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Il primo di questa serie è dedicato proprio ad uno degli argomenti maggiormente votato, quello dei piccoli ruminanti.
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In Italia l’allevamento della capra da latte inizia a suscitare un discreto interesse. Nell’ultimo decennio, sia la consistenza dei capi che la produzione di latte ha avuto però solo un leggero aumento (Istat 2020), mentre la percezione comune dimostra che l’interesse verso i prodotti di capra è aumentato in modo decisamente maggiore. La mia personale posizione circa la spiegazione di questa differenza è giustificata dal fatto che molto prodotto sfugge dalle normali statistiche di mercato perché è collegato ad economie locali difficilmente quantificabili. In altre parole, la fotografia italiana dell’allevamento della capra da latte è rappresentata da allevamenti medio-piccoli, molti dei quali a filiera chiusa, che includono la trasformazione e la vendita locale del prodotto. Gli allevamenti medio-grandi, invece, conferiscono il latte al caseificio. La vendita del latte di capra però spesso non è regolamentata dagli stessi criteri che regolano la commercializzazione del latte vaccino. Possiamo dire che il latte di capra segue criteri simili al latte spot. Molti grandi allevamenti, proprio perché non legati a contratti di vendita esclusiva, non hanno perciò un solo conferente, quindi la quantificazione della produzione risulta più complessa ed è più facile che sfugga dalle statistiche ufficiali.

Un dato di fatto è che il moderno allevamento della capra da latte deve affrontare gli stessi identici problemi di quello della bovina da latte per il quale l’unica regola ammessa è quella della sostenibilità dell’impresa. Anche in questo caso il termometro per la sostenibilità dell’impresa è rappresentato dal costo litro latte.  A fronte di un costo litro latte molto alto, se paragonato a quello dell’allevamento della bovina da latte, le strategie per rendere redditizia l’impresa sono due:

  1. ottimizzare le performances produttive dell’allevamento,
  2. valorizzare il prodotto.

Si possono avere animali più produttivi migliorando la genetica, ma soprattutto lavorando sull’ottimizzazione delle strategie di allevamento. In questa direzione sicuramente il ruolo dell’alimentazione ha un peso importantissimo.

Durante il periodo del periparto una gestione nutrizionale non adeguata può comportare l’insorgenza della chetosi.

Nella capra da latte la fase di transizione risulta quella più critica in assoluto. Come per la bovina da latte, la chetosi rappresenta la patologia metabolica del periparto più grave e con il maggiore impatto economico. Rispetto alle vacche  da latte, la chetosi assume però un significato patologico molto più importante, tant’è che viene chiamata con il nome molto più impattante di tossiemia gravidica (PT). Vediamo di capire perché.

La PT è la risposta metabolica ad un deficit energetico. Questo può essere primario (chetosi tipo 1), oppure secondario (chetosi tipo 2). In entrambi i casi si verifica un’eccessiva mobilizzazione delle riserve lipidiche corporee per fare fronte al bilancio energetico negativo.

La chetosi di tipo 1 (PT1) nasce da un insufficiente apporto nutrizionale primario. Lo stato di iponutrizione è responsabile del bilancio energetico negativo. La risposta metabolica a questa condizione è l’utilizzo delle riserve corporee, con una eccessiva formazione di corpi chetonici. Questo tipo rappresenta lo scenario “apparentemente” più semplice da gestire.

La chetosi di tipo 2 (PT2) nasce da un insufficiente apporto nutrizionale secondario. Si sviluppa un’insulino-resistenza che “confonde” il metabolismo. Non necessariamente si ha un bilancio energetico negativo. L’eccesso di corpi chetonici è il risultato di una “resistenza” al segnale metabolico dell’insulina. Questo tipo rappresenta sicuramente lo scenario più difficile da gestire.

Entrambe le manifestazioni però hanno una genesi comune che risiede in un errore nutrizionale.  Nella PT1 l’errore è prossimo all’evento patologico, mentre nella PT2 ha una genesi più lontana.

