Questa non è esattamente una storia di fuga di cervelli dall’Italia. Questa è la storia di un cagliaritano, Davide Tani, laureato in ingegneria elettronica, innamorato del formaggio, che per seguire le ragioni del cuore (non il formaggio) è arrivato a Belfast nel 2015, città d’origine della donna che oggi è sua moglie. La strada verso l’arte di casaro non è immediata, arriva dopo un po’ di tempo e dopo la giusta dose di motivazione coniugale.

Davide impara a lavorare i formaggi a pasta filata in Puglia da Vincenzo Troia di Caseus, nel settore caseario da dieci anni, e con l’Associazione delle Casare e dei Casari di azienda agricola. Per il lattiero-caseario, ed in particolare per la filiera del latte ovino, la Sardegna è una regione molto importante, quindi Davide è immerso da sempre nella logica del latte. Il primo formaggio “prodotto” è in realtà una casualità: in un’escursione sulle Alpi, ha nello zaino una bottiglia di latte crudo; è una giornata calda e la camminata procede a buon passo. Quello che succede nella bottiglia possiamo immaginarlo, è come se la macchina del tempo portasse Davide in un viaggio a diecimila anni fa: con la temperatura, i fermenti lattici si attivano e metabolizzano, contribuendo alla coagulazione del latte ed alla separazione del siero. Anche se probabilmente la consapevolezza di questo fenomeno è netta, Davide ne rimane affascinato e, ignorando il sollecito della compagnia di trekking a buttare il contenuto della bottiglia, lo assaggia, scoprendo un sapore acidulo di latte fermentato.

Quando si trasferisce a Belfast, le grandi compagnie del campo ingegneristico stanno progressivamente chiudendo. Come ben sappiamo, l’Irlanda è terra di buon latte, peraltro da pascolo data l’enorme disponibilità di spazi e prati per l’allevamento estensivo. Tutto questo latte finisce nelle poche ma grandi aziende di trasformazione. Le produzioni locali, negli scorsi decenni, hanno ceduto il passo a produzioni più industrializzate, fenomeno comune anche ad altri paesi europei. Tuttavia, da un po’ di tempo i consumatori stanno nuovamente tornando al concetto di cibo locale, che per lo più raggiunge le fasce economicamente più agiate della popolazione. Grazie ai local markets e ad un’inversione di tendenza che stava vedendo il progressivo scomparire dei mercati locali nel Regno Unito, i “farmers” nel Regno Unito stanno trovando nuove possibilità di mercato: il cibo è cultura in tutte le parti del mondo e questo tipo di realtà locali, diverse dall’impostazione produttiva del mondo industriale, sono allo stesso modo importanti e, dunque, devono avere il giusto spazio. Una tendenza completamente opposta alla realtà italiana in cui i mercati rionali sono da sempre una realtà nei piccoli centri. Ed è proprio in questo spazio e in questo momento di cambiamento del mondo ingegneristico che Davide, spinto dalla moglie, inizia a vedere e trovare il suo spazio come casaro.

