Sul dibattito attualissimo del consumo dei formaggi a latte crudo, riceviamo e pubblichiamo uno dei numerosi contributi che affronta la questione in modo serio e scrupoloso.
Sandro Gallina, tecnologo caseario dalla lunga esperienza maturata in grandi aziende del settore e oggi titolare del caseificio Gallina Golosa a Vottignasco (CN), tiene a precisare come sia corretto riportare in etichetta l’indicazione ‘a latte crudo’ e del potenziale rischio per la salute di bambini e immunodepressi, ma sottolinea con forza come invece sia deleteria la demonizzazione dell’intera categoria di piccoli produttori che ogni giorno si impegnano, fin dalla stalla, per garantire qualità e sicurezza alimentare.
Sandro, che conosce bene la realtà dei formaggi ‘Fermier’ francesi, cioè di fattoria, prodotti con metodi artigianali, da un unico casaro che trasforma il latte dei propri animali, spiega che:
«Oltralpe il bollino a latte crudo è considerato un vanto, un plus, perché riconosce il valore specifico di una produzione unica e altamente qualificata. Da noi, il “bollino” rischia di essere considerato un’infamia e questo non va assolutamente bene. Il “bollino” deve avere, invece, una duplice valenza: da un lato richiamare l’attenzione sulle caratteristiche specifiche del prodotto, dall’altro certificarne il valore aggiunto che lo distingue dagli altri. Nessuno più di chi conosce il proprio latte, sa come lavorarlo, assumendosene la responsabilità. Dopo una stagionatura di novanta giorni, la presenza batterica è quasi completamente assente. Diversamente, il prodotto è comunque garantito dal rigoroso rispetto delle norme di sicurezza alimentare, che in Italia sono le più severe al mondo».
Sul piano tecnico, è ancora Gallina a parlare e a invitare a considerare un aspetto non secondario:
«Attenzione a credere, per contro, che i prodotti pastorizzati siano più “puliti” e più “sicuri” di quelli a latte crudo, perché non è così. Se è vero che la cottura elimina tutti i batteri nel latte, la contaminazione può avvenire comunque nei successivi passaggi della lavorazione, se non vengono eseguiti correttamente, dalla produzione, al confezionamento, alla messa in vendita, con rischi addirittura maggiori, perché in questi casi i batteri patogeni che venissero a contatto con il formaggio sterilizzato non incontrerebbero resistenza, mentre nei formaggi a latte crudo avrebbero più difficoltà a riprodursi per l’azione della naturale carica batteria antagonista contenuta in quei prodotti. Questo per dire che nessun formaggio può dirsi esente da contaminazioni. Non si cada nell’equivoco, talvolta indotto, di far diventare cattive le pecore e buoni i lupi».
Sulla stessa scia anche il presidente provinciale di Cia Agricoltori Cuneo, Claudio Conterno, il quale invita a riflettere per evitare ingiustificati allarmismi e, ancor di più, scongiurare possibili e devastanti ripercussioni soprattutto sul popolo dei piccoli produttori caseari.
L’Italia intera è costellata di piccoli caseifici, molti dei quali vedono la collaborazione fra generazioni, nonni, genitori, figli, anche molto giovani, che decidono di intraprendere questo appassionate lavoro, per portare avanti una produzione di qualità.
Quello che in questo momento è sicuramente fondamentale è promuovere un’informazione chiara ed equilibrata, che riconosca il valore del lavoro artigianale senza trascurare la sicurezza alimentare. Solo così sarà possibile garantire un futuro a quei piccoli produttori che, ogni giorno, si impegnano per offrire prodotti di eccellenza, rispettando la storia e l’identità del nostro territorio.