Nell’immaginario collettivo l’uso dei grassi nella dieta giornaliera delle bovine in lattazione, ma anche di bufale, pecore e capre, è visto in maniera positiva e quindi ritenuto un investimento molto utile. Ai grassi si attribuiscono effetti benefici sulla produzione di latte e sul suo contenuto in grasso, sulla salute e sulla fertilità.

Conseguentemente al riscontro di troppe diagnosi di gravidanza negative e ad una percentuale ritenuta eccessiva di cisti ovariche, è frequente che il veterinario chieda all’alimentarista aziendale una dieta con maggiore energia e la strada più semplice per farlo è aumentare la concentrazione di grassi nella razione.

I grassi, anche detti lipidi, sono un complesso universo di composti organici. Quelli che ricadono negli interessi della nutrizione, sia di base che clinica, sono essenzialmente gli acidi grassi presenti naturalmente negli alimenti, aggiunti come additivi, presenti nei tessuti di stoccaggio (tessuto adiposo) come trigliceridi (esteri di acidi grassi e glicerolo) e liberi nel sangue come acidi grassi non esterificati (NEFA). Di acidi grassi ne esistono moltissime tipologie e si identificano a seconda della loro lunghezza (numero di atomi carbonio), della presenza o meno di doppi legami (insaturi e saturi, rispettivamente) e per l’essere essenziali o non essenziali, distinzione che dipende dalla capacità o incapacità dell’organismo di sintetizzarli. Ogni gruppo, o ogni singolo acido grasso, può avere sia effetti positivi che negativi sulla salute, quindi parlare di aumentare o meno genericamente i grassi nella razione è troppo semplicistico e può portare a volte a spiacevoli effetti collaterali.

La bovina “naturalmente” fa ampio ricorso alle sue riserve di acidi grassi quando è in deficit energetico. La selezione genetica per avere bovine da latte sempre più produttive e con un latte con un’alta concentrazione di grassi, ha premiato i soggetti a più alta attitudine a dimagrire quando non gravidi e ad ingrassare una volta gravidi. In questi animali infatti è facile riscontrare, sia a fine gravidanza che nelle prime settimane di lattazione, sia un elevato livello di grasso nel latte che di NEFA nel sangue, ad espressione di un elevato dimagrimento. Gli acidi grassi prevalentemente presenti nel tessuto adiposo e stoccati come trigliceridi, o liberi nel sangue come NEFA, sono generalmente saturi a lunga catena e vengono principalmente impiegati per produrre energia e grasso del latte. La quota di acidi grassi disponibili per queste due importanti funzioni proviene anche dagli acidi grassi assorbiti a livello intestinale.

Il dimagrimento eccessivo è quantificato in maniera complessa a livello di strutture cerebrali fortemente connesse con l’asse ipotalamo-ipofisario e può essere valutato negativamente per una adeguata produzione degli ormoni (GnRH, FSH e LH) necessari per avere una nuova gravidanza. Succede molto spesso che l’aggiunta di grassi rumino-protetti, generalmente a base di acido palmitico (C16:0) e acido stearico (C18:0), nella dieta di bovine non gravide e al picco produttivo migliori la produzione di latte e grasso ma deprima ulteriormente la fertilità perché “letta” negativamente a livello ipotalamico e interpretata come un grave bilancio energetico negativo che costringe le bovine a dimagrire perché l’organismo non è in grado di distinguere se i NEFA presenti nel sangue derivano dalla dieta o dal tessuto adiposo.

Alcune ricerche degli ultimi anni hanno poi dimostrato il ruolo negativo dell’aumento della concentrazione, sia nel fluido follicolare che nel sangue, di acidi grassi come C14:0, C14:1, C16:0, C16:1, C17:1, C18:3 n-6 (acido γ linolenico), C18:2 n-6 (acido linoleico) e C20:0. In particolare, C16:0, C18:0 e C18:1 sono tossici per le cellule della granulosa del follicolo dominante e quindi hanno ripercussioni negative sulla qualità dell’ovocita e sulla maturazione e crescita della blastocisti.

