I grassi nella dieta delle bovine da latte

Un approfondimento sul ruolo dei grassi sulle performance produttive, riproduttive e sanitarie delle bovine da latte, e sulla loro gestione nella razione

latte - vacca
14 Maggio, 2025

Ad oggi esistono tre diverse metodologie per definire i fabbisogni nutritivi delle bovine da latte per poi stilare i piani alimentari.

La prima, che è quella solitamente utilizzata da chi ha studiato all’Università scienze animali o medicina veterinaria, è quella di perfezionare costantemente le proprie competenze tramite l’aggiornamento permanente e l’esperienza professionale utilizzando anche, e soprattutto, testi come il “Nutrients Requirements of Dairy Cattle” (NASEM 2012), scritto a più mani da un comitato di 12 tra i più importanti professori di nutrizione della bovina da latte del mondo.

La seconda è quella di raccogliere informazioni dai siti internet specializzati, dalle riviste, dai convegni e dai congressi, miscelandole con le personali esperienze empiriche, mentre la terza è quella dell’improvvisazione.

Ovviamente esiste anche una salvifica miscelazione di queste tre modalità che può funzionare bene a patto che si conosca approfonditamente la fisiologia dei ruminanti e che si coltivi con maniacale pignoleria il senso critico.

Nonostante questa premessa “metodologica”, le cose si complicano per i fabbisogni di alcuni nutrienti come i grassi e le vitamine idrosolubili sui i quali neanche il NASEM 2021, o anche la sua precedente edizione NRC 2001, si esprime.

L’unica indicazione fornita da NRC 2001 e non da NASEM 2021 è quella di non superare il 7% della sostanza secca della razione di lipidi.

Ad esempio, per conoscere il fabbisogno di amido delle vacche da latte abbiamo dovuto aspettare decenni e questo ha favorito lo sviluppo di fantasiosi fabbisogni privi del necessario supporto scientifico e, pertanto, potenzialmente rischiosi.

Argomento di questo nuovo articolo è il ruolo che i grassi potrebbero avere sulle performance produttive, riproduttive e sanitarie delle bovine da latte. Troviamo i grassi espressi con molti sinonimi, come acidi grassi, lipidi, estratto etereo o con il termine inglese “fat ”. Taluni ritengono che sia un bene aggiungerne un po’ nella dieta delle bovine in lattazione comunque e a prescindere, e che per fare il grasso del latte bisogna necessariamente utilizzarli, e altri gli attribuiscono un ruolo fondamentale per la riproduzione.

Gli acidi grassi li troviamo in quantità variabili in tutti gli alimenti. La maggior concentrazione la raggiungono le oleaginose integrali come la soia, la colza e il girasole, il seme di cotone oppure quelli rumino-protetti, siano essi saponificati o idrogenati. Ma sia nell’NRC 2001 che nel NASEM 2021 non troviamo alcuna indicazione su quanti (e di che tipo) è giusto aggiungerne.

Quali acidi grassi

A questo punto è necessario un chiarimento. Di acidi grassi se ne conoscono tanti e le funzioni che hanno sono a volte molto diverse tra loro. Ci sono quelli prodotti dal rumine, quelli sintetizzati de novo dalla mammella e quelli che derivano dagli alimenti o dai depositi corporei. Possono essere a catena corta o lunga, oppure saturi e insaturi. Quelli di quest’ultima categoria possono poi essere mono o polinsaturi.

Nel latte bovino ci sono circa 400 acidi grassi diversi, ma solo il 14% è presente con una concentrazione superiore all’1%. Una parte di essi deriva da una sintesi de novo di acidi grassi a corta catena originati principalmente dal rumine, ha dai 4 (C4:0) ai 14 (C14:0) atomi di carbonio e ha idealmente una concentrazione nel latte dello 0.85%. Ci sono poi quelli chiamati “mixed”, rappresentati prevalentemente dall’acido palmitico (C16:0) sintetizzato de novo dalla mammella o derivante dalla dieta, che idealmente rappresentano l’1.35% del totale degli acidi grassi del latte.

Infine, nel latte troviamo acidi grassi a lunga catena (≥ C18), che derivano direttamente dalla dieta e dai grassi di deposito, e che rappresentano una parte preponderante del grasso del latte. Ci sono acidi grassi ritenuti essenziali, ossia non sintetizzabili dall’organismo, come l’acido linoleico (omega -6) e l’acido α-linolenico (omega 3), che devono essere assunti dagli alimenti per soddisfarne il fabbisogno. Il primo è presente in molti alimenti zootecnici, come il mais e la soia integrale, mentre il secondo è tipicamente apportato dal seme di lino integrale.

Linee guida

Anche se non esiste un fabbisogno “ufficiale” di grassi per le razioni delle bovine da latte, ci sono delle linee guida empiriche seguite da molti nutrizionisti e alimentaristi negli allevamenti che producono latte non destinato alla produzione di formaggi a denominazione come DOP, IGP e STG, che hanno nel disciplinare limitazioni specifiche sull’impiego di determinati acidi grassi nella dieta.

TipologiaDescrizioneMassima concentrazione consigliata nella razione (sulla sostanza secca)
EE1Acidi grassi contenuti nei foraggi e nei concentrati poco oleosi.2.5%
EE2Acidi grassi contenuti nei semi integrali delle oleaginose e nei distillers.
EE3: Grassi inerti nel rumine come quelli saponificati o idrogenati.3%
EE1 + EE2 + EE3Sommatoria6%
RUFALC18:1 + C18:2 + C18 32.5% – 3%

I grassi e la produzione di latte

Una delle motivazioni principali che spingono a porre attenzione alla concentrazione di grassi della razione è il miglioramento della produzione di latte e della sua concentrazione di grasso.

