della gravidanza sia nella lattazione successiva. Questi studi aprono nuove prospettive nell’identificazione precoce dei soggetti a rischio di affrontare una transizione disfunzionale verso la lattazione successiva, anticipando la possibilità diagnostica a prima del periodo di asciutta. Questo incoraggia l’adozione di interventi mirati a migliorare lo stato di salute dell’animale e le prestazioni a lungo termine (Cattaneo et al., 2023).

Nel prossimo articolo approfondiremo le dinamiche delle risposte immunitarie e infiammatorie nel periparto, con l’obiettivo di comprenderne meglio le cause, i meccanismi di attivazione e le implicazioni sulla salute e sulla produttività della bovina da latte.

La presente nota è una sintesi del seguente articolo scientifico pubblicato dalla rivista Journal of Dairy Science, dove è riportata tutta la letteratura citata: Trevisi, E., L. Cattaneo, F. Piccioli-Cappelli, M. Mezzetti, and A. Minuti. 2025. International Symposium on Ruminant Physiology – The immunometabolism of transition dairy cows from dry-off to early lactation: lights and shadows. Journal of Dairy Science. doi:10.3168/jds.2024-25790.

 

A cura di Luca Cattaneo

 

Da leggere - Giugno 2025

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