Ormai da diverse settimane (dall’8 gennaio 2024) i trattori degli agricoltori tedeschi stanno invadendo le strade del loro Paese. La protesta è nata in seguito alla decisione del governo della Germania di tagliare i sussidi per l’acquisto del carburante agricolo, ma questa è probabilmente la punta dell’iceberg perché a seguito del parziale accoglimento delle richieste la protesta non si è fermata, anzi sembra stia dilagando in altri paesi europei.

Questo è un fenomeno da analizzare con molta attenzione perché ha degli sviluppi imprevedibili.

Tra gli agricoltori e i governi, sia nazionali che comunitari, non c’è mai stato un bel rapporto, anche se l’UE destina poco più del 33% del suo bilancio alla PAC. Per il periodo 2021-2027 questo corrisponde a 386.6 miliardi di euro destinati ad evitare che le 10 milioni di aziende agricole europee debbano essere assoggettate alle regole del mercato, ossia al delicato equilibrio tra la domanda e l’offerta. Questa apparente “generosità” del Comunità europea altro non è che saggezza, perché la produzione primaria di cibo, ossia l’agricoltura, è un asset strategico fondamentale per mille ragioni, tra cui il fatto che dipendere troppo dall’estero e dai giganti del cibo (cibo artificiale) rende le nazioni molto vulnerabili e quindi ricattabili.

Ben fanno gli agricoltori a manifestare per rivendicare i propri diritti ma ci sono delle ombre di cui è bene essere consapevoli. L’agricoltura comunitaria impegna 22 milioni di persone che hanno un valore elettorale interessante, ed è piuttosto irritante vedere l’agitarsi della politica nel cavalcare il disagio piuttosto che nell’investire risorse intellettuali per essere più attenti alla programmazione e comprendere con più attenzione le necessità del mondo agricolo.

Nella storia della Repubblica italiana si sono avvicendati 42 Ministri dell’agricoltura in ministeri che via via hanno cambiato nome senza che molti  di noi comuni mortali ne abbiano compreso il significato.

Dal 2008 ad oggi il ministero dedicato all’agricoltura ha cambiato nome ben 4 volte e i suoi titolari sono stati:

Questa tabella dimostra che alla guida del Ministero dell’Agricoltura (lo chiamiamo così per semplificazione) si sono avvicendate forze politiche differenti di governi di diverso colore, per cui la tipica retorica dei politici al governo del “disastro fatto da quelli prima di noi” in agricoltura vale molto poco. Questa era una doverosa premessa perché il tentativo di cavalcare la rabbia degli agricoltori da parte dei partiti e di dare la colpa all’Unione europea di questa situazione rischia di sgonfiare la forza di questa protesta e fornire un facile alibi a chi avrebbe potuto fare qualcosa e non lo ha fatto, sia per incapacità che per calcolo politico, e della demagogia ne abbiamo tutti le “tasche” piene.

Il dialogo tra gli agricoltori e l’autorità politica nazionale e internazionale è mediato dai partiti e dai sindacati agricoli, come del resto vale per tutti i cittadini nelle democrazie rappresentative, ma le proteste delle piazze sono il sale della democrazia.

Tre sono i fatti che mi hanno spinto a scrivere questo editoriale.

Il primo è la nota di Paolo De Castro del 17 gennaio 2024 rivolta ai sui colleghi europei dal titolo “Questa legislatura ha creato la percezione di un’Unione nemica degli agricoltori” che va letta con molta attenzione. Abbiamo chiesto a De Castro un chiarimento che ci ha accordato.

Il secondo è la soddisfazione generata dal fatto che gli agricoltori stanno facendo sentire la loro voce, cosa che ad esempio in zootecnia in Italia non si sentiva da tempo. Ricordo che la Fiera di Cremona in passato era sempre anche un momento di aspro confronto con la politica, cosa che negli ultimi anni non è più avvenuta. Pur tuttavia è a mio avviso necessario dare motivi oggettivi per cui protestare in modo da incalzare il decisore politico sulle risposte da dare.

Il terzo fatto è la preoccupazione per i toni dei molti post su Facebook e la motivazione che è stata data alla richiesta alla questura di una città italiana di poter manifestare che recita testualmente: “Protesta contro le politiche comunitarie che hanno messo in ginocchio l’agricoltura italiana portando i numerosi agricoltori alla disperazione.” Molti dei post che stanno diffondendo su Facebook sono dello stesso tono, e spesso i loro autori lasciano il dubbio che non siano persone reali ma falsi profili per una campagna di disinformazione atta a indirizzare le prossime elezioni europee.

Quello di cui l’agricoltura europea, e quindi anche italiana, ha urgente necessità è una chiara politica d’indirizzo di breve, medio e lungo periodo, e un forte impegno a far uscire la produzione primaria dalla palude delle commodity.

E’ arcaico e assurdo che i prodotti dell’agricoltura siano in balia del mercato, ossia che i prezzi siano la sola risultante del rapporto tra domanda e offerta. Questo vale anche per i prezzi dei mezzi di produzione, come l’energia ma non solo, lasciati anch’essi alla dinamica del mercato.

Ben vengano i sussidi pubblici ma l’agricoltura deve poter camminare con le proprie gambe e ciò è possibile solo se la sua attività è profittevole e se lo è nel tempo, cosa che è resa impossibile dalla volatilità dei prezzi d’acquisto e di vendita. Quello che manca poi non è la così detta sburocratizzazione ma la stesura di norme chiare e non interpretabili che permettano alle aziende agricole di esercitare la loro attività non con come un incubo ma con serenità. Bisogna poi stare molto attenti a non inimicarsi l’opinione pubblica con proteste troppo invasive come il blocco delle strade e degli aeroporti, perché è vero che senza agricoltura un popolo muore di fame ma l’agricoltura esiste fintanto che c’è gente che ne compra i prodotti.

Il dilagare dei cibi ultraprocessati e di quelli di laboratorio delle multinazionali non si può bloccare con delle leggi e con le misure protezionistiche ma con l’educazione alimentare che richiede però mezzi economici, tempo e professionisti, oppure, come ormai molte aziende fanno, con gli open day, le fattorie didattiche e l’informazione diretta nelle scuole e ai medici.

Sfogare la rabbia va bene ma bisogna stare attenti a chi la strumentalizza per suoi vantaggi e a non tirare tropo la corda con un’opinione pubblica che già in molti casi abbiamo contro.