Il Consiglio Ambiente dell’UE ha raggiunto un accordo, o meglio un orientamento generale, sulla proposta di legge riguardante il ripristino della natura, una legislazione innovativa volta a rivitalizzare gli ecosistemi in tutta l’UE. L’Italia si è opposta strenuamente guidando il fronte del NO, seguita da Svezia, Olanda, Polonia e Finlandia. Si terranno ora i negoziati con il Parlamento europeo per finalizzare la legislazione e garantirne l’effettiva attuazione.

L’accordo raggiunto ieri in Commissione Ambiente segna una pietra miliare dell’impegno dell’UE per la conservazione e il ripristino dell’ambiente.

La proposta di legge vuole fronteggiale la necessità e l’urgenza di ripristinare molteplici ecosistemi fissando obiettivi e obblighi ambiziosi per gli Stati membri. Entro il 2030, la proposta mira a ripristinare almeno il 20% delle aree terrestri e marine dell’UE, con particolare attenzione agli ecosistemi che necessitano di urgente attenzione. Entro il 2050, l’obiettivo è ripristinare tutti gli ecosistemi che hanno bisogno di riqualificazione.

Sul punto, nella giornata di ieri, il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto, ha espresso la contrarietà dell’Italia all’orientamento generale sulla proposta di regolamento. Secondo il Ministro, la proposta attuale non garantisce un adeguato equilibrio tra obiettivi, fattibilità e rischi, e non può essere considerata applicabile, efficace e sostenibile per tutte le categorie coinvolte, compresi l’agricoltura e la pesca. Nonostante ciò, il regolamento è stato approvato a maggioranza qualificata dal Consiglio.

Il contesto 

Era il 22 giugno 2022, quando la Commissione ha adottato la proposta di legge sul ripristino della natura. Si era accertato infatti che l’80% degli habitat europei versava in cattive condizioni, e che gli sforzi compiuti in passato per proteggere e conservare la natura non erano riusciti ad invertire questa preoccupante tendenza.

Per questa ragione, e per la prima volta in assoluto, è stata proposta una legge con lo scopo non solo di preservare ma anche ripristinare lo stato della natura. La stessa è infatti tesa a migliorare lo stato della natura fissando obiettivi e obblighi vincolanti per un’ampia gamma di ecosistemi terresti e marini.

Gli Stati membri dovranno dunque mettere in atto misure di ripristino efficaci e basate sull’area per raggiungere gli obiettivi specifici dell’ecosistema. Per valutare le misure, gli stessi dovranno pianificare lo sviluppo di piani nazionali di ripristino della natura, in stretta collaborazione con gli scienziati, le parti interessate e il pubblico. Prevista anche la definizione di indicatori della biodiversità per misurare i progressi compiuti.

Obblighi di ripristino

Uno degli aspetti chiave dell’accordo del Consiglio è l’istituzione di obblighi di ripristino. Gli Stati membri dovranno attuare misure per ripristinare almeno il 30% degli habitat negli ecosistemi terrestri, costieri, d’acqua dolce e marini che sono in cattive condizioni entro il 2030. Questo obiettivo si applica alla superficie totale dei tipi di habitat piuttosto che alla singola area per ciascun gruppo di habitat, come inizialmente proposto dalla Commissione europea. Inoltre, gli Stati membri devono attuare misure di ripristino per il 60% dell’area entro il 2040 e per il 90% entro il 2050 per ciascun gruppo di habitat che non è in buone condizioni.

Requisito di non deterioramento

Per le aree di habitat soggette a misure di ripristino, gli Stati membri hanno concordato di garantire che non si verifichi un deterioramento significativo.

Anche per le aree già in buone condizioni, o dove le misure di ripristino non sono ancora state attuate, in particolare al di fuori della rete Natura 2000 di aree protette, gli Stati membri si impegneranno a mettere in atto le misure necessarie per prevenire un deterioramento significativo.

Ciò si tradurrebbe in un obbligo basato sui risultati per le prime e in un obbligo basato sullo sforzo per le seconde.

Lacune conoscitive

Concordando sulla necessità di possedere dati accurati relativamente alle condizioni di alcuni habitat, gli Stati membri hanno riconosciuto diverse lacune, che non consentirebbero di quantificare efficientemente il miglioramento.

A tal proposito gli Stati membri hanno concordato che le misure di ripristino quantitativo si applicheranno solo alle aree in cui è nota la condizione degli habitat.

Per affrontare questo problema, gli Stati membri lavoreranno per determinare il 90% delle condizioni degli habitat terrestri entro il 2030 e colmare il 50% delle lacune di conoscenza per gli habitat marini entro lo stesso anno. La condizione di tutti gli habitat dovrà essere nota entro il 2040, ad eccezione degli habitat con sedimenti molli, che hanno una scadenza prorogata al 2050.

