Dal punto di vista istologico l’endometrite è diagnosticata tramite la presenza di cellule infiammatorie a livello endometriale, con o senza distruzione dello strato epiteliale. Quando tale condizione decorre in assenza di segni clinici, essa è definita “endometrite subclinica”.

L’esame citologico rappresenta il test diagnostico maggiormente impiegato per la diagnosi di endometrite subclinica; una diagnosi positiva è costituita dall’aumento della percentuale di polimorfonucleati in associazione a ridotta performance riproduttiva. Persistono controversie su quale sia la tecnica d’esame maggiormente affidabile, tra l’esecuzione del cytobrush e del lavaggio con bassi volumi. Il primo è di facile esecuzione e permette di ottenere una popolazione cellulare con caratteristiche morfologiche conservate, ma consente di valutare solo una piccola porzione dell’endometrio, rispetto al lavaggio. L’esame istopatologico è invece considerato gold standard in quanto è in grado di evidenziare lesioni sia croniche sia acute  dell’epitelio e dello strato compatto endometriale. Sfortunatamente l’esecuzione di tale test trova scarsa applicazione in campo e non è scevra da conseguenze negative per la fertilità della bovina.

Lo scopo del lavoro è stato valutare l’accuratezza e l’efficacia delle tecniche diagnostiche utilizzabili in vivo tramite confronto con test ex vivo gold standard, nonché stabilire quale delle due metodiche in vivo (cytobrush o lavaggio) restituisse i risultati più affidabili.

A tale scopo sono state coinvolte 35 bovine Frisone normalmente riformate in una azienda commerciale da latte. Le principali motivazioni per la riforma erano costituite da infertilità ed alto numero di cellule somatiche nel latte, seguivano zoppia ed età avanzata. I giorni medi di lattazione degli animali coinvolti era 315 ± 173. In sede ovarica ciascuna bovina presentava almeno un follicolo di 0.8 cm di diametro ed un corpo luteo di 2.0 cm, pertanto esse erano tutte considerate in fase luteale. Circa 2-3 ore prima dell’abbattimento presso il mattatoio autorizzato, si procedeva con il campionamento in vivo con tecnica cytobrush o lavaggio; al momento della lavorazione della carcassa, si asportava il tratto riproduttivo e si effettuavano prelievi di campioni istologici uterini per l’analisi in microscopia ottica sia tramite cytobrush che con prelievo bioptico. Il valore soglia per la diagnosi di endometrite subclinica era stabilito in 3 cellule polimorfonucleate per campo microscopico.

La conta delle cellule polimorfonucleate (PMN) era maggiore nei campioni istopatologici rispetto ai quelli citologici, tanto per i prelievi effettuati in vivo che ex vivo. Tutte le bovine considerate affette da endometrite subclinica all’esame citologico (sia cytobrush sia lavaggio) erano confermate anche agli esami ex vivo (istopatologia e cytobrush).

La prevalenza di endometrite subclinica era la seguente tra le categorie d’esame diagnostico:

  • Istopatologia: 59.38% (19/32)
  • Cytobrush ex vivo: 37.5% (12.32)
  • Citologia in vivo (sia cytobrush sia lavaggio): 18.75% (6/32)

La citologia in vivo individuava solo il 50% ed il 31.58% rispettivamente degli animali diagnosticati positivi da cytobrush ex vivo ed esame istopatologico. La differenza nel numero di capi positivi individuati dalle tecniche eseguite su organo isolato potrebbe essere dovuta al fatto che le procedure utilizzate in vivo non permettono di controllare, ad esempio, la pressione esercitata dal cytobrush al momento della rotazione sulla mucosa uterina o il posizionamento del cytobrush stesso, come anche l’omogenea distribuzione della soluzione fisiologica durante il lavaggio con bassi volumi. Le biopsie invece, consentono di prelevare tutte le componenti cellulari e di visualizzarle chiaramente, comprendendo nel campione anche lo strato compatto della parete uterina, mentre le tecniche citologiche offrono la possibilità di indagare solo gli strati più superficiali. Le tecniche citologiche, quindi, tendono a sottostimare la reazione infiammatoria endometriale. Ad ogni modo vi era una buona correlazione tra la conta di PMN nei campioni prelevati tramite cytobrush sia in vivo che ex vivo; tra la prima metodica e l’istopatologia, invece, la correlazione era debole. La capacità del lavaggio in vivo, invece di concentrare le cellule PMN provenienti dai vari distretti uterini, probabilmente spiega la maggiore correlazione tra questa e l’istopatologia, sebbene l’origine dei PMN sia superficiale nel caso del lavaggio e più profonda (strato compatto) per l’istopatologia.

La Sensibilità (Se) delle metodiche in vivo è poco soddisfacente, in quanto esse identificavano solo il 50% circa degli animali considerati positivi all’esame istopatologico; la Specificità (Sp), invece, raggiungeva il 100% in quanto tutti i capi identificati positivi, erano poi confermati dal gold standard istopatologico. Sebbene le tecniche di indagine citologica siano di facile applicazione in campo, bisogna considerare la loro scarsa sensibilità.

Nello studio era rilevata una distribuzione disomogenea dei PMN nell’endometrio: la maggior parte dei neutrofili era presente negli strati profondi, rispetto alla superficie epiteliale. Probabilmente tale caratteristica incide negativamente sulla Se delle metodiche citologiche. Sono auspicati ulteriori studi volti a comprendere il ruolo delle cellule infiammatorie riscontrate negli strati più profondi dell’endometrio e la loro influenza sulla performance riproduttiva.

Comparison between cytology and histopathology to evaluate subclinical endometritis in dairy cows

Pascottini et al.

Theriogenology 86 (2016) 1550-1556

DOI: http://dx.doi.org/10.1016/j.theriogenology.2016.05.014