Nella capra da latte la PT inizia sempre prima del parto. L’evoluzione clinica è molto rapida e spesso fatale. La manifestazione clinica di chetosi nella bovina da latte avviene invece sempre post parto, anche se è oramai assodato che la genesi inizia prima. Certo è che l’inizio della lattazione scatena l’evento patologico. Il monitoraggio sistematico dei BHBA nel post parto secondo il protocollo Oetzel GR, (2004) rappresenta il miglior strumento di monitoraggio per la diagnosi collettiva della chetosi dell’allevamento. Questo rappresenta oramai il gold standard nell’allevamento della bovina da latte.

Nella capra purtroppo questo metodo non è applicabile perché la chetosi inizia sempre prima del parto. La riproduzione nella capra è stagionale e si basa ancora su metodi naturali, per cui non si conosce con precisione la data della fecondazione e quindi la data del parto atteso. Non è possibile definire il “giorno 0”, ovvero il giorno del parto; si può solo fare una stima di quando avverranno i parti, più o meno fedelmente, attraverso la  stadiazione della gravidanza. Ci si trova a dover gestire gruppi di parti, anche molto numerosi, spalmati in un arco temporale molto ampio, per cui il monitoraggio del BHBA in momenti precisi risulta difficile.

Doré et al., (2015) hanno cercato di sviluppare uno strumento di monitoraggio del BHBA come ausilio diagnostico efficace. Hanno evidenziato che valori di BHBA relativamente bassi, rilevati un mese prima del parto, possono già indicare un elevato rischio di PT. Più allarmante però è l’elevata correlazione tra questi valori e il potenziale rischio di morte. Risulta inoltre intuitivo che tanto più alto è il numero di feti, tanto più alto è il rischio di PT, ma gli autori hanno osservato che parti trigemini e oltre aumentano di 40 volte la probabilità di incorrere nella patologia. Purtroppo però concludono dicendo che i cut-off per discriminare il potenziale rischio di chetosi, il potenziale rischio di PT e il rischio di morte si sovrappongono e quindi occorrerebbe approfondire maggiormente l’argomento.

Un recente studio (Lima et al., 2016) ha evidenziato che la capra da latte con PT conclamata, durante l’ultimo mese di gravidanza, presenta sempre insulino-resistenza. Gli autori hanno dimostrato che lo stesso fenomeno inizia a manifestarsi anche in soggetti sani. Sebbene un certo grado di insulino-resistenza, in questo periodo, sia considerato fisiologico per garantire un adeguato livello di glucosio a livello fetale e mammario, il confine tra fisiologico e patologico risulta ancora poco chiaro.  Questo fatto apre degli scenari molto complessi da gestire.

In conclusione, si può affermare che il periparto nella capra da latte rappresenta un momento molto delicato. La lipomobilizzazione è la risposta fisiologica alla sempre maggiore richiesta energetica che nella capra si manifesta sempre prima del parto e raggiunge il suo apice al momento del parto. Occorre allora attuare le migliori strategie nutrizionali per evitare che la normale risposta fisiologica ricada nella patologia.

Bibliografia

  •  Doré, V., Dubuc, J., Bélanger, A.M. & Buczinski, S. (2015). Definition of prepartum hyperketonemia in dairy goats. Journal of Dairy Science, 98, 4535-4543.
  •  ISTAT 2020 Consistenza capi caprini, ultimo decennio – dati.istat.it
  •  ISTAT 2020 Produzione di latte di capra, ultimo decennio – dati.istat.it
  •  Lima, M. S., Cota, J. B., Vaz, Y. M., Ajuda, I. G., Pascoal, R. A., Carolino, N. & Hjerpe, C. A. (2016) Glucose intolerance in dairy goats with pregnancy toxemia: Lack of correlation between blood pH and beta hydroxybutyric acid values. Canadian Veterinary Journal 2016; 57: 635–640.
  •  Oetzel GR. Monitoring and testing dairy herds for metabolic disease. Vet Clin N Amer Food Anim 2004; 20: 651-674. 

 

Rubrica a cura di Vetagro


 

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