E’ necessario tuttavia precisare che gli acidi grassi saturi possono aumentare la produzione epatica di colesterolo, precursore della sintesi ovarica degli estrogeni, e del progesterone.

Di sicuro effetto positivo sul metabolismo delle bovine da latte sono invece gli acidi grassi a lunga catena instauri e omega-3 (PUFA ω 3), ossia l’acido α-linolenico (C18:3 n-3) o ALA, classificato come essenziale perché può essere assunto solo con la dieta in quanto i ruminanti da latte non sono in grado di sintetizzarlo. Questa molecola è assunta in grandi quantità per mezzo dell’erba verde e dai semi di lino integrale.

Dall’ALA la bovina da latte può sintetizzare l’acido eicosapentaenoico (C20:5 n-2), anche detto EPA, e l’acido docosaesaenoico (C22:6 n-3), conosciuto anche come DHA. Dall’EPA e dal DHA vengono sintetizzate prostaglandine della serie 3 come la PGE3 e le PGF3α, che inibiscono la sintesi delle PG della serie 2 e che hanno quindi un’azione antinfiammatoria. La ricerca ha rilevato effetti molto positivi sulla fertilità quando nel fluido follicolare e nel sangue aumenta la concentrazione di ALA, EPA e DHA.

Altro PUFA essenziale è l’acido linoleico (C18:2 n-6), anche detto LN, che appartiene al gruppo degli omega-6 (PUFA ω 6). L’LN ha effetti fisiologici diametralmente opposti a quelli degli omega-3 ed è presente in alta concentrazione nella soia, nel cotone, nel girasole e nel mais integrali. Dall’acido linoleico viene sintetizzato il C20:3 n-6 (DGLA) da cui vengono sintetizzate le prostaglandine della serie 1 come PGE1, PGF, etc. Dal DGLA viene poi sintetizzato l’acido arachidonico (C20:4 n-6), anche detto AA, da cui derivano le prostaglandine della serie 2 PGE2, PGF, etc.

Metabolismo degli acidi grassi polinsaturi ingeriti con la dieta.

La PGF è molto nota sia ai veterinari che agli allevatori perché disponibile come farmaco iniettabile sia nella forma “naturale” che sintetica. Le prostaglandine vengono utilizzate quando si vuole ottenere la lisi del corpo luteo e sono naturalmente prodotte dall’endometrio quando, dopo il ciclo estrale, non si è instaurata una gravidanza, o meglio quando la sua secrezione non sia stata inibita dall’interferon tau (INF-τ) prodotto dall’embrione nella fase antecedente alla placentazione. La prostaglandina PGF, in virtù della sua azione “infiammatoria”, viene raccomandata alla fine della fase puerperale (20 giorni dopo il parto) per migliorare l’involuzione uterina.

I PUFA ω3 inibiscono il rilascio delle prostaglandine da parte dell’endometrio e quindi la lisi del corpo luteo, aumentando la probabilità di sopravvivenza dell’embrione nella delicata fase che precede l’attecchimento in utero. Inoltre, i PUFA ω3 stimolano, o meglio facilitano, la sensibilità delle cellule all’azione dell’insulina e quindi l’assorbimento del glucosio, limitando gli effetti collaterali negativi dello status di insulino-resistenza tipico delle bovine nella fase di transizione e nelle prime settimane di lattazione. Di converso, i PUFA ω6 favoriscono lo status d’insulino-resistenza.