Obblighi specifici per l’ecosistema

La proposta include anche obblighi specifici per gli ecosistemi, ai quali il Consiglio concede graduale flessibilità per adattarsi alle diverse circostanze tra gli Stati membri.

Ad esempio per gli ecosistemi urbani, il Consiglio ha sostituito gli obiettivi quantitativi con l’obbligo per gli Stati membri di raggiungere una tendenza all’aumento delle aree verdi urbane fino al raggiungimento di un livello soddisfacente. Il Consiglio ha però mantenuto il requisito “nessuna perdita netta“, che prevede che entro il 2030 non si verifichi alcuna perdita netta di spazio verde urbano e di copertura arborea urbana rispetto all’entrata in vigore del regolamento, a meno che gli ecosistemi urbani non abbiano già più del 45% di spazio verde.

Flessibilità prevista anche per gli obiettivi di riumidificazione delle torbiere, per tenere conto del fatto che alcuni Stati membri sono colpiti in modo sproporzionato da questi obblighi. Il Consiglio ha stabilito di ripristinare il 30% delle torbiere drenate sotto uso agricolo entro il 2030 e il 50% entro il 2050, con la possibilità per gli Stati membri più colpiti di applicare una percentuale inferiore.

Piani nazionali di risanamento

Per facilitare l’effettiva attuazione, gli Stati membri saranno tenuti a presentare regolarmente piani nazionali di risanamento. Questi piani dovranno illustrare come gli Stati membri intendono raggiungere gli obiettivi di ripristino, questi saranno poi accompagnati da un’attività di monitoraggio e di rendicontazione dei progressi.

Il Consiglio ha optato per un approccio graduale. Invece di presentare piani completi fino al 2050, ovvero, due anni dopo l’entrata in vigore del regolamento, gli Stati membri presenteranno prima i piani di ripristino nazionali che copriranno il periodo fino al giugno 2032, con una panoramica strategica per il periodo successivo al giugno 2032. Entro giugno 2032 gli Stati membri presenteranno piani di risanamento fino al 2042 con una panoramica strategica fino al 2050 ed entro giugno 2042 presenteranno i piani fino al 2050.

I piani terranno anche conto di circostanze nazionali specifiche, requisiti sociali, economici e culturali ma anche di caratteristiche regionali e locali, di densità di popolazione, compresa la situazione specifica delle regioni ultraperiferiche.

Energie rinnovabili e difesa

Il Consiglio ha poi introdotto un nuovo articolo che prevede che la pianificazione, la costruzione e la gestione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, la loro connessione alla rete e i relativi impianti di rete e di stoccaggio, si presumono di interesse pubblico prevalente.

Ciò potrebbe comportare una deroga agli obblighi di miglioramento continuo e di non deterioramento. Inoltre, gli Stati membri potrebbero esentare questi progetti dall’obbligo di dimostrare che sono disponibili soluzioni alternative meno dannose, se è stata effettuata una valutazione ambientale strategica. Per garantire l’allineamento con la direttiva sulle energie rinnovabili, attualmente in fase di revisione, gli Stati membri possono anche limitare l’applicazione di queste esenzioni in base alle priorità stabilite nei loro piani nazionali integrati per l’energia e il clima.

Finanziamento delle misure 

Il Consiglio ha anche introdotto una nuova disposizione che chiede alla Commissione di presentare una relazione, un anno dopo l’entrata in vigore del regolamento, con una panoramica delle risorse finanziarie disponibili a livello dell’UE, una valutazione del fabbisogno finanziario per l’attuazione e un’analisi per individuare eventuali lacune di finanziamento. La relazione dovrebbe anche includere proposte adeguate, se del caso, e senza pregiudicare il prossimo quadro finanziario pluriennale (2028-2034).

I prossimi passi

L’orientamento generale recentemente adottato servirà come mandato del Consiglio per intraprendere i negoziati con il Parlamento europeo sulla forma finale da attribuire alla legge.

A tal proposito il Ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica ha spiegato che nonostante alcune modifiche migliorative, l’Italia non ritiene soddisfacente il testo attualmente approvato. Tra le preoccupazioni sollevate, il Ministro ha menzionato le deroghe sulle energie rinnovabili e la necessità di chiarire e rendere disponibili le risorse finanziarie prima dell’entrata in vigore del regolamento. Il Ministro chiarisce infatti che “la disponibilità di risorse certe e adeguate è una condizione imprescindibile per la concreta applicabilità  del regolamento”.

Da ora in avanti, nonostante le divergenze di opinione, il processo di negoziazione proseguirà tra il Consiglio e il Parlamento europeo al fine di raggiungere un accordo definitivo sulle modalità di attuazione della legge. Permane in ogni caso la comune volontà degli Stati membri di adottare misure efficaci per proteggere e ripristinare gli ecosistemi dell’Unione Europea, garantendo nel contempo una gestione sostenibile delle risorse naturali.