L’arte gastronomica siciliana: i caci figurati
I caci figurati sono piccoli formaggi zoomorfi a pasta filata, tutelati come PAT, espressione della cultura casearia siciliana

La Sicilia vanta tradizioni gastronomiche che sono vere e proprie forme d’arte, capaci di coniugare sapore, maestria artigianale e valore culturale. Tra queste, un posto d’onore spetta ai caci figurati, piccoli formaggi che rappresentano animali di fattoria, modellati a mano, espressione di una creatività pastorale antica e ancora viva.
Come nella pasticceria siciliana la frutta Martorana – dolce a base di pasta di mandorle – stupisce per il suo realismo, anche nella caseificazione i caci figurati sorprendono per creatività e perfezione.
I caci figurati sono una tipicità della Sicilia nord-occidentale e nord-orientale, in particolare dei Monti Nebrodi, delle Madonie e del territorio di Contessa Entellina in provincia di Palermo. Si tratta di formaggi a pasta filata, appartenenti alla stessa famiglia della Provola dei Nebrodi DOP, realizzati con latte vaccino crudo e modellati manualmente per raffigurare figure dell’aia e del bosco: cavalli, uccelli, cervi, gallinelle, pecore.
Il loro valore va ben oltre quello gastronomico: sono riconosciuti dal Ministero delle Politiche Agricole come Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) e rappresentano un vero patrimonio etno-gastronomico. La loro storia sembra essere molto antica, ma una traccia certa è quella della Mostra Etnografica Siciliana di Palermo del 1892, quando vennero presentati ufficialmente ad un vasto pubblico, riscuotendo grande successo proprio per la loro originalità.
La lavorazione dei caci figurati ricalca quella della Provola dei Nebrodi, portando avanti una tradizione, quella delle paste filate, che in Sicilia si esprime in formaggi di eccellenza, basti pensare al Ragusano DOP o alla Vastedda del Belice, l’unico formaggio ovino a pasta filata.
La lavorazione è quella classica. Comincia con latte vaccino crudo che viene coagulato con caglio naturale per ottenere la cagliata poi lasciata acidificare e quindi filata in acqua calda. Ma è nella fase della filatura che entra in gioco la maestria del casaro-artista. La pasta, ancora calda e malleabile, viene rapidamente modellata a mano – talvolta con l’ausilio di piccoli utensili di legno – per creare sagome di animali, ispirate alla vita contadina. L’operazione deve avvenire in pochi minuti, prima che la pasta si raffreddi e perda plasticità.
I formaggi così ottenuti, dal peso medio di circa 500 grammi, vengono poi immersi in salamoia per la salatura e lasciati stagionare. All’esterno si forma una crosta sottile giallo paglierino, mentre l’interno rimane bianco o leggermente dorato. La consistenza è morbida e compatta; il sapore dolce e di lattico fresco, più deciso con la maturazione.
Secondo fonti orali raccolte dall’etnografo Antonino Uccello, i caci figurati nacquero con un intento educativo: rendere il formaggio appetibile ai bambini, trasformandolo in un piccolo giocattolo edibile. Con il tempo, però, questa funzione lasciò spazio a quella decorativa e cerimoniale divenendo doni per le feste religiose, i matrimoni, le nascite, oltre che oggetti da esporre con intento decorativo sulla tavola.
Ancora oggi, in alcune comunità, questi formaggi sono realizzati in occasione di ricorrenze, e non è raro assistere a dimostrazioni pubbliche o corsi in cui i casari insegnano ai giovani a modellare la pasta filata, trasmettendo saperi manuali che rischierebbero altrimenti di perdersi, disperdendo un patrimonio di valore che non è solo gastronomico ma culturale.