E’ quindi evidente che i PUFA omega 3 ed i PUFA omega 6 hanno effetti diametralmente opposti e utili in specifiche fasi del ciclo produttivo delle bovine da latte. I PUFA ω6 e i PUFA ω3 competono per gli enzimi desaturasi 1 e 2 e per l’enzima elongasi, che hanno comunque una disponibilità limitata.  La presenza di elevate quantità di PUFA ω6 è utile dopo il parto per stimolare un’adeguata involuzione uterina e il suo risanamento batteriologico e durante la fase di messa in asciutta. La disponibilità di elevate quantità di PUFA ω3 è invece auspicabile nella fase di preparazione al parto e nel periodo successivo al puerperio fino a gravidanza accertata. In pratica, i PUFA ω6 promuovono l’infiammazione e i PUFA ω3 la inibiscono.

Nella dieta delle bovine da latte durante le prime settimane di lattazione sono presenti gradi quantità di acido linoleico derivante da alimenti come il cotone integrale, la soia integrale e il mais. Nella tabella 1 si evidenzia come in una razione tipica per bovine in lattazione gruppo unico l’apporto di acido linoleico sia di circa gr 440 al giorno, mentre quello di acido α-linolenico raggiunge poco meno di gr 40.

Tabella 1. Composizione in acidi grassi di una dieta per bovine in lattazione (ss kg 24, pg 16.75%, amido 26% e lipidi grezzi 4.3%) costituita da silomais, fieno di medica, fieno di loiessa, cotone integrale, mais farina, farina d’estrazione di soia, farina d’estrazione di girasole e vitamine + minerali.

A differenza di quanto avviene nei monogastrici, nei ruminanti l’aggiunta di acidi grassi insaturi, siano essi omega-3 o omega-6, non rispecchia esattamente la quantità che sarà disponibile per essere assorbita a livello intestinale, in quanto l’elevata presenza di ioni idrogeno nel rumine tende a trasformare in acidi grassi saturi quelli insaturi presenti nella dieta. Si stima che il rumine di una bovina al picco produttivo possa produrre ben 700 grammi al giorno di ioni idrogeno e che dal 69 al 90% degli acidi grassi instauri sia bio-idrogenata dal rumine. Per migliorare lo stato di salute e la fertilità delle bovine, nella fase di preparazione al parto e nelle settimane successive al puerperio fino alla diagnosi gravidanza riconfermata, è consigliabile inserire nella dieta un supplemento di acidi grassi polinsaturi omega-3. Le fonti disponibili sono il lino integrale, che ha una concentrazione di C18:3 n-3 del 55.9% degli acidi grassi, oppure l’olio di pesce, che ha il 35.8% di EPA e il 28.4% di DHA, valori sempre espressi come percentuale dei grassi.

Il rumine tende a saturare i doppi legami presenti negli acidi grassi, per cui la quantità di acidi grassi polinsaturi disponibili per l’assorbimento intestinale è condizionata da molti fattori come il pH ruminale, la velocità di transito degli alimenti e il tipo di amido che viene utilizzato nella dieta. Un’indicazione indiretta ed empirica dell’elevato grado di saturazione dei doppi legami è data dal grasso del latte, sia di massa che individuale. L’utilizzo di semi di lino integrale, olio di lino e olio di pesce, al fine di apportare alla bovina la giusta quantità di PUFA ω3 necessari a contrastare gli effetti negativi dei PUFA ω6, deve tenere conto di questa reazione chimica del rumine. Un sovradosaggio di PUFA ω3 liberi nel rumine comporta un rischio di sviluppo di isomeri come il trans-10 e il cis 12 C18:2, o anche dell’acido linoleico coniugato (CLA) che ha un effetto positivo sulla salute umana ma che ha come effetto collaterale quello di ridurre la percentuale di grasso nel latte. Bastano gr 2.5 di CLA per ridurre del 25% il tenore lipidico del latte.

Per apportare le giuste quantità di PUFA ω3, rendendole effettivamente biodisponibili all’assorbimento intestinale ma salvaguardando il grasso del latte, è utile somministrare l’acido α-linolenico rumino-protetto, resistente alla bio-idrogenazione ruminale e altamente biodisponibile a livello intestinale.

 

Rubrica a cura di Vetagro


 

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