L’aggiunta di acidi grassi a lunga catena come l’acido palmitico e l’acido stearico viene solitamente fatta per aumentare l’energia della razione, e ciò indirettamente potrebbe aumentare la produzione di latte.

L’aggiunta di acido palmitico può dare un diretto incremento della concentrazione di grasso del latte, con un’efficienza che va dal 15 al 35%. Gli acidi grassi a corta catena (de novo) derivanti dalle fermentazioni ruminali e quelli mixed sono quelli che hanno una maggiore capacità di aumentare la percentuale di grasso nel latte e un loro incremento si ottiene creando un ambiente favorevole per la degradazione delle fibre. Questo si può ottenere utilizzando fonti di fibra molto digeribili, con un’adeguata presenza in razione di proteine solubili e con determinati additivi.

I grassi e la riproduzione

Per migliorare la fertilità delle bovine da latte si ritiene che l’apporto energetico della dieta abbia un’importanza fondamentale, anche se le evidenze scientifiche che dimostrano ciò sono molto deboli e controverse.

Per aumentare l’energia di una razione si sostituiscono gli alimenti poco energetici come le fibre con amido e grassi. Aumentare troppo la concentrazione di amido della razione può però causare acidosi ruminale e grandi liberazioni di endotossine che hanno un sicuro effetto negativo sulla fertilità. Il NASEM 2021 ha per la prima volta inserito un fabbisogno di amido, anche se in maniera non puntuale ma come un range nel quale posizionarsi (22 – 30 % della sostanza secca della razione).

Per aumentare i grassi della razione si utilizzano, dove ciò è consentito, preparati rumino protetti come quelli idrogenati e saponificati, che apportano prevalentemente acido palmitico e acido stearico. Nella tabella sottostante, tratta da un articolo dal titolo “Matabolomic and fertility in cattle: a promising predictor”, l’autore, Trudee Fair, prende in rassegna alcune evidenze scientifiche dove vengono dimostrate associazioni negative e positive tra aspetti della riproduzione e singoli acidi grassi.

grassi nella dieta bovini da latte - tabella 1

Fonte: Metabolomics and fertility in cattle: a promising predictor. Trudee, Fair School of Agricolture & Food Science, University College, Dublin, Ireland.

Pertanto, è difficile affermare che esista una correlazione positiva tra concentrazione generica di grasso della razione e fertilità, mentre alcuni acidi grassi insaturi, specie se polinsaturi, hanno un legame interessante con la fertilità bovina.

Conclusioni

Nei precedenti articoli divulgativi pubblicati nella rubrica “Allevare il Parmigiano Reggiano” di Ruminantia Si possono eliminare (senza danni) gli insilati dalla dieta delle bovine da latte? , È opportuno allevare la Frisona per fare il Parmigiano Reggiano? e L’effetto yo-yo nelle bovine da latte da Parmigiano Reggiano, e non solo con il supporto di ANAFIBJ si sono confrontate le performance produttive, riproduttive e sanitarie degli allevamenti di Frisona italiana nelle regioni Lombardia e Emilia Romagna ad indirizzo produttivo generico e per il Parmigiano Reggiano. L’obiettivo è stato capire se il regolamento di alimentazione delle bovine esplicitato nel Disciplinare di questa DOP possa causare interferenze negative sulle performance di questi animali.

E’ bene ricordare che nel suddetto disciplinare oleaginose come la soia, il lino e il girasole sono ammesse con la sola limitazione, estesa anche al germe di mais e a quello di frumento, che l’apporto di grasso greggio complessivo nella razione derivante da questi alimenti non deve superare i 300 grammi capo/giorno.

Per fare un esempio pratico, i semi integrali di soia hanno una concentrazione sul tal quale di lipidi di circa il 19% e il lino integrale del 33%, per cui utilizzare 1 kg di soia integrale significa apportare 190 grammi di olio, e quindi la massima quantità di lino integrale somministrabile non potrebbe essere superiore a circa 300 grammi capo/giorno, che è quello che normalmente si fa. La soia integrale ha una buona concentrazione di acido oleico (C18:) e acido linoleico (C18: 2) mentre il seme di lino ha una grande quantità di acido α linolenico (C18:3). Queste due oleaginose apportano quindi una buona quantità di acidi grassi polinsaturi utili per la fertilità e la salute delle bovine. “Esagerare” con gli apporti di acidi grassi insaturi tende a deprimere la percentuale e la quantità di grasso del latte a causa del noto fenomeno delle “sindrome da basso grasso del latte” dovuta alla formazione ruminale, a partire dagli acidi grassi insaturi, di isomeri come il trans 10, cis 12 CLA che in basse quantità (come 3-4 grammi) può ridurre a livello mammario la sintesi di grasso del latte anche del 25%.

Sono espressamente vietati alimenti apportatori di grassi come il seme di cotone e panelli e farine d’estrazione di arachidi, colza, ravizzone, cotone, vinaccioli etc., perché per le caratteristiche dei loro acidi grassi e altri composti che contengono potrebbero alterare le caratteristiche organolettiche del formaggio e la sua tipicità. Inoltre, sono vietate tutte le aggiunte di grassi vegetali e animali, ad eccezione di quelli utilizzati come supporto e protezione di additivi ma alla dose massima di 100 grammi capo giorno.

Abbiamo visto dai dati degli articoli riportati che queste limitazioni finalizzate a salvaguardare e rendere unico e tradizionale l’odore, il sapore e il colore del Parmigiano Reggiano non causano alcun danno alla fertilità della Frisona, e questo dimostra come il livello energetico della razione, e la sua concentrazione di grassi, non è sempre e comunque correlato positivamente con la fertilità.

 

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Da leggere - Giugno 2025

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