Compro il latte da una sola fattoria qui vicino. Mia moglie vorrebbe un allevamento, ma io per ora sono contrario. Lavoro formaggi a pasta filata per il momento, dato che la sfida di questa attività è ancora più complessa: vorrei dimostrare che è possibile fare business operando in modo ecosostenibile”, ci racconta Davide. In che modo? Oltre alla passione per i formaggi, Davide porta nella sua attività altri due interessi paralleli: quello per il mondo ingegneristico e quello per le biciclette, viste come mezzo ricreativo ma anche come mezzo di trasporto. Ecco perché Velocheese: il suo veicolo di trasporto, sul quale sta lavorando, sarà una velomobile, ovvero un velocipede a propulsione umana. Se guardiamo al passato, e da quanto ricorda Davide, gli anziani nelle regioni d’Italia trasportavano latte e non solo con la bicicletta ed il cassone, praticamente a emissioni zero. Per avere un’idea di quali sono le “intenzioni” in fatto di trasporto, qui potete trovare il carrello che utilizzerà per il formaggio, mentre qui un’idea di quale sarà  il vero e proprio mezzo di trasporto. Velocheese al momento è un microcaseificio, che produce il “Bespoke Cheese made in Belfast”, come recita il payoff aziendale: si tratta di formaggio fatto su richiesta, per questo “bespoke”. Il principio alla base di questa scelta sta nel fatto che essendo mozzarella e burrata formaggi freschi, vanno consumati il più in fretta possibile, da qui la necessità di produrli su ordinazione. Ci sono poi tutta una serie di vantaggi in questa scelta produttiva: è possibile avere a disposizione in laboratorio un frigorifero più piccolo, che consente di risparmiare energia, pertanto di avere meno spese, meno perdite. In poche parole, più sostenibilità. Inoltre, Davide ha scelto di utilizzare plastiche biodegradabili per il confezionamento che possono finire nella raccolta dell’umido. Un limite in questo sta nel fatto che ancora non sono accettate dal servizio di nettezza urbana di Belfast, ed è per questo che Davide ha già provveduto a contattare il servizio e segnalare la problematica: inutile investire in questo tipo di packaging, che è più costoso, se poi risulta complesso poter gestire il rifiuto che ne deriva.

Nella chiacchierata con Davide, la nostra curiosità si è spostata su come gestisce gli innesti in caseificio: ci aspettavamo che (come da lui inizialmente pensato nel progetto per l’apertura) in laboratorio ci fosse l’uso di innesti naturali. “È qui che casca l’asino! Qui a Belfast sono veramente pochissime le società così piccole: la più grande produzione di mozzarella è del grande gruppo Glanbia, che ha un impianto di dimensioni enormi. Quando ho presentato il progetto all’ufficio di igiene pubblica, mi hanno contestato l’uso di latte crudo, sostenendo un’altissima pericolosità legata al suo consumo, anche in prodotti derivati. In generale, c’è un grosso problema di contaminazioni da un’azienda all’altra legato agli spostamenti dei mezzi di raccolta. Io continuavo a dire all’ufficio del fatto che avrei preso latte da un solo produttore, spiegando nel dettaglio il processo, ma ogni volta non c’era mai una risposta chiara per poter procedere con le autorizzazioni. Non c’è stato verso! Alla fine mi sono rassegnato alla pastorizzazione e finalmente ho potuto portare avanti il progetto” ci racconta, spiegando il perché non può fare sieroinnesto, che sostituisce con fermenti selezionati specificamente per paste filate e provenienti dall’Italia. Il laboratorio di Davide si trova a pian terreno, sono 50 metri quadrati che ospitano una caldaia da 200 L.

Davide può anche darci una testimonianza sulla sensibilità da parte dei consumatori anglosassone rispetto a un’offerta produttiva così di nicchia, nella quale lui stesso vuole rimanere senza puntare ad essere competitivo. Il consumatore tipo di questi prodotti, piuttosto ricettivo alla causa, appartiene alle fasce medio-alte della popolazione: il cliente abituale è quello che può spendere quasi il doppio rispetto alla mozzarella venduta al supermercato, andando alla ricerca della qualità, consapevole del fatto che si tratta di un prodotto artigianale. Un ottimo riscontro, che rende contento Davide dal momento che c’è un’onda di acquisto di prodotti locali che lui sta cavalcando, in aggiunta al fatto che esistono negozi che si riforniscono esclusivamente di prodotti locali.

Davide non è un casaro d’esportazione, ma è un casaro nato in Irlanda, che si porta dietro il saper fare italiano: abbiamo tanto da raccontare e possiamo farlo da qualsiasi parte del mondo, sempre consapevoli del fatto che le nostre radici sono una questione di anima e di testa.

Se capitate a Belfast e volete conoscere Velocheese, ecco i contatti:

E-mail: velocheese@gmail.com

Sito web: www.velocheese.co.uk

Facebook: @Velocheese

 

Disclaimer: Ringraziamo Velocheese e Davide Tani per aver concesso a Ruminantia l’utilizzo delle immagini presenti in questo articolo. Le immagini sono coperte da diritti di proprietà intellettuale.